Brasile: Bolsonaro, i militari e la politica al servizio degli Usa

Si è insediato il primo gennaio 2019, ma le scelte di politica interna ed estera sono già chiare. Addio all'interesse nazionale, per piegarsi all'imperialismo statunitense

Renato Rabelo
Renato Rabelo
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La formazione in Brasile del governo di Jair Bolsonaro, insediatosi il 1° gennaio 2019, vede un’accentuata partecipazione di ufficiali militari. Oltre alla vicepresidenza della Repubblica, ne sono stati indicati otto di alto grado, che godono di grande autorità in ambito militare. Occupano posti di comando di ministeri centrali e strategici. La presenza di componenti delle Forze Armate si allarga al secondo e al terzo livello, in posti significativi, e già raggiunge un centinaio di poltrone. Se comparato con i governi del periodo del regime militare imposto nel 1964, è un contingente addirittura superiore. Si tratta di un fatto inedito nella storia della Repubblica.

Dietro la candidatura l’esercito e la dinastia dei Bolsonaro

Le Forze Armate, a partire dall’Alto Comando soprattutto dell’Esercito, da un certo momento hanno in vario modo patrocinato la candidatura di Jair Bolsonaro, nella preparazione e nella campagna per la presidenza della Repubblica. Ci sono stati momenti in cui questo attivismo ha passato il Rubicone istituzionale, con prese di posizioni che hanno fatto pressione sul STF/Supremo tribunale federale affinché negasse l’habeas corpus all’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, escluso dall’ultima competizione presidenziale.

Terminata la composizione del governo, che è risultato un arcipelago di segmenti diversi, i militari siedono come soci di maggioranza nel centro decisionale, e sono i più organizzati e disciplinati. Per quanto concerne questa conformazione asimmetrica è necessario segnalare il ruolo della famiglia Bolsonaro e dei suoi adepti. Si avvicina ad una dinastia politica che occupa un posto nella presidenza, ha un ideologo, utilizza la forma di relazione con la sua base sociale attraverso le reti sociali, intralcia l’interesse pubblico, si pone al di sopra dei partiti politici e delle relazioni pubbico-privato. Ci sono indici palesi del suo legame con milizie dello Stato di Rio de Janeiro.

Le aspettative dei militari verso il nuovo governo

Questo governo nella su immagine “verde oliva” vede una forte partecipazione dei militari, che sembrano decisi a tornare a governare. Tuttavia non è evidente se siano oggettivamente uniti intorno a un progetto comune per il Paese. Questa situazione pone in gioco in vario modo il prestigio delle stesse Forze Armate in caso di insuccesso. Rischio che assume forme accentuate, anche se i militari in servizio, incluso l’Alto Comando, non si considerano parte del governo. Il contingente di militari della riserva nel governo conserva tuttavia grande autorità fra i comandi in servizio.

Una parte significativa della classe dominante che ha aderito alla candidatura di Bolsonaro nutriva speranze che i militari nel governo avrebbero potuto svolgere un ruolo di controllo. Bolsonaro aveva già dimostrato uno squilibrio emotivo e una certa grossolanità nella sua carriera militare e politica. Tuttavia fin dall’inizio il suo governo ha dato segni di difficoltà per il modo in cui il presidente ha agito all’interno della sua famiglia e soprattutto per il comportamento fuori controllo che lo ha caratterizzato nell’alto incarico di presidente della Repubblica, accrescendo l’apprensione delle élites dominanti nell’anticipare il ruolo guida che si attendevano da parte dei militari.

Un governo incerto che pesa sull’economia del Paese

Da questa situazione deriva una domanda sull’essenza stessa del governo Bolsonaro: il presidente eletto dirigerà o sarà diretto? Incapsulato nei suoi limiti e nel costante squilibrio, il nuovo presidente sarà capace di esercitare pienamente i poteri da presidnete della Repubblica? O prevarrà una forma di tutela che garantisca la governance all’interno di un cammino decoroso per il Paese? O scommetterà su un’avventura autoritaria?

