Azioni contro Rheinmetall. Un modello di sinergia europea
Le attività di azioniariato critico e la denuncia contro il colosso delle armi tedesco: due segnali di un nuovo approccio pragmatico della società civile pacifista
I recenti bombardamenti della coalizione occidentale contro la Siria devastata da sette anni di violenza sono l’ennesima prova della inabilità della comunità internazionale di pensarsi e di agire nel rispetto del diritto internazionale. Il vecchio arnese è ingombrante, quando la logica che prevale è quella del ricorso alle soluzioni spicce dell’interventismo militare. La tragedia dello Yemen in preda alla peggiore crisi umanitaria e alla più grave epidemia di colera del mondo da quando ebbe inizio l’offensiva militare a guida saudita tre anni fa, dimostra dolorosamente l’insipienza della diplomazia a geometria variabile, affetta dal morbo della parzialità e di rado schierata a difesa dei più deboli.
“Not in my name” fu lo slogan globale all’alba del nuovo millennio (correva l’anno 2003) che attraversò l’intero Occidente, sfilando per le capitali nella speranza che un movimento di resistenza potesse fermare la guerra con la lucidità della ragione e la forza del buonsenso. Si trattò forse dell’ultima invocazione verso un futuro condiviso, prima di vedere gli sforzi collettivi sbiadire, nell’accadere ostinato e contrario della storia. Fino al silenzio di questi anni, in cui bombe e morti sembrano diventati la normalità. In Siria, Yemen, Afghanistan, Sudan.
Armi in Medio Oriente: raddoppiate in 4 anni
Siamo nell’era dello sviluppo sostenibile, ma la stupida guerra è sempre di scena con i suoi prevedibili crimini, le sue conflagrazioni sempre più distruttive. Alimenta il forsennato mestiere delle armi, unico business in espansione nonostante dieci anni di crisi finanziaria e recessione economica globale, un boom che va a nozze con questo tempo impastato di disuguaglianze e instabilità. L’ultimo rapporto Sipri spiega che il Medio Oriente è la destinazione privilegiata di esportazioni di armi, più che raddoppiate tra il 2013 e il 2017 (+103%). L’area rappresenta il 32% di tutte le importazioni globali. L’Arabia Saudita, leader della coalizione regionale di nove paesi contro lo Yemen, l’Arabia Saudita è il secondo acquirente di armi dopo l’India. Stati Uniti, Gran Bretagna ed Europa sono i piazzisti che foraggiano il 98% de suoi acquisti!
Il mondo ignora la guerra in Yemen. Ma questo è un lusso che l’Italia non può più permettersi. L’evidenza racconta che le bombe lanciate contro la popolazione yemenita sono prodotte in Sardegna, poi esportate in Arabia Saudita con i crismi delle autorizzazioni governative made in Italy. La denuncia delle organizzazioni da tempo impegnate su questo fronte trova – con l’azione penale presentata a Roma contro la azienda e contro il governo italiano – nuove forme di mobilitazione per inchiodare le parti in causa alle rispettive gravi responsabilità.
L’impegno della Fondazione Finanza Etica
Fondazione Finanza Etica (FFE) partecipa a questo cartello con il contributo specifico dell’azionariato critico. Con la sua presenza cioè alle assemblee degli azionisti, e la facoltà di formulare domande precise e puntute all’azienda. Dal 2017 la Fondazione ha avviato l’azionariato critico alla assemblea degli azionisti di Rheinmetall AG con l’organizzazione non governativa tedesca Urgewald. Rheinmetall è la casa madre della controllata italiana RWM Italia SpA, l’azienda che produce nel Sulcis gli ordigni che finiscono alle forze militari saudite. L’autorizzazione per l’esportazione all’Arabia Saudita viene concessa da UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento), presso il Ministero degli Esteri, in violazione della legge 185/90 sul commercio delle armi e del trattato internazionale sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty) che l’Italia ha ratificato nel 2014.
Denuncia penale a Roma e azionariato critico in Germania. Un modello di sinergia europea che prende consistenza, in linea di continuità fra lancio dell’azione legale odierna e assemblea di Rheinmetall l’8 maggio. La delegazione degli azionisti critici quest’anno si presenterà più compatta. Accanto a Urgewald saranno presenti l’European Centre for Costitutional and Human Rights (ECCHR) e altre organizzazioni tedesche. La Fondazione agirà in rappresentanza di Shareholders for Change, il network di investitori istituzionali europei che la Fondazione ha promosso e contribuito a fondare nel 2017, insieme a Bank für Kirche und Caritas eG.
Agli analisti che si chiedono dove siano finiti i pacifisti, forse possiamo dare una piccola convinta risposta. Non fuori nelle piazze, ma strategicamente dentro gli ingranaggi del sistema produttivo armiero. Se i governi si sono arresi alla pratica della guerra, incapaci di ogni creatività politica, ci sono nuclei della società che non si rassegnano. Forse non è il caso di sottovalutarli.