Assemblea Eni 2018, la maratona non è servita a nessuno
Tre ore di presentazioni ridondanti, pioggia di interventi di ONG allineate. E il sospetto che, alla fine, si vogliano prendere gli azionisti critici per sfinimento
A parte un piccolo incidente iniziale, con un avvocato che contesta la nomina del notaio e cerca di bloccare il proseguimento dei lavori, l’assemblea di Eni è partita con lo stesso ritmo di sempre. Con il tono mellifluo della presidente Emma Marcegaglia a rimarcare che Eni è ai primi posti nell’anti-corruzione, che si sta collaborando con le magistrature inquirenti e giudicanti nei casi di presunte mazzette internazionali e si stanno svolgendo controlli, verifiche, monitoraggi affidati a enti rigorosamente terzi. I colpevoli, se dichiarati tali, saranno immediatamente puniti e rimossi. Tolleranza zero.
Descalzi: petrolio in ascesa e sogni di buyback
Poi tocca però all’amministratore delegato Claudio Descalzi, rinviato a giudizio per presunta corruzione internazionale nell’acquisizione della famigerata concessione OPL 245 in Nigeria.
E Descalzi parla, parla, parla. Racconta di come Eni abbia tagliato i costi «senza mandare a casa nessuno».
L’Ad parla di come il prezzo del petrolio in temporanea ascesa sia musica per le orecchie di tutto il gruppo e degli azionisti. Che magari un giorno si potrà fare anche il tanto atteso “buy back”, comprando un po’ di azioni sul mercato e facendo così salire il prezzo dei titoli (e i bonus dei manager). E se l’intercalare veneto-cantilenante del suo predecessore pluri-indagato e processato (e una volta, tanti anni fa, pure arrestato) Paolo Scaroni era ipnotico e conciliava salutari pennichelle post-prandiali, quello di Descalzi è milanese. Diretto e affilato, senza sbavature, come gli speaker dei canali pubblici anglosassoni. Ed è tutto uno snocciolare di dati, di curve che s’involano verso un futuro per forza migliore e tanto, tantissimo verde. Economia circolare, energie rinnovabili, nuovi ritrovati per produrre plastiche biologiche biodegradabili o recuperare vecchi copertoni e stoviglie monouso e infine, udite udite, la fusione nucleare. La pietra filosofale dell’energia prodotta con l’acqua e il deuterio, il trizio e Silvia rimembri ancor quegli anni passati sui banchi delle superiori ad aspettare che suonasse la campanella della ricreazione.
ONG allineate vs azionisti critici
Ma qui non suona, no. Iniziano gli interventi (27 gli azionisti iscritti a parlare) e Fondazione Finanza Etica chiede di avere tutti i dettagli sulla realizzazione del tanto sbandierato piano sulle rinnovabili, lanciato nel 2016. Quanti investimenti sono già stati realizzati? E dove? Nella relazione finanziaria annuale non si trovano informazioni.
Poi scendono in campo attivisti congolesi, nigeriani, lucani, inglesi, coordinati dall’associazione italiana Re:Common. Parlano rappresentanti di A Sud e sollevano un problema inedito, che la società avrebbe avuto con popolazioni indigene dell’Ecuador.
Il modo in cui Eni prepara la sequenza degli interventi è grottesco, a tratti ridicolo.
Dopo un africano “cattivo” che parla di corruzione e Boko Haram ne arriva subito uno “buono”, una ragazza nigeriana che ha vinto l’Eni Award nel 2017 per le sue ricerche sulle rinnovabili e ringrazia tutto il gruppo per l’opportunità concessale. E a seguire il Cuamm, il “chirurgo del sorriso”, un professore dell’università di Milano e addirittura la Comunità di Sant’Egidio a dire che Eni aiuta la lotta all’AIDS, lo sviluppo dell’Africa, i parti notturni, l’educazione alla sostenibilità e contribuisce alla felicità di giovani e vecchi, donne e bambini. Il tanto atteso buffet arriva alle quattro del pomeriggio.
Tra un bianchetto e due tartine ci intratteniamo con il funzionario del Tesoro, che detiene il 30% delle azioni. «Quest’anno non sono intervenuto, il governo non aveva nulla da dire, per fortuna».
Avrebbe comunque detto – ci confida – che «l’operato della società e i suoi risultati sono positivi. Le inchieste? Aspettiamo le condanne definitive prima di parlare».
Risposte parziali. Amaro in bocca
Dopo la pausa si riprende. Il pensatoio ha prodotto le veline delle risposte e l’amministratore delegato le legge. Ecco i dati del piano rinnovabili: «il solare è a 27 MW di capacità installata». Mancano circa 440 MW fino al 2020 ma si faranno. Anzi, entro il 2021 diventeranno 1 Gigawatt per un 1,2 miliardi di euro investiti. Si investirà anche nell’eolico, per il 20% del totale, e se necessario anche nelle aste competitive.
Sulle inchieste la società rimane abbottonatissima ma ammette, almeno in parte, di non aver dato risposte complete sul Congo.
In Val d’Agri, invece, l’emergenza è rientrata, la bonifica è quasi completa, lo sversamento non è uscito dai confini dell’area industriale e i dati sull’aumentata incidenza di patologie cardio-circolatorie non risultano alla società. «Prima e dopo le nostre trivellazioni i dati sono rimasti pressoché invariati», sostiene Descalzi. E quindi perché continuare con le lamentazioni?
Gli azionisti critici si segnano tutto sui loro quadernetti e si preparano ad inviare un’altra raffica di domande, a contraddire dati con altri dati, ricerche dell’istituto alfa con analisi dell’istituto beta. E la vita continua.
Perché è questa la vera ragione dell’azionariato critico: se i grandi gruppi industriali non vengono contestati rischiano di ingolfarsi, irrigidirsi, di implodere.
Eni non ha capito ancora che siamo fondamentali per la sua sopravvivenza, ci vede come mosche fastidiose e incattivite. In realtà ci dovrebbe ringraziare ogni giorno, accompagnarci al buffet prima che il pomeriggio volga all’imbrunire e coccolarci invece che offendersi per le nostre domande impertinenti. Al cane ai sei zampe noi, alla fine, gli vogliamo bene. Quando scendiamo per pisciarlo ci guardano tutti con invidia. Perché nessuno ce l’ha un cane così.