Da ciò discende una conseguenza di maggior peso, che può favorire una situazione di instabilità costante, portando a risultati di maggiore incertezza nel governo. Congiuntura che può aggravarsi in questo momento di grandi imperativi e difficili scelte strutturali per il destino della nazione. La crisi economico-sociale che vive il Brasile è molto grave. Insomma, in queste circostanze l’opzione dei militari per la presidenza di Jair Bolsonaro è una scommessa dal risultato imprevedibile, un progetto caratterizzato da molteplici dilemmi e scelte difficili.

Una politica interna autoritaria…

È pesante la responsabilità dei militari per le conseguenze dell’opzione di sostenere il governo Bolsonaro. Essi si trovano a confrontarsi con una questione della massima importanza: quale è il cammino e l’indirizzo che questo governo deve seguire? È evidente che il presidente presenti un profilo programmatico di accentuato slancio autoritario, impegnato nella demolizione di conquiste sindacali e di incivilimento, con un progetto ultraliberale di un dogmatismo fiscalista superato, di pesante austerità per la maggioranza della Nazione, con privatizzazione di tutto e con la denazionalizzazione dell’economia.

..e una politica estera al servizio di Trump

E Bolsonaro è portato alla difesa di una politica estera e di un conseguente indirizzo geopolitico – una questione di funzione e interesse della Forze Armate – volta a trasformate il Brasile in una base per contenere o rinviare il processo in corso di transizione mondiale di multipolarizzazione del sistema internazionale. Egli segue una logica antinazionale nell’offrire in modo intempestivo una base militare nazionale (quella di Alcantara in Maranhão) agli Stati Uniti, nell’optare per l’agganciamento al governo Trump, mettendo il Brasile nella rotta di possibili collisioni bellicose della strategia di quella potenza imperialista. Provoca azioni bellicistiche contro il Venezuela e incentiva una cultura sinofoba. La preferenza del presidente della Repubblica è quindi ovvia .

Contro l’interesse nazionale, sceglie l’imperialismo Usa

In un’analisi più ampia, il mondo attuale passa attraverso cambiamenti vasti, sia per quanto concerne la base produttiva e tecnologica, sia nella forma di dominio capitalista e nelle relazioni di potere fra stati-nazioni. È in questo contesto globale che la tendenza di decomposizione strutturale dell’egemonia degli Stati Uniti, l’ascesa di nuovi poli di potere e la multipolarizzazione crescente definiscono il bilancio delle forze in movimento. È all’interno dell’evoluzione di questa situazione mondiale, in un quadro in cui si rafforza l’instabilità sistemica – con una implicazione profonda per la geopolitica del Brasile e la sua strategia nazionale – che il Brasile dovrebbe giovarsi dello spazio disponibile per rafforzare il proprio interesse nazionale, elevare il potere del Paese, aprire la strada a un proprio progetto di sviluppo.

È in questo contesto, dunque, che il presidente Bolsonaro, in contrasto con l’interesse nazionale, indica il cammino di un semplice agganciamento agli obiettivi dell’imperialismo statunitense nel continente latino americano, senza nascondere la sua propensione di collaborazione con la strategia del governo di Donald Trump di rilancio dell’egemonia nordamericana.

Nella geopolitica mondiale, la ripresa degli Usa

Quindi il quadro globale risulta ancor più condizionante e la questione centrale è: in questo secondo decennio del XXI secolo avviene la riorganizzazione della grande strategia americana con l’obiettivo di rovesciare la tendenza del suo declino. Questa ridefinizione strategica inizia dal 2011 nel governo Obama. E nel 2017, nel primo anno del governo Trump, viene annunciata la nuova Strategia di Sicurezza Nazionale (SSN nella sigla inglese) che in termini geopolitici intende strutturare una politica di contenimento dell’ascesa cinese e di rilancio dell’egemonia degli Stati Uniti. È un tentativo di riprendere la politica, allora di successo, di accerchiamento dell’ex URSS dell’epoca della guerra fredda.

Dall’altro lato, nel caso della nuova politica orientale, centro dell’“Era Asiatica”, la Repubblica Popolate Cinese sviluppa la sua strategia denominata Cina 2025, collegata a grandi iniziative geostrategiche come “una cintura, una rotta”, la nuova via della seta. È questo un ambizioso programma mirato a raggiungere la supremazia tecnologica grazie ad un processo di innovazione esponenziale in aree decisive della base del potere mondiale: intelligenza artificiale, robotica industriale e computazione quantica.

