Perché le assemblee a porte chiuse minacciano l’esistenza stessa dell’azionariato critico
Il disegno di legge n. 674 sulla competitività dei capitali sdogana, a tempo indeterminato, le assemblee a porte chiuse
La società civile difficilmente ha l’opportunità di confrontarsi direttamente con il management di grandi aziende del calibro di Eni, Enel, Leonardo, ThyssenKrupp. Uno dei pochissimi modi, forse l’unico, è l’azionariato critico. Ma c’è un disegno di legge, il n. 674 sulla competitività dei capitali, che punta di fatto a seppellirlo una volta per tutte, sdoganando le assemblee a porte chiuse. Per difendere questo spazio democratico di confronto, il 4 luglio ReCommon era in audizione presso la commissione Finanze e Tesoro del Senato.
Perché l’azionariato critico è una risorsa
Si parla di azionariato critico quando un gruppo di pressione o un’organizzazione no profit acquista un piccolo pacchetto “simbolico” di azioni di grandi società, guadagnandosi così il diritto di sottoporre le proprie istanze all’assemblea degli azionisti. Istanze che riguardano l’impatto ambientale e climatico, la responsabilità sociale, la governance. Tutti temi che sono determinanti per i territori in cui queste aziende operano e per i loro abitanti.
La prima in Italia a fare azionariato critico è stata Fondazione Finanza Etica, fin dal 2007, ma col tempo si sono aggiunti nomi come Greenpeace, SETEM, Global Witness, ReCommon, Amnesty International Italia. Ottenendo risultati anche molto significativi. Tanto più perché il dialogo spesso va avanti ben oltre la durata dell’assemblea generale degli azionisti.
Assemblee a porte chiuse, dall’emergenza alla routine
Tutto questo presuppone che ci sia un rapporto diretto, senza mediazioni. Sta qui la forza dell’azionariato critico. Nel mese di marzo 2020, però, il decreto “Cura Italia” emanato dal governo di Giuseppe Conte ha introdotto la possibilità di consentire la partecipazione degli azionisti a distanza, anche in deroga rispetto a quanto previsto dallo statuto. Una misura che, all’epoca, era giustificata dall’emergenza sanitaria.
Da allora sono passati tre anni. Le restrizioni alla socialità sono state via via allentate, per poi essere azzerate del tutto. A maggio 2023 l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che il Covid-19 non è più un’emergenza sanitaria globale. Ma le assemblee, nella stragrande maggioranza dei casi, sono rimaste a porte chiuse. Questo perché i vari decreti legge Milleproroghe hanno reiterato nel tempo la disposizione contenuta nel decreto Cura Italia.
Assemblee a porte chiuse a tempo indeterminato
Ora c’è il rischio concreto che le assemblee a porte chiuse, introdotte in un periodo d’emergenza, diventino la norma. A tempo indeterminato. È quanto prevede il disegno di legge “Competitività dei capitali”, in discussione al Senato. L’articolo 12, in particolare, offre la possibilità di continuare a svolgere le assemblee attraverso il rappresentante designato, solitamente uno studio legale che raccoglie le deleghe e le istruzioni di voto sui punti all’ordine del giorno. Questo, però, a patto che lo statuto della società lo preveda.
Ma diverse associazioni di categoria del mondo finanziario già premono per l’opt-out statutario: chiedono quindi che questo cambiamento possa entrare in vigore senza bisogno di modifiche allo statuto. Modifiche che dal 31 luglio 2023, con la scadenza del Milleproroghe, dovrebbero essere discusse con un’assemblea straordinaria in presenza. «È evidente il maldestro tentativo di evitare in qualsiasi modo un contraddittorio de visu e il conseguente imbarazzo di deliberare una scelta antidemocratica», scrive ReCommon.
Un ostacolo al dialogo
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I “soci disturbatori” non si arrendono
Per questo ReCommon il 4 luglio era a Palazzo Madama, per difendere l’azionariato critico da un disegno di legge che lo mina alle fondamenta. La sua è una delle poche voci critiche, perché le varie associazioni di categoria di banche, società per azioni e società di gestione del risparmio si sono quasi tutte espresse a favore delle assemblee a porte chiuse.
Nel suo intervento a Palazzo Madama, lo studio legale Trevisan & Associati – rappresentante designato di società come Eni e Snam – ha detto chiaramente che «uno dei principali motivi (se non l’unico) per cui (in assenza di problematiche legate a doveri di distanziamento per ragioni di salute pubblica) si vorrebbe utilizzare lo strumento dell’assemblea “a porte chiuse” è, nella sostanza, legato all’opportunità di poter arginare l’intervento in assemblea dei c.d. “soci disturbatori” e/o di azionisti il cui interesse non è affatto legato al valore (anche in ipotesi relativamente esiguo) del proprio investimento».
Ma i “soci disturbatori”, a quanto pare, non resteranno in silenzio. Hanno di fronte a sé un lungo iter di discussione e approvazione del disegno di legge. E coglieranno ogni occasione per far sentire la propria voce.