Le grandi banche europee stanno boicottando la transizione energetica

Altro che transizione energetica: le grandi banche europee continuano a finanziare le società dell’oil&gas impegnate a espandere i giacimenti

Le venti maggiori banche europee continuano a finanziare le società che espandono i giacimenti di gas e petrolio © Strekoza2/iStockPhoto

Per la transizione energetica servono le banche. Impossibile farne a meno. Perché l’Agenzia internazionale per l’energia potrà pure chiedere a gran voce di fermare lo sviluppo di nuovi giacimenti di petrolio e gas e i nuovi terminal di esportazione di gas naturale liquefatto (GNL), ricordando che il solo consumo delle risorse già sfruttate è sufficiente per spingere il riscaldamento globale ben oltre la soglia del grado e mezzo. Ma queste parole sono inutili, se poi c’è chi continua a finanziare i piani di espansione dell’industria fossile. Come stanno facendo le banche europee: le venti più grandi hanno erogato complessivamente più di 200 miliardi di dollari tra il 2021 e il 2023. Grandi protagoniste le inglesi Barclays e HSBC. È quanto emerge da un rapporto di Reclaim Finance.

Ancora troppe scappatoie nelle politiche climatiche delle banche europee

Svincolarsi dall’industria dei combustibili fossili è possibile. BNP Paribas e Crédit Agricole, per esempio, hanno annunciato di non voler più facilitare l’emissione di obbligazioni convenzionali da parte delle compagnie oil&gas. Ma questi passi avanti sono ancora parziali e isolati. La realtà vede infatti le venti maggiori banche europee partecipare, dal 2021 in poi, in 982 transazioni che coinvolgono le società del petrolio e del gas upstream e midstream (i termini si riferiscono alle fasi di estrazione, trasporto, stoccaggio e distribuzione). A partire da Barclays e HSBC che hanno stanziato oltre 22 miliardi di dollari ciascuna.

In realtà, sulle venti banche monitorate, undici hanno limitato i finanziamenti indirizzati direttamente a nuovi giacimenti di gas e petrolio e alle infrastrutture a essi collegate. Ma queste politiche climatiche risultano parziali, perché non impediscono loro di continuare a finanziare le società che se ne occupano. Così, si scopre che quasi tutte le venti banche monitorate – comprese BNP Paribas e Crédit Agricole – hanno continuato anche nel 2024. Alcune, nel periodo monitorato, hanno addirittura incrementato il volume di finanziamenti. Una categoria di cui fanno parte anche le italiane.

«Intesa Sanpaolo ha recentemente aggiornato la sua politica su petrolio e gas, ma una serie di scappatoie consente alla più grande banca italiana di continuare e aumentare i finanziamenti per l’espansione dei combustibili fossili, in particolare per il GNL (gas naturale liquefatto)», spiega Susanna de Guio, finance and climate campaigner di ReCommon. «Nel frattempo, Unicredit rimane ancora al primo posto tra i finanziatori internazionali di Eni, con prestiti pari a 7,7 miliardi di dollari dall’Accordo di Parigi ad oggi, di cui 1,6 miliardi solo nel 2023. Una transizione energetica giusta non può compiersi finché le banche continuano a finanziare l’espansione dei combustibili fossili, in particolare per sei maggiori compagnie di petrolio e gas».

I piani di transizione energetica delle banche a rischio greenwashing

Sempre tra il 2021 e il 2023, i venti istituti hanno fornito oltre 48 miliardi di dollari alle sei maggiore società europee del petrolio e del gas. Vale a dire TotalEnergies, Shell, BP, Equinor, Eni e Repsol. Molte di loro si difendono dicendo di voler supportare la transizione energetica di tali aziende. Come si legge nel report, però, in media il 72% di questi finanziamenti è andato alle fonti fossili, non alle rinnovabili o ad altre tecnologie pulite. Per Unicredit e Intesa Sanpaolo, la percentuale arriva rispettivamente all’86 e all’87%.

Oltretutto, è difficile descrivere come “in transizione” chi è attivo nell’espansione dei giacimenti. Nel 2023, i colossi citati da Reclaim Finance hanno addirittura ridimensionato i propri piani per il clima. BP per esempio aveva promesso di tagliare la produzione di petrolio e gas del 40% entro la fine del decennio, poi è passata al 25%. Poi ha stralciato l’obiettivo. Anche Shell aveva intenzione di tagliare ogni anno la produzione petrolifera per il resto del decennio, salvo poi decidere di investirvi 40 miliardi di dollari l’anno tra il 2023 e il 2025 (contro i 10-15 in soluzioni low carbon). TotalEnergies aumenterà la produzione di idrocarburi del 3% all’anno fino al 2030.

Le grandi banche, conclude il rapporto, non possono più essere complici di scelte che contrastano le richieste della scienza. Tanto più perché, dal prossimo anno, la direttiva europea sul reporting societario di sostenibilità (CSRD) imporrà loro di pubblicare i propri piani di transizione. Specificando da un lato il proprio impatto sul clima, dall’altro lato la propria esposizione ai rischi climatici. Sul tema, Reclaim Finance è netta: questi piani saranno credibili soltanto se le autorità porranno come criterio anche lo stop ai finanziamenti per l’espansione dei combustibili fossili. In caso contrario, rischiano di essere soltanto strumenti di greenwashing.