Dalle banche altri 1.500 miliardi di dollari al carbone

Un'analisi della Global Coal Exit List rivela gli stratosferici finanziamenti concessi dalle banche al carbone a partire dal 2019

Una miniera di carbone © Hello my names is james,I'm photographer/iStockPhoto

Le grandi banche di tutto il mondo, soltanto a partire dal 2019, hanno concesso all’industria del carbone la cifra stratosferica di 1.500 miliardi di dollari. E anche gli impegni assunti in materia di azzeramento delle emissioni nette di CO2 di qui al 2050 potrebbero cambiare molto poco la situazione. A spiegarlo è un rapporto pubblicato dalla Global Coal Exit List, rete composta da 28 organizzazioni non governative, tra le quali l’italiana ReCommon.

«Non sostenere più progetti legati al carbone dovrebbe essere un’ovvietà»

L’analisi ha riguardato i finanziamenti e gli investimenti in 1.031 imprese che sfruttano a vario titolo la fonte fossile in assoluto più dannosa per il clima. Più dell’80% dei finanziamenti arrivano da istituti di credito presenti in soli sei Paesi: Stati Uniti, Cina, Giappone, India, Canada e Regno Unito. Ai primi tre posti spiccano le nipponiche MizuhoMitsubishi UFJ SMBC. Quindi, al quarto e quinto posto, figurano la britannica Barclays e l’americana Citigroup.

«Non sostenere più le imprese che sviluppano ancora progetti legati al carbone dovrebbe essere un’ovvietà – ha commentato Katrin Ganswindt, responsabile delle ricerche finanziarie di Urgewald -. Eppure, nell’elenco di chi concede denaro si trovano anche numerosi membri di alleanze per la carbon neutrality. Su questi istituti non dobbiamo allentare la pressione: ong, regolatori finanziari, cittadini e investitori devono unire le forze per rompere questa dipendenza dal carbone».

Quando si parla di fonti fossili non mancano Unicredit e Intesa Sanpaolo

Come sempre presenti quando si parla di fonti fossili anche le due più grandi banche italiane, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Fra il 2020 e il 2021, i due istituti, precisa ReCommon, «hanno aumentato sensibilmente il loro sostegno all’industria del carbone, il combustibile fossile più inquinante e per questo responsabile in modo massiccio dell’attuale crisi climatica. In particolare, l’istituto torinese ha quadruplicato i suoi finanziamenti, passando da 449 milioni a 2,1 miliardi di euro, mentre quello di piazza Gae Aulenti cresce da 1,36 a 1,71 miliardi di euro. Stesso trend per gli investimenti, soprattutto quelli della prima banca italiana: da 778 milioni a 1,35 miliardi di euro tra il 2020 e il 2021».

I rapporti con Sasol e RWE

L’associazione sottolinea come per Intesa la crescita sia stata trainata «soprattutto dalla sottoscrizione di bond (sestuplicata tra 2020 e 2021), modalità di finanziamento tra le meno regolate in circolazione. Tra i finanziamenti, spiccano i 120 milioni di euro alla sudafricana Sasol e, soprattutto, i 200 milioni alla tedesca RWE, società più inquinante d’Europa».

Allo stesso modo, «anche Unicredit ha intensi rapporti commerciali con Sasol (136 milioni di euro) e RWE (226 milioni di euro). Il gruppo non sembra dunque intenzionato ad abbandonare definitivamente il carbone, come confermato dai dati finanziari e dalla nuova policy, adottata pochi giorni fa, con cui Unicredit ha rivisto al ribasso i propri impegni di disinvestimento nei confronti del settore».


Questo articolo è stato pubblicato in 1o anni – storie e approfondimenti sulla crisi climatica, la newsletter che Valori.it invia ogni venerdì. Se vuoi riceverla iscriviti alla newsletter e seleziona “Ambiente” tra i tuoi interessi.