Si vis pecuniam, para bellum. Quando la pace fa crollare le azioni delle armi
Titoli del settore difesa in forte calo, tra –4 e –9%, spinti dai segnali di fine guerra in Ucraina
La realtà, per le aziende del settore difesa, è sempre la stessa: vanno meglio quando c’è la guerra. «Si vis pecuniam, para bellum», si potrebbe sintetizzare riscrivendo la massima latina. Una triste conferma, se ve ne fosse bisogno, è arrivata nei giorni scorsi. L’incontro tra Vladimir Putin e Donald Trump, e poi tra Putin, Volodymyr Zelensky e i leader europei di Francia, Regno Unito e Germania, aveva fatto intravedere una possibile soluzione per la crisi ucraina – prospettiva in verità eccessivamente ottimista, ma basata sulle dichiarazioni del presidente statunitense –. Non solo. Sul fronte mediorientale, le aperture di Hamas hanno avuto lo stesso effetto, far immaginare la fine del conflitto che si trascina da quasi due anni.
Risultato: valori giù. Martedì 19 agosto lo SXPARO, indice che include i titoli europei dei settori difesa e aerospazio, ha perso quasi il 3%, proprio nelle stesse ore in cui lo STOXX600, che raccoglie le aziende più capitalizzate del Vecchio continente, al contrario guadagnava circa lo 0,70%.
La pace agita i mercati della difesa
La fine dell’utopia di un governo globale e il ritorno dell’insicurezza hanno giovato al settore delle armi e della difesa. Guardiamo l’italiana Leonardo, società peraltro a controllo pubblico: cinque anni fa (agosto 2020) le azioni si scambiavano attorno ai cinque euro l’una. Allora c’era il Covid, si dirà, e anche i conflitti avevano rallentato il passo. Ma qualche mese prima, a febbraio, il prezzo si aggirava attorno ai dieci euro, soglia attorno cui si attestava da anni. Oggi il valore è quintuplicato (46 euro).
La britannica Babcock international (attiva in aerospazio, difesa ed energia nucleare, speciallizzata nel gestire asset complessi e infrastrutture) nel gennaio di cinque anni fa si scambiava poco sopra le 6 sterline per azione: oggi siamo a 9,71. Non va diversamente per Thales (francese): scambiata attorno ai cento euro per azione nel gennaio di cinque anni fa, oggi veleggia attorno ai 230 euro, oltre il doppio. Osservando i grafici, si nota chiaramente per tutte un rialzo dopo il 2022.
Aspettative in calo per l’industria bellica
La finanza si gioca sulle aspettative. E quando ci si sgancia dall’economia reale, basta un annuncio – a volte un rumour, o persino una sensazione – a provocare oscillazioni importanti. Nei mesi scorsi ne abbiamo avuta una prova: l’aumento concordato delle spese militari per i Paesi Nato al 5% aveva giovato ai titoli del settore. Al contrario, la promessa del presidente ucraino Volodymyr Zelensky di acquistare 100 miliardi di dollari di armi statunitensi (finanziate dagli alleati europei) aveva allarmato i trader, preoccupati di perdere una fetta dei ricavi. Proprio come l’idea che fossimo vicini al termine delle due crisi internazionali che più coinvolgono l’Occidente.
La questione che ci si può porre, dunque, è: che peso hanno i colossi delle armi nelle decisioni di politica estera degli Stati? I governi hanno, chiaramente, la necessità di pensare alla difesa; ma l’economia conta nell’orientare le decisioni degli esecutivi, e quello delle armi non è un business come un altro. Non è la stessa cosa se a ispirare le scelte di un primo ministro è il settore agricolo o chi produce missili ed elicotteri da combattimento.
Borsa e armi: un segnale oltre i numeri
Il mondo occidentale non si è mai ripreso dalle crisi del 2008 e del 2011, e governi e investitori sono più che mai alla ricerca di aziende e settori redditizi per sostituire le rendite di posizione divorate dai nuovi attori asiatici. In questo scenario, non si va troppo per il sottile. E le aziende del settore difesa stanno da anni conoscendo un boom paragonabile addirittura a quello dell’intelligenza artificiale. Come riporta l’agenzia di stampa Reuters, Renk, Leonardo, Hensoldt, Babcock International, Saab, Rheinmetall, Thales e Bae Systems in media negli ultimi giorni sono state scambiate a dodici volte i guadagni attesi per il prossimo anno: circa il doppio della media dell’ultimo lustro. Il che pone i fornitori della difesa europea, commenta l’agenzia, «grossomodo alla pari con Microsoft e Nvidia» in questo senso.
Queste riflessioni sono ben note agli esecutivi. Per questo è importante scrutinare la politica estera italiana e internazionale: per accertarsi che le decisioni prese rispondano a interessi di sicurezza, e non a mere logiche aziendali o di bilancio. Non c’è bisogno di sottolineare quanto sarebbe miope agire diversamente.
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