Si salverà chi può: il legame tra cambiamenti climatici e disuguaglianze

Esiste un legame tra cambiamenti climatici e disuguaglianze: non si può intervenire sui primi senza contrastare le seconde

Non si può intervenire sui cambiamenti climatici senza contrastare le disuguaglianze © ChiccoDodiFC/IStockPhoto

«Siamo all’intersezione tra disuguaglianze e cambiamenti climatici e le nostre strategie devono riflettere l’urgenza dei tempi»: è iniziata così l’ultima comunicazione ai giornalisti di Celeste Saulo, prima donna e prima persona sudamericana segretaria generale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Saulo, che ha iniziato il suo mandato il 4 gennaio, ha assicurato che cambiamenti climatici e diseguaglianze saranno affrontati «in modo che nessuno sia lasciato indietro».

Il cambiamento che si prospetta per gli anni a venire sarà uno dei momenti di svolta per l’umanità: se vogliamo mettere in campo azioni efficaci le nostre società, i nostri sistemi economici e le nostre abitudini di vita dovranno mutare profondamente. Secondo Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia, «la transizione ecologica porterà cambiamenti epocali dei modelli produttivi e del lavoro. Le scelte che guideranno il processo devono tenere conto degli effetti sociali che scateneranno per evitare che i costi siano scaricati sui lavoratori o le fasce più vulnerabili, ampliando divari economici e sociali».

Siamo di fronte a un’intersezione tra cambiamenti climatici e disuguaglianze

Diversi cambiamenti, tuttavia, non riguarderanno tutti. Sono i più ricchi (Paesi, regioni, persone o imprese) ad avere un’impronta in termini di emissioni di gas climalteranti più elevata. Sappiamo che gli investimenti dei 125 miliardari più ricchi del mondo generano, in media, tre milioni di tonnellate di CO2 all’anno: è più un milione di volte quanto emette una persona appartenente al 90% più povero dell’umanità. Sappiamo che nel 2019 l’1% più ricco della popolazione mondiale ha prodotto la stessa quantità di emissioni generata da due terzi dell’umanità: in 77 milioni hanno contribuito alla crisi climatica quanto 5 miliardi di persone. E sappiamo anche che questi dati sono destinati a salire: entro il 2030, l’1% più ricco del mondo produrrà 30 volte la quantità di emissioni cui dovremmo attenerci per restare sotto la soglia degli 1,5 gradi centigradi.

Uno studio degli economisti Lucas Chancel e Yannic Rehm ha assegnato le emissioni, in genere conteggiate per i consumatori, alle imprese: l’impronta in termini di emissioni di CO2 del 10% più ricco del mondo tende a raddoppiare, se non a triplicare.

Non solo i più ricchi sono più responsabili della crisi, ma pagano di meno le conseguenze. Anomalie climatiche come inondazioni e siccità esasperano le disuguaglianze di reddito all’interno dei singoli Paesi. Nei prossimi anni l’86% degli Stati si impoverirà e vedrà una crescita delle disuguaglianze. Nelle nazioni più legate all’agricoltura, il divario arriverà fino al 45% solo guardando alle conseguenze delle piogge estreme, fino al 78% se si considera anche l’aumento di temperatura che, in Sudafrica comporterà la perdita di benessere di circa il 50%.

Gli impatti dei cambiamenti climatici sulle disuguaglianze avranno l’effetto di un detonatore

A pagare saranno, in maniera sproporzionata, le famiglie più povere. In Unione Europea ci saranno differenze importanti. Le famiglie di Cipro, Grecia, Spagna, Croazia e Portogallo vedranno crescere le proprie spese per salute, cibo, elettricità. Le più povere si troveranno a dover affrontare maggiori aumenti di spesa e la contrazione del reddito da lavoro potrà spingerle sotto la soglia di povertà.


Ulteriore dato riguarda le assicurazioni: gli eventi climatici estremi sono democratici e si scagliano su tutti. Non tutti, però, possono affrontarli allo stesso modo: solo il 50% delle famiglie protegge le proprie abitazioni con assicurazioni. Le conseguenze potenziali sono note: i devastanti incendi delle Hawaii hanno messo in ginocchio la popolazione che si manteneva grazie al turismo.

Nei Paesi con alti tassi di occupazione vulnerabile e povertà lavorativa, entro il 2030 lo stress termico potrebbe portare alla scomparsa di 80 milioni di posti di lavoro con una perdita di 2.400 miliardi di dollari di reddito.

Contrastare le disuguaglianze è l’unica via efficace per contrastare i cambiamenti climatici

Contrastare le disuguaglianze è l’unica via efficace per contrastare i cambiamenti climatici. Come ha spiegato Maslennikov: «Sono fenomeni profondamente interconnessi. In termini di contributi e quindi responsabilità per le emissioni dei diversi gruppi sociali. Ma anche in termini di capacità di resilienza, adattamento al cambiamento climatico e mitigazione degli impatti degli eventi climatici estremi, sempre più frequenti».

Per raggiungere un’impronta ecologica individuale più bassa ognuno dovrebbe assumere comportamenti virtuosi che non sono accessibili a tutti, come acquistare una caldaia di ultima generazione, un’auto elettrica, o consumare solo prodotti realizzati rispettando l’ambiente.

Intervenire sulle disuguaglianze per intervenire sui cambiamenti climatici è una prospettiva convincente non solo perché i più ricchi inquinano di più, sia con il proprio stile di vita sia con le proprie attività economiche, ma perché influenzano i decisori politici. Tra il 1997 e il 2018 la Koch Family Foundations ha investito quasi un milione e mezzo di dollari in 90 gruppi negazionisti climatici. Indebolire questa capacità di ingerenza vorrebbe dire imposte sul reddito e climatiche più efficaci, come una carbon tax davvero penalizzante per chi genera emissioni. E vorrebbe dire sollecitare scelte politiche oggi impensabili: dal passaggio alla settimana lavorativa di 4 giorni, che comporterebbe riduzioni di emissioni, alla costruzione di condizioni socio-economiche in grado di abbassare l’impronta energetica ed ecologica individuale.