Reporting extra-finanziario, in Europa cambia tutto: cosa prevede la direttiva CSRD

Con la direttiva sul reporting societario di sostenibilità (CSRD), 50mila imprese europee saranno soggette al reporting extra-finanziario

Il Parlamento europeo ha adottato la Corporate Sustainability Reporting Directive, CSRD © European Parliament/Flickr

L’acronimo – CSRD – a primo acchito può apparire poco intuitivo, ma ben presto decine di migliaia di imprese in tutta l’Unione europea impareranno a conoscerlo da vicino. Perché la direttiva sul reporting societario di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive, CSRD appunto) le obbligherà a mettere nero su bianco le proprie performance ambientali, sociali e di governance (ESG) e i rischi di sostenibilità a cui sono esposte.

Cos’è il reporting extra-finanziario

L’operato di un’impresa non può essere valutato solo in base a fatturato e margini di profitto. C’è molto di più, perché ogni attività ha un impatto – positivo o negativo che sia – sull’ambiente, sulle persone e sull’economia nel suo insieme. Attraverso il reporting extra-finanziario, le aziende rendicontano questo impatto a tutti i propri portatori di interesse (stakeholder): il risultato è un documento che viene pubblicato ogni anno, sulla scia di quanto già accade con i tradizionali report finanziari.

L’Unione europea già nel 2014 aveva emanato una direttiva, chiamata Non-Financial Reporting Directive (NFRD), che rendeva questo report obbligatorio per le grandi società di interesse pubblico con più di 500 dipendenti, tra cui banche, società quotate, compagnie di assicurazione e tutte le altre realtà indicate come strategiche dalle autorità nazionali. Un primo passo senza dubbio necessario che però col tempo, a detta delle stesse istituzioni europee, si è rivelato «largamente insufficiente».

Il parlamento europeo in sessione plenaria
Il parlamento europeo in sessione plenaria © Mathieu Cugnot/European Union 2022

Quasi 50mila imprese saranno soggette al reporting di sostenibilità

La CSRD nasce proprio per colmare queste carenze e fare in modo che le informazioni sulla sostenibilità siano sempre di più e sempre più precise. Giovedì 10 novembre 2022, in plenaria, gli eurodeputati l’hanno approvata a larga maggioranza.

La prima, grande novità sta nel fatto che gli obblighi di trasparenza si applicano a tutte le grandi imprese che fatturano più di 150 milioni di euro all’anno nell’Unione europea. Questo indipendentemente dal fatto che siano quotate in Borsa o meno. Non conta nemmeno dove sia la loro sede: anche le imprese estere sono dunque soggette a questi obblighi, se superano la soglia di fatturato prefissata. Durante l’iter legis si era anche discusso di escludere la piccole e medie imprese (PMI) quotate in Borsa, una possibilità che aveva destato il dissenso di Finance Watch e altre organizzazioni non profit che si battono per la trasparenza. Alla fine però si è deciso si assoggettare anch’esse alla direttiva, seppure con tempi dilazionati rispetto alle realtà più grandi. A conti fatti, dunque, il perimetro si allarga dalle attuali 11.700 imprese a quasi 50mila.

«I rischi per la sostenibilità possono portare a un impatto finanziario diffuso e profondo sulle aziende e sulle loro operazioni. Trascurare i rischi per la sostenibilità, che sia da parte di imprese grandi, medie o piccole, ha effetti a catena che possono portare a perturbazioni economiche e instabilità finanziaria», sottolinea Aleksandra Palinska, senior research e advocacy officer di Finance Watch.

Cosa cambia con la CSRD

Oltre al «chi», però, cambia anche il «come». Più volte la direttiva esorta a elaborare i dati sulla base di criteri scientifici e delle linee guida più autorevoli in materia. In generale, l’intento è quello di fare in modo che gli standard per la rendicontazione della sostenibilità siano attendibili, omogenei e confrontabili con quelli adottati dagli altri Paesi.

La Commissione dovrà lavorare in questo senso, proprio come ha fatto in passato per i princìpi contabili. Saranno poi le società di revisione indipendenti a verificare che le rendicontazioni di sostenibilità siano conformi alle regole. Mesi fa si discuteva di imporre che fossero due società diverse a validare il report finanziario e quello non finanziario. La direttiva CSRD, più morbida, si limita a presentarla come un’opportunità, auspicando di «creare un mercato della revisione più aperto e diversificato».

https://twitter.com/GRI_Secretariat/status/1591062001346043905

CSRD: la tabella di marcia per grandi e piccole imprese

Inizialmente si pensava di poter partire con la raccolta dei dati già nel 2023, ma la tabella di marcia è slittata di un anno. Diverse organizzazioni (tra cui Eurosif, WWF, FinanceWatch, ShareAction e altre) si erano dette preoccupate per queste lungaggini, perché «qualsiasi ritardo avrà un impatto negativo sulla capacità delle aziende e dei partecipanti ai mercati finanziari di supportare la transizione sostenibile della nostra economia».

Le prime a dover mettere in pratica le nuove disposizioni, a partire dal 1 gennaio 2024, saranno dunque le grandi imprese che già erano sottoposte alla precedente direttiva (NFRD). La data indicata dalle istituzioni è quella in cui iniziare a raccogliere i dati per i report extra-finanziari da pubblicare l’anno successivo. Dal ° gennaio 2025 sarà dunque il turno delle grandi imprese che rispettano uno o più di questi requisiti: più di 250 dipendenti, 40 milioni di euro di fatturato, 20 milioni di euro di attività totali. Questa discrepanza, a detta della Alliance for Corporate Transparency, «non farà che compromettere la parità di condizioni e metterà alcuni Paesi e aziende in una posizione di svantaggio nell’accesso a flussi finanziari sostenibili», tanto più perché «diversi Paesi dell’Unione europea sono già andati oltre il recepimento della direttiva precedente».

C’è ancora più tempo a disposizione per le piccole e medie imprese (PMI) e per le altre aziende quotate. Partiranno infatti dal 1 gennaio 2026, con la possibilità per le PMI quotate di non partecipare fino al 2028.