Cade anche l’ultimo tabù: due banche dichiarano di investire in armi
Per adesso hanno dichiarato di investire in armi Crédit Agricole e BNP Paribas, colossi francesi che controllano diverse banche italiane
Cade anche l’ultimo tabù. Dopo le pressioni del governo francese, due grandi banche come Crédit Agricole e BNP Paribas hanno cominciato a investire apertamente nel settore della difesa. Ovvero nella produzione e nel commercio delle armi. Alla faccia dei criteri ESG (ambientali, sociali e di governance) cui dovrebbero conformarsi. Una mossa senza precedenti che, però, non interessa solo la Francia. Crédit Agricole infatti in Italia controlla Cariparma, il Credito Valtellinese, le Casse di Risparmio di Rimini, Cesena e La Spezia, ed è primo azionista di Banco BPM. Mentre BNP Paribas nel nostro Paese tra le altre possiede BNL, Findomestic e la banca online HelloBank!
È quindi evidente che questa svolta dei due colossi francesi va a interessare anche diversi istituti di credito italiani, i quali a loro volta dovranno rispondere ai loro clienti e investitori. Il quotidiano Les Echos, che riporta la notizia, ha chiesto ai diretti interessati se volevano esporre le motivazioni di questa scelta. Ma né Crédit Agricole né BNP Paribas hanno voluto rispondere nel merito. La stessa cosa era successa quando il ruolo di Crédit Agricole era già stato definito «particolarmente attiva a sostegno dell’industria della difesa» in un recente rapporto per la Commissione Difesa Francese. Un rapporto firmato da due eurodeputati di centrodestra: Jean-Charles Larsonneur (Alliance Centriste) e Jean-Louis Thiériot (Les Républicains).
Banche e armi: una questione politica, non solo di interessi economici
Secondo “Finance for War. Finance for Peace”, l’ultimo rapporto di GABV pubblicato lo scorso febbraio, la finanza investe circa mille miliardi di dollari nella produzione e nel commercio di armi. Ma, con l’esclusione dei fondi e delle banche statunitensi, finora gli istituti di credito europei avevano fatto di tutto per non associare apertamente il proprio nome a questi investimenti. Investivano, ma senza farlo in maniera diretta. Perché infrangere apertamente i parametri ESG li avrebbe messi in una situazione imbarazzante. Ma evidentemente le prospettive di guadagno del settore della difesa sono state sufficienti a rompere l’ultimo grande tabù.
Ma non c’è solo la dimensione economica, che pure è assai rilevante, dietro la decisione dei due colossi francesi. Il tutto nasce, anche, da una chiara indicazione politica. Secondo Les Echos, infatti, la mossa di Crédit Agricole e BNP Paribas sarebbe «una risposta indiretta al ministro delle Forze armate francesi Sébastien Lecornu». Il quale lo scorso maggio «ha minacciato di fare i nomi e coprire di vergogna quelle banche riluttanti che si rifiutavano di aprire linee di credito e di investire nel settore della difesa». Da qui la decisione dei due istituti che, come ricordato, ne controllano altri nel nostro Paese.
A voi la scelta tra la pace e la guerra
Il budget di 413 miliardi di euro di investimenti nel settore della difesa previsto nella legge sulla programmazione militare francese per prossimi sette anni sembrava troppo invitante. E così, attraverso il fondo Weinberg Capital che lo controlla, le due banche avrebbero cominciato una raccolta fondi per investire almeno 200 milioni di euro nel fondo Eiréné. Un fondo che prende il nome dalla dea greca della pace (sic!) e che, in nome dei parametri ESG (doppio sic!), propone investimenti nell’industria e nel commercio delle armi. «È un vero e proprio passo avanti», ha commentato la notizia Lionel Mestre, partner di Weinberg Capital.
Poi Mestre ha aggiunto che investire in questo commercio permette agli istituti di credito di «implementare la diversificazione negli investimenti». La stessa cosa l’ha quindi sostenuta un terzo istituto di credito francese, La Banque Postale, che pure non ha partecipato con investimenti diretti nei fondi di cui sopra. «Gli investimenti nel settore della difesa sono ormai considerati una priorità per le banche. A patto che rispettano le convenzioni internazionali e gli impegni assunti dalla Francia», ha detto un suo dirigente a Les Echos. I conflitti infuriano oramai ovunque. E il commercio di armi cresce ogni anno sempre di più. A questo punto le banche hanno due strade davanti a sé. Scegliere la pace. Oppure armarsi e partire, o meglio, fare partire i loro correntisti, per la guerra.