Trasparenza sul commercio di armi, la società civile alza la voce

Rete pace e disarmo, Libera e Banca Etica si mobilitano per opporsi alle modifiche annunciate dal governo alla legge sul mercato delle armi

Da sinistra a destra: Francesco Vignarca, della Rete Italiana Pace e Disarmo; Francesca Rispoli, componente dell'ufficio di presidenza di Libera; Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica; Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera © Gianni Spini

Difendere la Legge 185/90 dalle annunciate (peggiorative) modifiche proposte dall’attuale governo. E soprattutto coinvolgere la cittadinanza, informandola di quanto sta avvenendo nel silenzio generale. È con questi obiettivi, dopo una serie di audizioni alla Camera e al Senato, si sono ritrovate ieri a Roma oltre un centinaio di associazioni della società civile. Convocate da Libera, Rete Pace Disarmo e Banca Etica.

Le ragioni della mobilitazione a difesa della legge 185/90

Approvata il 9 luglio del 1990, la legge 185 è una norma fondamentale del nostro ordinamento giuridico. Regolamenta l’esportazione, l’importazione e il transito delle armi. E obbliga alla trasparenza industrie, banche e le società finanziarie che con le armi fanno affari. Dato il periodo storico che stiamo vivendo, volerla affossare negandone i presupposti di trasparenza in nome del libero mercato, può rappresentare un passo verso il baratro.

«Siamo qui oggi per ribadire a voce alta quanto le modifiche alla legge 185 rischiano di rendere i cittadini molto meno informati su cosa succede nel nostro Paese in tema di traffico e commercio di armi», spiega a Valori prima che la conferenza abbia inizio Francesca Rispoli, di Libera. «Avevamo una legge molto importante, che prevedeva tutta una serie di presidi di trasparenza e di monitoraggio da parte dei cittadini. Una legge che ha rappresentato un’avanguardia per oltre trent’anni e che oggi, in tutta fretta, viene smantellata da un Parlamento che preferisce l’opacità alla trasparenza. L’idea alla base dell’iniziativa di oggi è di rappresentare la rete delle realtà che si oppongono a queste modifiche. Perché si rischia di rendere la nostra democrazia ancora più fragile».

Le banche, l’industria delle armi e le pressioni sulla politica

Che l’idea di modificare la 185 venga da lontano, lo spiega a Valori Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Pace e Disarmo: «È già dal 2020/2021 che registriamo una pressione dell’industria delle armi. E allora l’attuale ministro della Difesa Guido Crosetto era proprio presidente di Aiad (la Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza, che riunisce tutti i fabbricanti di armi, ndr). Questa pressione è stata poi raccolta da pezzi della Difesa e del governo proprio per evitare che ci sia trasparenza sul tema ed evitare che ci siano i controlli».

«L’export italiano di armi negli ultimi anni è cresciuto del 85% – prosegue Vignarca -. Quindi non si tratta di voler affossare il commercio di armi, come racconta chi vuole stravolgere questa legge, ma di mantenere un controllo trasparente sul mercato stesso. Perché se il commercio armi rappresenta il 2% del commercio mondiale, questo è responsabile del 40% della corruzione. È evidente che dove ci sono armi c’è criminalità».

L’altro tema fondamentale è quello delle banche e degli istituti finanziari. Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica, osserva che è necessario «difendere quello che è stato un presidio di controllo e partecipazione della società civile. Uno dei principi cardine della finanza etica è la trasparenza, e la stessa Banca Etica nasce introno a queste istanze. Le modifiche proposte alla 185 vogliono cancellare la lista delle banche e degli istituti che investono in armamenti. Una lista attraverso cui risparmiatori e risparmiatrici potevano farsi un’idea di quelli che sono gli istituti finanziari coinvolti. E fare così delle scelte coerenti con i propri valori. Ci sembra tra l’altro che questa iniziativa governativa di fatto si ponga anche in controtendenza rispetto a quanto chiede l’Unione Europea, che negli ultimi anni sta legiferando proprio in termini di una maggiore richiesta di trasparenza per le istituzioni finanziarie rispetto ai settori di investimento agli impatti sociali dei loro prodotti».

