Austerity mon amour
Secondo il numero uno del FMI il rigore in Europa non c'è. E se c'è, non è eccessivo. Avanti tutta coi tagli, dunque. Ma a che ...
Fermate le rotative, giornali di tutto il mondo! C’è un’ultima ora di portata planetaria, e ci è stata svelata ieri dalla direttrice generale del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde. Signore e signori, l’austerity non esiste. È frutto della nostra immaginazione. I tagli alla spesa pubblica, il fiscal compact , il pareggio di bilancio : erano (e sono) tutte spassosissime canzonature orchestrate da quei buontemponi di Bruxelles e Berlino. Panem et circenses , insomma (più circenses che panem , in verità): solo per farci divertire un po’, in un periodo non troppo esaltante. E però attenzione: se finora abbiamo scherzato, adesso bisogna fare sul serio.
L’ex ministro francese dell’epoca di Nicolas Sarkozy (un accenno ai curricula non fa mai male) lo ha spiegato, lapidaria, in un’intervista al quotidiano Les Echos: «Non si può parlare di politiche di austerità eccessiva nell’area-euro». Al contrario, «occorre mantenere il passo nei tagli alla spesa pubblica», e «anche se l’inflazione è più debole del previsto, non può essere utilizzata come scusa per rinviare gli sforzi necessari sulla spesa».
Gli economisti (non giuristi) Paul Krugman e Joseph Stiglitz, premi Nobel che da anni si sgolano sottolineando come l’eccesso di rigore uccida la ripresa economica, sono evidentemente degli sprovveduti. Per non parlare dell’incompetente greco medio che ormai fatica ad arrivare non alla fine ma all’inizio del mese, e che è uso sfogare la sua rabbia verso l’incolpevole troika.
A questo punto, però, perché non svelare qualcosa anche alla giurista (non economista) Christine Lagarde? Ad esempio come funzionano le frazioni. Già, perché in Europa, come in tutto il mondo, deficit e debiti pubblici sono calcolati in rapporto al Prodotto interno lordo. Una frazione, appunto: deficit al numeratore, Pil al denominatore. Il valore è dunque determinato da due elementi, non solo da uno: non basta tirare la cinghia del numeratore, se il denominatore stagna o, peggio, regredisce.
E se è proprio il rigore a comprimere il Pil, il risultato è che i sacrifici sono inutili. La fatica vana. E l’uscita dalla crisi sempre più lontana.