Artico, i venti di guerra fredda che spazzano il permafrost
La militarizzazione dell'Artico avanza tra le strategie delle superpotenze per garantirsi passaggi commerciali e sfruttamento delle risorse
Il permafrost e il Circolo Polare Artico sono un tesoro di risorse. Alcune note e altre potenziali. E altre ancora che si stanno aprendo man mano che il clima si surriscalda e la presa del ghiaccio si allenta. Come le rotte commerciali per collegare l’Asia all’Europa, che consentiranno di risparmiare chilometri e carburante, e che sono sempre più percorribili senza dover ricorrere a navi rompighiaccio (e sempre più a Nord).
Passaggi a Nord-Ovest
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Ma le grandi potenze mondiali hanno anche altre mire. Russia, Usa e Canada, Stati del Nord Europa, Cina – benché non abbia uno sbocco territoriale – conducono infatti una guerra di posizione nell’area. Una competizione a bassa intensità bellica, per ora, per imporsi sull’Artico oggi e in futuro. Un confronto che passa anche per le strategie e le infrastrutture militari presenti sul campo.
Russia nell’Artico, bandierine e navi da guerra
Non a caso, in audizione all’House Armed Services Committee (la Commissione Difesa della Camera dei rappresentanti americana), l’assistente segretario alla Difesa statunitense, Victorino Mercado, nel dicembre 2019 dichiarava: «La porta è aperta per aumentare l’attività nell’Artico da parte degli Stati Uniti, di nostri alleati, partner, ma anche di nostri concorrenti strategici». Una sottolineatura che certo riguardava innanzitutto l’eterno convitato di pietra russo, che ricaverebbe quasi il 25% del proprio prodotto interno lordo dal Circolo Polare Artico. Ciò grazie all’estrazione di idrocarburi.
Mosca da anni rafforza infatti la sua presenza nell’area, e senza farne mistero. Basti ricordare la provocazione della bandierina installata sotto i ghiacci dai sottomarini nel 2007, una recente intervista del generale Evmenov o un’altra bandiera piazzata nel settembre 2019.
Nonostante una presenza militare nell’Artico ben inferiore, numericamente, a quella sovietica negli anni Ottanta, la Russia attuale ha investito massicciamente sulla regione. Innanzitutto – come si legge in un’analisi dettagliata pubblicata dal CSIS (Centro per gli studi strategici e internazionali di Washington) a marzo 2020 – proprio riaprendo e aggiornando una cinquantina di postazioni militari abbandonate, tra cui «13 basi aeree, 10 stazioni radar, 20 avamposti di confine e 10 stazioni di soccorso di emergenza integrate». Ma soprattutto puntando su un controllo stretto dei suoi confini settentrionali, sia attraverso sistemi radar Sopka-2 sull’isola di Wrangel (a 300 miglia dall’Alaska) e a Capo Schmidt (nella Siberia orientale). Sia posizionando nell’Artico occidentale, a Severomorsk, la flotta settentrionale, che vanterebbe le risorse terrestri, aeree e navali artiche più avanzate.
Norvegia sul chi va là: nuovo piano, nuovi armamenti
Numerose sono state le esercitazioni militari di Mosca tra i ghiacci – anche in concorso con altre potenze. Ed è noto che il comandante delle forze di terra russe Alexander Postnikov abbia mostrato di puntare molto su una brigata artica stanziata vicino al confine con la Norvegia, come forma di bilanciamento delle attività degli Stati Uniti. Un’attività, quella delle truppe di Putin, che sta alzando la tensione con Oslo, dopo anni di calma apparente seguita agli accordi di Murmansk che hanno messo fine a un aspro contenzioso territoriale.
Sarà forse per questo che il primo ministro della “piccola” Norvegia, Erna Solberg, in una conferenza stampa congiunta con il ministro della Difesa, ha parlato della crescente e minacciosa influenza di Russia e Cina nella regione. Nell’occasione, la premier ha presentato un nuovo “Piano di difesa 2019-2020” in cui si citano le due superpotenze concorrenti decine di volte. E il documento prefigura un piano ancora più a lungo termine che prevede 1,46 miliardi di euro di investimenti nei prossimi otto anni. Concentrati soprattutto sulla Brigata Nord e la Finnmark Land Defense, su veicoli da combattimento corazzati, armi di precisione a lungo raggio, una unità mobile per la difesa chimica, biologica, radioattiva e nucleare (CBRN). Nonché quattro nuovi sottomarini e altrettante fregate.
USA in ritardo, ma non stanno a guardare
La superpotenza guidata da Donald Trump, intanto, nell’ultimo incontro del Consiglio artico a Rovaniemi, in Finlandia, a maggio 2019, interrompeva una ventennale tradizione di accordi. Rifiutando tra l’altro di citare il problema dei cambiamenti climatici. Ma non solo. Mike Pompeo, segretario di Stato americano, suggeriva che altri attori sullo scacchiere artico potessero costituire una minaccia militare. E bollava come illegittime sia le rivendicazioni di Mosca sulle rotte del Mare del Nord sia la sovranità canadese sul passaggio a Nord-Ovest (considerandolo su acque internazionali).
Sotto il profilo più strettamente bellico, invece, pur consapevole dell’importanza della regione, l’America – stando alle valutazioni di qualche analista – sarebbe in netto ritardo nello sviluppo di tecnologie e nell’esercitazione di pratiche adatte alla guerra sotto zero.
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Il dipartimento dell’Aeronautica Militare è tuttavia quello che, all’interno delle forze armate statunitensi, ha la più grande presenza nella regione artica. Con risorse sia in Alaska che in Groenlandia. Gli USA hanno investito su sistemi radar avanzati a lungo raggio e in Alaska. E con l’arrivo dei ben noti F35 contano di posizionare una «impareggiabile» (parola di Barbara Barrett, segretaria di Stato alle Forze aeree) concentrazione di caccia di quinta generazione. Anche gli Stati Uniti, d’altra parte, svolgono esercitazioni sul campo con la NATO, cercando di recuperare terreno sull’avversario russo. E nel 2018 la portaerei USS Harry S. Truman, operando al di sopra del Circolo Polare Artico, è stata la prima imbarcazione da guerra americana a farlo dai primi anni Novanta.
Le armi sotto ghiaccio artico temute dalla NATO
La situazione, insomma, è quella del gruppo di soci che si guardano in cagnesco. Nella migliore delle ipotesi. La potenza economica e militare, gli interessi dichiarati per la Polar Silk Road e gli accordi che la Cina sta stringendo con Mosca preoccupano particolarmente gli USA, ad esempio. Ma se è vero che Pechino non può rivendicare sovranità territoriali sulla regione, la sua influenza geopolitica è sempre più ingombrante per tutti. In un quadro generale di equilibrio instabile che ricorda lo stallo alla messicana di qualche film.
«Sotto il ghiaccio nell’Artico abbiamo alcune delle armi più pericolose del mondo»
Jens Stoltenberg (ex premier della Norvegia)
Tanto che qualche preoccupazione per il processo di progressiva militarizzazione l’avrebbe manifestata in una recente intervista persino il Segretario generale dell’Onu.