Sei righe

Corruzione, illegalità, mafie, economia e finanza. Ogni martedì il commento di Rosy Battaglia

Sono passati 25 anni dalla legge nazionale 109 del 7 marzo 1996 che ha regolamentato l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie in Italia. E l’anno prossimo saranno passati 40 anni dalla storica legge Rognoni-La Torre che, per prima, nel 1982, introdusse nel codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali, come il sequestro e la confisca dei beni mobili e immobili. 

I risultati? Ci sono stati, anche se se ne parla poco. Con un valore economico enorme pari l’1,8% del Pil nazionale pre-crisi. Basti pensare che, secondo i dati ottenuti da Valori.it dalla Direzione Centrale della Polizia Criminale, solo dal 2015 al 2019, quasi 32 miliardi di euro sono stati sottratti alle mafie tra beni sequestrati e confiscati. Non solo immobili, come ville, terreni, appartamenti oltre 36mila dal 1982 ad oggi. Ma sempre più aziende, titoli, quote societarie e depositi bancari

Eppure, come ci ricorda Enrico Fontana, ex-vicepresidente nazionale di Libera e responsabile dell’Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente, ad una riforma così importante, che trasforma i beni confiscati in beni comuni, sono state dedicate solo sei righe nell’ultima bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Significa, sottolinea Enrico Fontana, «non aver ancora capito nulla o quasi della pervasività economica delle mafie, che controllano patrimoni immobiliari nelle periferie urbane, attività commerciali nei centri storici e “avvelenano” anche gli investimenti per le energie rinnovabili». 

Tanto più che, come attesta il report di Libera, ben 5 beni su 10 rimangono ancora da destinare. E a ciò contribuisce il fatto che Stato, istituzioni regionali e locali non sono ancora in grado di vigilare sulla trasparenza delle assegnazioni. Su 1.076 comuni monitorati destinatari di beni immobili confiscati, 670 non pubblicano l’elenco sul loro sito internet, come invece prescrive il Codice Antimafia. Ciò significa che ben il 62% dei comuni è totalmente inadempiente.  Come a dire che la maggioranza dei cittadini non è neppure a conoscenza che quei beni siano disponibili per la collettività. 

Chissà se il Presidente Mario Draghi, i tecnici dei MEF, gli esperti esterni di McKinsey designati alla revisione del PNRR, amplieranno quelle sei righe. Certo, occorrerebbe uno scatto di orgoglio della Pubblica Amministrazione italiana e dare maggior ascolto alle organizzazioni di cittadinanza attiva che il monitoraggio sul suo operato lo fanno già.