I collaboratori del carbone che uccidono il clima

Urgewald/Banktrack: in tre anni le banche hanno investito quasi mezzo trilione di dollari nel carbone. Un assist mortifero al cambiamento climatico

Antonio Tricarico
Foto: Eickhoff Maschinenfabrik und Eisengießerei, Bochum Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)
Antonio Tricarico
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Che il carbone sia il principale killer del clima del Pianeta ed avveleni la vita delle comunità che vivono vicino a centrali elettriche e miniere è risaputo e conclamato. E non è una novità che la resistenza a chiudere gli impianti inquinanti e ad abbandonare i piani futuri per la stessa risorsa venga da quelle società – come il gigante tedesco RWE – e quei governi – Polonia, Turchia e Indonesia, ad esempio – che costruiscono la loro identità e i loro affari sulla polvere nera killer. Ma che il settore finanziario – nonostante la retorica assordante per agire urgentemente contro i cambiamenti climatici e per la sostenibilità – abbia investito ben 478 miliardi di dollari (quasi un terzo del Pil dell’Italia!) per finanziare nuovi impianti a carbone nel mondo negli ultimi tre anni è sconvolgente e ipocrita.

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Un fiume di denaro

La comunità scientifica internazionale ha recentemente ammesso che per arrestare il riscaldamento del Pianeta entro 1,5 gradi centigradi bisogna farla finita con il carbone entro il 2030 e solo poche eccezioni possono essere tollerate in seguito. Ma il fiume di denaro investito in nuovi impianti a carbone di fatto getta le basi per aumentare e non diminuire l’uso del carbone a livello globale: 92.000 MW di nuova potenza installata nei soli ultimi tre anni, pari a quasi la potenza di generazione elettrica installata in tutta l’Italia.

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I “collaboratori del carbone”

Lo hanno svelato in occasione degli incontri sul clima di Katowice l’Ong tedesca Urgewald e la rete internazionale BankTrack con il loro rapporto sui “collaboratori del carbone”, dal gioco di parole in inglese coal-laborators. Guidano la lugubre classifica dei finanziatori dell’omicidio del clima le banche giapponesi (Mizuho Financial e Mitsubishi Financial) con più del trenta per cento dei prestiti. L’analisi ha considerato i finanziamenti e gli investimenti nelle 120 società che guidano a livello globale la realizzazione di nuovi impianti coal – pari al 68% della nuova potenza a carbone pianificata di ben 670,000 MW. Le banche cinesi hanno una leadership nella sottoscrizione di nuove azioni e bond per queste aziende top inquinatori. Ma gli investitori istituzionali che detengono in ultima istanza i titoli degli assassini del clima non sono da meno. 140 miliardi di dollari in nuovi investimenti, principalmente da parte di grandi investitori a stelle e strisce.

Banche europee (italiane comprese)

E gli europei, da sempre paladini, a parole, della lotta contro i cambiamenti climatici? Quando si passa dalle parole a contare i soldi la realtà è ben diversa. Il 25 per cento circa dei 478 miliardi di dollari di prestiti viene da banche del Vecchio Continente. Le inglesi HSBC e Standard Chartered primeggiano, ma l’italiana UniCredit è al 22 posto nel ranking mondiale, con 1,071 miliardi di dollari. UniCredit è da sempre molto attiva in Est Europa dove il carbone ancora piace: si pensi al governo polacco che ospita in questi giorni l’assise sul clima e promuove il carbone come combustibile pulito!

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Un paradosso economico

Negli ultimi anni, sotto le pressioni della società civile internazionale, diverse banche si sono impegnate a ridurre i loro finanziamenti per specifici progetti a carbone. Salvo poi continuare a finanziare le grandi utility e chi costruisce i nuovi impianti con prestiti di carattere generale e linee di credito varie. Non solo un’ipocrisia ma anche un paradosso economico, visto che diversi analisti hanno dato per spacciato questo sotto-settore elettrico nel lungo termine. E c’è chi ha parlato addirittura di investimenti in stranded assets: attivi incagliati e non recuperabili visto il rischio climatico soppesato dalla comunità finanziaria. Il governo italiano d’altra parte ha deciso di chiudere tutte le centrali a carbone su suolo italico entro il 2025. Peccato che i capitali italiani – che sovranisti non sono – continuino a finanziare la medesima fonte fossile altrove, con buona pace del clima.

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Campagna “Fossil-Bank”

La presentazione della ricerca è stata anche l’occasione per presentare la campagna https://www.fossilbanks.org/ sul sito oltre a firmare la petizione per chiedere di interrompere i finanziamenti ai fossili è possibili avere dati aggiornati sui principali attori del mondo della finanza e del credito impegnati a sostenere investimenti “tossici”.

*Responsabile del programma Finanza pubblica di Re:Common