Verso il predominio tecnologico

In questo decorso mondiale le grandi potenze entrano in una era di competizione per il dominio delle tecnologie che organizzeranno la base materiale nazionale e il mondo. La cosiddetta guerra commerciale è la punta dell’iceberg. Ma il centro della nuova guerra globale è la supremazia e il dominio di queste tecnologie critiche. Oggi fondamento nodale della geopolitica mondiale sono i livelli tecnologici che raggiungono le forze produttive, che definiranno le modalità di accumulazione sistemica del secolo in corso e la capacità di sviluppo economico-sociale.

E il Brasile arretra

Di fronte a tutto ciò non è chiaro fino ad ora come i militari che occupano posizioni chiave nel governo intendono posizionarsi, in ambito esecutivo, su tali questioni geostrategiche decisive, in quanto anche fra di loro vi sono controversie.

È deplorevole che il Brasile – in un momento di riorganizzazione dell’ordine globale – adotti una posizione di arretramento sulle questioni più strategiche e sensibili nell’ordine mondiale. Ancora più dannoso per la nostra sovranità e la difesa nazionale sarebbe se il governo pretendesse dal partito di piegarsi all’attuale strategia degli Stati Uniti. Tale strategia, come abbiamo visto, comprende la continuità della sua egemonia mondiale, attivando, al di sopra degli organismi multilateriali, tutto il suo esistente potere geopolitico, economico e militare a servizio della predominante azione belligerante.

La crescente tensione in Venezuela

Fin dal governo Temer (agosto 2016) si è andata sviluppando una accelerata cooperazione militare fra Brasile e Usa. È significativo che apparentemente i militari mantengano gli indirizzi della Strategia Nazionale di Difesa (END) fissata nel 2008, rivista nel 2012 e di nuovo nel 2016, approvata dal Congresso nazionale solo nel dicembre 2018, la quale stabilisce come priorità l’integrazione regionale, la preservazione della pace e la difesa della multipolarità.

La preoccupazione immediata della cooperazione militare fra Brasile e Usa, il punto sensibile, si riferisce ai risultati dell’accordo stabilito nel contesto della crescente tensione in Venezuela. La decisione degli Usa di interrompere l’esperienza bolivariana data da oltre un decennio. Essa viene messa in pratica, dopo il fallimento del colpo di stato contro Hugo Chavez nel 2002, attraverso operazioni che intendono condurre alla guerra.

È evidente che il governo Temer e ora Bolsonaro hanno aderito al progetto di isolamento e annichilamento del governo venezuelano, “regime change” (cambio di regime), con operazioni di intervento militare e occupazione da parte degli Usa associando la NATO in questa fase di dominio imperialista di egemonia globale.

I militari nel governo, il vice presidente della Repubblica Hamilton Mourão, mostrano posizioni diverse e sembrano ritenere che rischiare un intervento militare in Venezuela porterebbe conseguenze politiche regionali e interne potenzialmente destabilizzanti. In questo senso non appoggiano una opzione militare e negano l’accesso al nostro territorio per gli spostamenti di truppe statunitensi.

D’altro lato, riflettendo il contesto della disputa per l’egemonia mondiale, la minaccia della guerra al Venezuela con il suo immenso potenziale energetico, porta l’appoggio al governo Maduro di Cina, Russia, Iran e Turchia, superando, a causa della sua collocazione geopolitica, lo scontro nel Paese sudamericano in direzione di un disegno di confronto di portata mondiale senza un itinerario prevedibile.

Subordinato agli Usa, il Brasile indebolisce la propria posizione

La controffensiva conservatrice condotta dagli Usa nel continente latinoamericano nel corso dell’intensificarsi della disputa per l’egemonia mondiale dopo l’insediamento del governo Trump impone un chiarimento sull’alleanza del Brasile con gli Usa. Il Brasile indebolisce le proprie posizioni sul tavolo in cui si gioca la transizione ad un nuovo ordine mondiale, riduce il proprio potere nazionale e intralcia il proprio sviluppo nazionale se continua a rimanere subordinato di fronte all’egemonia coercitiva degli Usa.