«Una certa finanza, una certa economia che uccide»

Alla conferenza tenuta nella nuova sede romana di Libera, una ex sala slot confiscata alle mafie, ha partecipato anche Laura Boldrini: «Il tentativo si smantellare questa legge si inserisce in un quadro geopolitico globale fragile e preoccupante. Per questo siamo qui a difenderla», ha dichiarato l’ex Presidente della Camera dei deputati. «Il punto fondamentale è ripristinare la trasparenza del settore bancario, togliere quella lista significa penalizzare l’opinione pubblica. Non consentire alle persone di essere consapevoli e fare un regalo a quelle banche che non fanno differenza sugli investimenti e a cui va bene tutto purché ci sia guadagno. La guerra non va mai normalizzata. L’Unione Europea è il più grande progetto di pace della storia. E non può considerare la guerra come processo di risoluzione delle controversie tra gli Stati».

Molto incisivo anche l’intervento di Don Luigi Ciotti, fondatore della stessa Libera, associazione che è riuscita a far passare la legge sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie: «La democrazia è partecipata o non è tale. Noi siamo qui perché vogliamo partecipare al bene del nostro Paese. Prendiamo atto che la storia non ci ha insegnato nulla, non è più maestra di vita se oggi ci sono ben 59 guerre in corso. Una follia distruttiva. Bisogna prendere atto ancora una volta che c’è una certa finanza e una certa economia che uccide, con le armi o con i disastri ecologici. Alla cattiva politica che ci sta riportando indietro e vuole togliere diritti non si può rispondere con la fuga dalle nostre responsabilità. Ma assumendoci ancora più responsabilità».

L’impegno delle Ong e della società civile

Oltre alle audizioni alla Camera e al Senato, al costante monitoraggio e alla partecipata conferenza di ieri, tutte le associazioni e le reti presenti invitano a firmare una petizione proposta dalla Rete Pace Disarmo per fermare lo svuotamento della legge 185. E per chiedere un maggiore controllo sull’export di armi italiane.

Numerose le proposte avanzate. La principale, ovviamente, è impedire la cancellazione della Relazione annuale al Parlamento che riporta i dettagli dell’interazione tra banche e aziende militari. Ma si vuole anche scongiurare l’eliminazione dell’Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento presso la Presidenza del Consiglio. Al contrario, si propone di migliorare la 185, basandosi sul trattato sul Commercio delle armi del 2013 delle Nazioni Unite.

Alla conferenza, oltre a Acli, Legacoop e Alleanza Cooperative, ha partecipato anche Oxfam Italia con la sua presidente Emilia Romano. «In quanto Ong internazionale con diverse persone presenti in aree di conflitto – ha spiegato – siamo molto preoccupati di non poter più intervenire o anche solo conoscere la situazione delle guerre e delle armi». Mentre la presidente di Arci Greta Barbolini ha osservato: «Siamo qui per unire la nostra voce e sommare il nostro impegno alla società civile in difesa di questa legge. Quando la società civile viene indebolita si allenta la democrazia. Siamo davanti a una vera e propria controriforma patrocinata dall’industria bellica e quel mondo finanziario che la sostiene. Una controriforma nemica del bene comune, dello sviluppo e della sostenibilità. Un controriforma sbagliata in sé e ancora più sbagliata e irresponsabile ora, nella situazione globale in cui viviamo».

L’appello al mondo della cultura e l’invito alla disobbedienza civile

Presente anche il presidente di Amnesty International Italia Riccardo Noury, che ha lanciato un accorato appello al mondo della cultura affinché partecipi a questa battaglia: «Le banche hanno un ruolo sempre più importante all’interno dell’industria culturale. Mettono a disposizione i luoghi dove fare cultura. Sovvenzionano produzioni, film, teatri. E se fino a oggi tutte le persone interessate avevano la possibilità di rifiutare il patrocinio o il nome di una banca perché sapevano che quell’istituto partecipava al commercio di armi, adesso non sarà più possibile. C’è il rischio che in molti, in buona fede, accettino i soldi di istituti che investono in armi. Per questo faccio appello al mondo della cultura. Perché si associ a noi in questa battaglia».

In conclusione, le parole pungenti e mai banali di Alex Zanotelli. «È inutile che stiamo qui a prenderci in giro. A difendere una legge quando sappiamo che sono sempre i governi i primi a non rispettarla, perché sono prigionieri del complesso industriale militare», l’accusa del missionario comboniano, che ha sottolineato anche il binomio inscindibile tra guerra e cambiamenti climatici.  «Le armi sono essenziali se vogliamo continuare a vivere così, in questo mondo e con questi valori. Se vogliamo continuare a vivere in un mondo dominato dall’industria militare e da quella delle energie fossili. Per cui non solo sta finendo solo la nostra civiltà ma si sta estinguendo l’umanità sul Pianeta. Questo è il nostro sistema e questi sono i nostri valori. Questo è il mondo che le armi proteggono. L’unica alternativa è la disobbedienza civile».