«Le banche possono fare molto male al clima. Servono valori comuni e nuove regole»

Intervista a Martin Rohner, direttore della Global Alliance for Banking on Values (Gabv) presente alla Cop29 di Baku

Martin Rohner è direttore esecutivo della Gabv © Gabv

Martin Rohner è direttore generale della Gabv, la Global Alliance for Banking on Values. Si tratta di una realtà che riunisce più di 70 banche in tutto il mondo (con oltre 50 milioni di clienti) che si distinguono perché, appunto, guidate da valori e non solo dalla volontà di centrare profitti. I gruppi che fanno parte dell’alleanza finanziano solo realtà rispettose dell’ambiente, dei diritti umani e sindacali, della pace. In Italia ne fa parte Banca Etica.

Abbiamo incontrato Rohner alla Cop29 di Baku. La Gabv, in questo contesto, è presente per annunciare tra le altre cose il proprio sostegno alla Fossil Fuel Non-Proliferation Treaty initiative: la proposta di messa al bando globale dei combustibili fossili che ha già raccolto l’endorsement di molte governi dei Paesi più a rischio per via della crisi climatica (come nel caso delle nazioni insulari del Pacifico).

Siamo ad un padiglione sulla criosfera, ad un evento in cui si parla di combustibili fossili. Cosa c’entrano le banche?

Tutta la Cop29 gira attorno alla finanza: non solo per quanto riguarda la mitigazione dei cambiamenti climatici, ma anche per l’adattamento ad essi. Come Gabv crediamo che le banche debbano ricoprire un ruolo centrale nel supportare la transizione ecologica. Sia direttamente, finanziando progetti appropriati, sia indirettamente, lavorando con le autorità dei Paesi in cui le banche operano affinché possano cambiare le regole del gioco, in maniera favorevole alla transizione stessa.

Cosa distingue le banche tradizionali da quelle «basate sui valori»?

Le banche tradizionali sono lì per fare affari, le banche basate sui valori sono lì per una missione. Vogliono mettere la finanza al servizio delle persone e del Pianeta. Ci si chiede quali problemi sociali e ambientali affliggano le comunità, e come si possano risolvere tramite la finanza. Noi vediamo le banche come un mezzo, non come un fine.

Anche le banche tradizionali ormai dichiarano di porre le persone e il Pianeta al primo posto, no?

La grande differenza è che le grandi banche, di solito, sono meno intenzionali e meno coerenti. Di solito investono in differenti settori: allo stesso tempo nelle rinnovabili, che è un bene, ma anche nelle fossili, che è ovviamente male. E qui si perde il senso della transizione: serve coerenza.

Ci faccia un esempio di una policy bancaria che aiuta realmente la transizione?

Ogni banca del nostro gruppo si trova in una fase differente. Per questo come Gabv lavoriamo con i direttori di tutti gli istituti membri: loro indicano la linea strategica, e da quella arrivano le policy. Di sicuro, come minimo, occorre non finanziare l’espansione delle fonti fossili. Per poi, ad un certo punto, smettere di finanziare del tutto carbone, petrolio e gas.

Cosa manca agli istituti di credito di questo tipo per stare allo stesso tavolo delle banche mainstream?

Credo che a livello globale i regolatori e i legislatori debbano iniziare a capire che dobbiamo parlare dello scopo delle banche, e in generale dei mercati. Ma soprattutto delle banche, perché quella bancaria non è un’industria come le altre: può fare molti danni, e avere impatti negativi sul lunghissimo termine. Se finanzi un edificio, per esempio, ed è costruito in maniera negativa per l’ambiente, ne pagheremo il prezzo per i prossimi cento anni. Serve un cambio di paradigma.

La chiave, perciò, è cambiare le regole.

Esatto. Ma prima di tutto serve mettersi d’accordo sui valori, e solo dopo ci mettiamo a imporre regole.