La svolta politica progressista in gran parte dell’America Latina all’inizio del XXI secolo ha portato a rafforzare diversi meccanismi di integrazione latino e sudamericana, in particolare grazie alla rottura della secolare tradizione di allineamento automatico con la politica estera e gli interessi strategici degli Usa nella regione. A partire dal governo Temer la situazione inizia a rovesciarsi.

Ora il governo Bolsonaro dà segnali di accelerare l’avvicinamento militare con gli Usa. Di ciò la principale conseguenza si riferisce all’indebolimento di direttrici che comprendono un’importante novità geopolitica, cioè l’integrazione dei Paesi sudamericani, che offriva l’opportunità al Brasile di agire come attore globale. Nell’ambito della cooperazione militare si annulla l’istanza del Consiglio di Difesa sudamericano (CDS), che integra azioni nell’area di sicurezza e difesa nel subcontinente. Vi sono arretramenti concettuali nei documenti di orientamento strategico.

Una posizione di dipendenza dagli USA, come pure dalla Cina o da qualunque altra potenza, non serve all’interesse nazionale. Il Brasile deve operare in modo da rafforzare la multipolarità, senza essere ostile ad alcun Paese. E cercare una posizione di equilibrio nelle relazioni internazionali. Addirittura nel periodo del governo militare (1964-1984) la visione di “frontiere ideologiche” nel governo del generale Ernesto Geisel (1974-1979) fu abbandonata per il “pragmatismo responsabile”.

Rafforzare il rapporto con la Cina

La relazione del Brasile con la Cina deve essere valorizzata, il Brasile ha una condivisione strategica con il gigante asiatico che risale al governo di Itamar Franco (1992-1995) e ha nella Cina il suo principale partner commerciale, anche nell’area scientifico-tecnologica, soprattutto spaziale, con risultati favorevoli per il nostro Paese. La Cina sta accettando la creazione di fondi di cooperazione, con gestione paritaria, con rappresentanti con eguale peso dai due lati. È questo il caso del Fondo di Cooperazioe Brasile-Cina per l’Espansione della capacità produttiva. Nell’ambito del BRICS, da parte dei Paesi che compongono tale sodalizio, predomina l’impegno per riforme delle gestione sistemica globale e per creare nuove istituzioni multilaterali di scala mondiale. Non si tratta dunque di una politica di confronto diretto e globale con gli Usa.

Per staccarsi dagli Usa, non intervento in Venezuela

In questo momento l’azione concreta che può riqualificare la relazione del Brasile con gli Usa – uno spartiacque tra allineamento automatico o sovranità e fierezza – riguarda gli accadimenti in Venezuela, di fronte all’assedio e alla preparazione di intervento armato dell’imperialismo statunitense nel Paese a noi vicino. Quello che è in gioco in Venezuela è il principio di non intervento, il rispetto della sovranità, ciò che è scritto nella Costituzione del 1988: la soluzione di conflitti attraverso il dialogo e la negoziazione pacifica.

Il Brasile, grande Paese dell’America del Sud, non può allinearsi all’orientamento egemonico e belligerante del “cambio di regime “ della superpotenza statunitense. Non può disconoscere il precetto costituzionale e rinunciare ad essere, come in precedenza, un importante negoziatore per un’ uscita pacifica dal conflitto. Inoltre la posizione degli Usa è un ritorno superato alla “sicurezza dell’emisfero” o una riedizione nel continente della cosiddetta dottrina Monroe. In tale situazione così sensibile di estrema potenzialità destabilizzatrice nella regione e in Brasile, il paese non può seppellirsi insieme ad una avventura imperialista alienando tassativamente la propria sovranità. Questo è uno spartiacque, è una rotta che già può denotare i propositi geopolitici dei militari in questo governo di recente insediamento.

*Già presidente del PCdB/Partito Comunista del Brasile e presidente della Fondazione Mauricio Grabois.

Fonte: Portal Vermelho, 2 aprile 2019

Traduzione di Teresa Isenburg; articoli precedenti su www.latinoamerica-online.it