Bielorussia, le banche puntano ai guadagni e dimenticano i diritti

La strategia di alcuni istituti finanziari sta di fatto aiutando il regime antidemocratico della Bielorussia

Il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko durante un comizio nel maggio del 2020 © RuslanKaln/iStockPhoto

Per qualcuno la vicenda della velocista bielorussa Krystsina Tsimanouskaya alle olimpiadi di Tokyo ha mostrato niente altro che le paranoie del regime. L’atleta della Bielorussia aveva criticato la gestione della squadra olimpica di atletica (in realtà si era lamentata solo di non essere stata informata che avrebbe dovuto correre la staffetta). Per questo le autorità del suo Paese volevano obbligarla a rimpatriare. Ma lei ha chiesto aiuto al pavido Comitato Olimpico Internazionale e ottenuto ospitalità dalla Polonia.

Le Bielorussia è una “democratura”

Ma che la Bielorussia di Aljaksandr Lukašenko sia una “democratura”, ovvero una democrazia totalitaria, in cui gli elementi di democrazia formale lasciano progressivamente il posto a caratteristiche dittatoriali, è un fatto accettato quasi unanimemente a livello internazionale.

Un’altra giovane bielorussa, l’attivista e leader dell’opposizione Svetlana Tzikanouskaya, aveva parlato nell’aprile scorso alla Commissione Esteri della Camera dei Deputati. Chiedendo la solidarietà dell’Italia in nome della sua tradizione democratica e della Resistenza contro il fascismo. Arresti immotivati ed indiscriminati, con accuse generiche e prive di fondamento giuridico. Ma anche torture e violenze contro esponenti dell’opposizione sono all’ordine del giorno in Bielorussia. La Commissione – presieduta da Piero Fassino (Pd) – ha, ovviamente, espresso all’unanimità il sostegno a Svetlana Tzikanouskaya. Come già avevano fatto il Parlamento italiano e tutte le istituzioni dei Paesi democratici.

Le banche che sostengono il regime bielorusso nonostante le policy ESG

È però altrettanto pacifico che pecunia non olet. E quelle stesse istituzioni democratiche che condannano il regime bielorusso non si fanno scrupolo di aiutarlo attraverso la finanza. Il sito OpenDemocracy ha recentemente pubblicato un lungo articolo nel quale si dà conto di come le banche internazionali abbiano sostenuto la Bielorussia nell’emissione sulla piazza di Londra di due fondi sovrani nell’estate del 2020. Entrando così in conflitto con le proprie policies interne. Citi, Raiffeisen, Société Générale e Renaissance Capital sono i campioni di questa operazione, per un totale di 1,25 miliardi di dollari.

Niente di nuovo sotto il sole, si dirà. Vero, ma è anche rilevante che le prime tre banche abbiano pubblicato una policy ESG (Environmental, Social, Governance) che avrebbero dovuto guidarle nell’assunzione di decisioni finanziarie quanto meno non contraddittorie con i principi che le fondano.

Quando i principi ESG diventano una foglia di fico

L’obiettivo dei fondi sovrani era, secondo quanto dichiarato dal ministero delle Finanze bielorusso nei documenti ufficiali, quello di rifinanziare il debito pubblico del Paese. E gli stessi documenti ufficiali dichiaravano che «nessuno dei proventi di tali emissioni sarà usato per finanziare attività o persone in violazione delle sanzioni introdotte (nel 2004 e poi rafforzate nel 2011, ndr) dalla Ue, dalla Gran Bretagna o dagli Stati Uniti».

Quando, nel giugno 2020, la Bielorussia emise le obbligazioni, la Borsa londinese dichiarò che la Bielorussia era «fortemente propensa ad implementare le credenziali ESG». Il ministro delle Finanze bielorusso, Yuri Seliverstau, si augurava che «la cooperazione fra il nostro Paese e il London Stock Exchange continui». Aggiungendo che «il governo è impegnato ad implementare l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Ed è molto coinvolto nello sviluppare tutti gli aspetti ESG». Dunque, pareva che la lingua ESG fosse comune a governo bielorusso e banche internazionali. E gli investitori si sentirono rassicurati e fiutarono l’affare.

In fondo la Bielorussia aveva buoni fondamentali: un rapporto ragionevole fra debito e PIL, un buon dato storico sulla gestione del debito. E ancora mercati di esportazione decenti. Assieme alla volontà, apparentemente, di aprirsi agli investimenti stranieri. Tanto che  società di investimento quali Abrdn, HSBC, Franklin Templeton, Payden & Rygel, Amundi, BlackRock, PIMCO ne avevano approfittato, sottoscrivendo le obbligazioni bielorusse.

