Il capitalismo dei disastri, vent’anni dopo
Vent’anni dopo l’uragano Katrina, le riflessioni di Naomi Klein sul capitalismo dei disastri restano più attuali che mai
Questo articolo è parte di una serie dedicata ad approfondire i temi di Unchained – storie di ordinario capitalismo selvaggio, il nostro podcast settimanale. Ascolta qui tutte le puntate!
Louisiana, 2005. Un uragano si abbatte sulle coste del sud-est degli Stati Uniti, uccidendo 1836 persone e lasciando sul terreno almeno 80 miliardi di dollari di danni. È l’uragano Katrina, il più grave disastro naturale dell’America del nord nel nuovo millennio.
In quei giorni la giornalista canadese Naomi Klein si trova a New Orleans, la città più colpita in assoluto. Il suo è un nome già noto: nel 1999 aveva pubblicato “No Logo”, un best-seller sullo strapotere delle multinazionali diventato il manifesto del movimento alter-globalista. In Louisiana Klein intende coprire l’alluvione, ma ben presto si accorge che la cosa più interessante non è l’evento metereologico in sé, ma quello che succede subito dopo, quando inizia la ricostruzione.
Gli eventi che vede svolgersi in quel contesto le saranno d’ispirazione per un altro libro, che esce nel 2007: “Shock economy: l’ascesa della dottrina dei disastri.” Le riflessioni contenute in quel volume cercano di descrivere una quantità di eventi politici diversi – dall’economia pinochetista del Cile autoritario alla gestione della seconda guerra del Golfo fino, appunto, alla ricostruzione di New Orleans. E, a distanza di vent’anni, le categorie di analisi proposte da Naomi Klein continuano ad essere applicate alla contemporaneità. Al capitalismo dei disastri è dedicato l’ultimo episodio del nostro podcast Unchained.
Cos’è il capitalismo dei disastri – e cosa c’entra Katrina
Il titolo inglese del libro parla non di economia, ma più propriamente di dottrina dello shock. Con questo termine, ci riferisce ad un rapido processo di privatizzazione e deregolamentazione di un’economia a seguito di una situazione di crisi. Gli esempi, storici e contemporanei, sono molti: dalla fine del socialismo reale nell’Europa dell’Est alle politiche di Javier Milei in Argentina. Nella pratica, si tratta di contesti in cui uno Stato vende le sue aziende pubbliche, taglia il welfare e ed elimina regole ambientali e sindacali. Il tutto nella forma di misure emergenziali e di risposta ad un contesto eccezionale come una guerra, un disastro naturale, una crisi finanziaria. Per Klein, le élites imprenditoriali e politiche hanno imparato ad usare le situazioni di crisi – talvolta create appositamente – per implementare un’agenda di stampo neoliberale. Per questo parla di capitalismo dei disastri.
La ricostruzione di New Orleans a seguito dell’uragano Katrina è, secondo la giornalista, «il progetto originario» del fenomeno. Il presidente degli Stati Uniti è in quel momento il repubblicano George W. Bush. Il mondo conservatore inizia immediatamente a suggerire al presidente che la devastazione provocata dalla tempesta sia un’opportunità per cambiare la struttura economica della Louisiana. L’economista premio Nobel Milton Friedman – famoso tra le altre cose per aver formato i Chicago Boys, gli economisti di fiducia del dittatore cileno Augusto Pinochet – scrive in quei giorni un op-ed sul Wall Street Journal. Nell’articolo, si legge che «la maggior parte delle scuole di New Orleans sono in rovina, così come le case dei bambini che le hanno frequentate. Questa è una tragedia. È anche un’opportunità per riformare radicalmente il sistema educativo».
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Dalle crisi alle privatizzazioni: il capitalismo dei disastri vent’anni dopo
Richard Baker, deputato republicano della Lousiana, dichiara: «Ci siamo finalmente liberati delle case popolari di New Orleans. Non potevamo farlo noi, lo ha fatto Dio». Mike Pence, che nel 2017 diventerà vice-presidente di Donald Trump, cura un vademecum di 32 proposte per risollevare l’economia dei territori colpiti dall’alluvione. Tra i punti si legge l‘abolizione del salario minimo per i contratti federali, un aumento dell’estrazione di combustibili fossili e la concessione di permessi di costruzione.
Il governo ascolta questi pareri. Invece di investire sule scuole pubbliche, si danno alle famiglie voucher da spendere in istituti privati. Le case popolari danneggiate dall’uragano – anche lievemente – vengono abbattute, e i lotti affidati ad aziende libere di inserirli poi sul mercato. Il tutto in un contesto in cui i media di destra come Fox News parlano ossessivamente di tutt’altro: le presunte devastazioni da parte degli sfollati neri, le tensioni etniche a New Orleans, l’ordine pubblico. Klein descrive ciò che vede come «un quadro straziante di ciò che possiamo aspettarci quando arriverà il prossimo shock».
Ci serve ancora parlarne?
Dall’evento che da il la alle riflessioni di Naomi Klein sono passati vent’anni, ma le categorie di capitalismo dei disastri e dottrina dello shock sono ancora in uso. Nel 2020 la rivista statunitense di sinistra Jacobin ha pubblicato un articolo intitolato “Il capitalismo dei disastri alla conquista del Libano”. La tesi dell’autore, l’attivista e studioso svizzero-siriano Joseph Daher, è che a seguito della devastante esplosione del porto di Beirut avvenuta ad agosto dello stesso anno, le istituzioni internazionali e la Francia di Emmanuel Macron – l’ex potenza coloniale – abbiano imposto al Libano una cura economica del tutto simile a quelle descritte da Klein. Più di recente, le privatizzazioni e i tagli allo stato sociale promossi dal Presidente argentino di ultradestra Javier Milei, presentata come un rimedio all’inflazione, sono state descritte come coerenti con la dottrina dello shock.
Anche in Europa si continuano ad usare gli strumenti di analisi offerti da Klein. L’austerità nei Paesi mediterranei durante la crisi del debito pubblico del decennio passato e la corsa alla costruzione di nuove infrastrutture per il gas a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina sono due esempi. Anche rispetto all’occupazione israeliana dei territori palestinesi sono state avanzati paragoni simili. La stessa Naomi Klein ha parlato di capitalismo dei disastri in relazione ai terribili incendi che colpirono le Hawaii due anni fa. Parlando della privatizzazione dei servizi idrici seguita alla tragedia, la giornalista descrisse così sul Guardian quanto stava avvenendo: «Un piccolo gruppo d’élite che usa una profonda tragedia umana come finestra per annullare una vittoria popolare conquistata a fatica per i diritti sull’acqua, rimuovendo al contempo i dipendenti pubblici che rappresentano un inconveniente politico per il programma pro-sviluppatori dell’amministrazione».



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