Le violazioni dei diritti umani in Bielorussia

Ma già allora le autorità bielorusse si erano sbarazzate di alcuni potenziali candidati alla presidenza come il blogger Siarhei Tsikhanouski e il banchiere Viktar Babaryka. Entrambi rischiano 15 anni di galera. Il primo per aver usato YouTube per convocare proteste popolari contro il governo. L’altro per riciclaggio di denaro, evasione fiscale e corruzione.

Un altro potenziale candidato, Valeri Tsepkala, era fuggito dal Paese indagato per corruzione dalle autorità bielorusse. E le elezioni del 9 agosto 2020 che assegnarono a Lukašenko l’80% dei consensi furono considerate fraudolente. Per questo non erano state riconosciute da Unione europea, Gran Bretagna e Stati Uniti. Le manifestazioni di piazza e la violenta repressione della polizia, con torture e arresti arbitrari sono state la conferma che il regime fosse tutt’altro che compliance con i principi ESG.

Qualcosa non ha funzionato dei processi di valutazione ESG

Ora, è chiaro che qualcosa non abbia funzionato nei processi di valutazione ESG delle banche e istituti finanziari che hanno sostenuto le obbligazioni bielorusse. E neppure si può ritenere in questo caso che gli investitori in fondi sovrani siano in grado di ingaggiare informalmente gli Stati per incoraggiarli a condotte più responsabili. Come pure sostenuto nei Principles of Responsible Investing, iniziativa sostenuta dalle Nazioni Unite di cui pure Citi, Raiffeisen, Société Générale sono firmatarie.

Una donna bielorussa durante un corteo nella città di Gomel, nel 2018 © Sviatlana Lazarenka/iStockPhoto

Infatti, le banche in oggetto, interpellate da OpenDemocracy su come gestiscono il rischio ESG, si sono rifiutate di rispondere oppure lo hanno fatto in modo evasivo.

I fondi sono serviti a reprimere le libertà civili?

Vi sono però molto più che sospetti, riportati dall’articolo di OpenDemocracy, che i fondi derivati dall’operazione finanziaria sulla piazza di Londra siano serviti al regime per sostenere l’ampia opera di repressione delle libertà civili seguite alle elezioni di agosto 2020. E le banche investitrici, così come le autorità della Borsa di Londra, sono state informate di ciò con lettere circostanziate di autorevoli personalità bielorusse.

Il fatto è che, al contrario che per le obbligazioni societarie sottoposte a obblighi di trasparenza abbastanza rilevanti, i rischi correlati alle obbligazioni statali non sono mai descritti in modo dettagliato. Sono pochi gli elementi di trasparenza richiesti dalle Borse in quanto si tende a pensare che il governo di un Paese – quando i fondamentali economici sono abbastanza in regola –  non abbia niente di più da dimostrare. In fondo è davvero raro che una nazione vada in default.

I rischi ESG non sono solo economico-finanziari

Ma i rischi ESG contemplano ben altri elementi che quelli di stabilità meramente economico-finanziaria. Tali elementi (soprattutto attinenti ai comportamenti del governo in termini di garanzia dei diritti umani e sociali o di gestione della governance del Paese, oltre che delle sue politiche ambientali) possono avere delle ricadute importanti anche sulla stabilità finanziaria.

Basti pensare che subito dopo l’atterraggio forzato nel maggio scorso del volo Ryanair con a bordo il giornalista indipendente Roman Protasevich poi arrestato dalla polizia della Bielorussia, il valore delle obbligazioni ha subito un considerevole crollo (-4% e una crescita dello spread con le obbligazioni del Tesoro americano da 61 punti base a 627).

Nonostante i fondi sovrani il debito continua a crescere

In ogni caso dalla sottoscrizione delle obbligazioni ad oggi il debito pubblico della Bielorussia è notevolmente cresciuto, con ciò contraddicendo la funzione dei due fondi sovrani emessi nel giugno 2020. Ora, gli investitori avrebbero avuto tutto il diritto di chiedere un audit per sapere come sono stati spesi i soldi da loro investiti, visti i risultati fin qui deludenti oltre che discutibili sotto il profilo delle loro policies. Ma non lo hanno fatto.

I due fondi sovrani bielorussi rispettivamente di 500 e di 750 milioni di dollari matureranno nel 2026 e nel 2031: le banche investitrici faranno qualcosa prima di allora per rendere meno vacue le loro strategie ESG e al contempo difendere i soldi dei loro risparmiatori e azionisti? Perché, in fin dei conti, quelli investiti nei fondi bielorussi sono soldi dei risparmiatori e degli investitori di Citi, Raiffeisen, Société Générale.