Carbone, comprare le centrali per chiuderle: buona idea o greenwashing?
Alcuni colossi della finanza vorrebbero comprare centrali a carbone e chiuderle entro 15 anni. Un'idea buona sulla carta ma che suscita dubbi
Un gruppo di istituti finanziari, tra i quali l’assicuratore inglese Prudential, le banche Citigroup e HSBC, assieme a BlackRock Real Assets, sta lavorando ad un piano per accelerare la chiusura di centrali a carbone in Asia. A riferirlo è l’agenzia Reuters, che cita alcune fonti anonime a conoscenza della questione. L’idea è di creare una partnership pubblico-privata, guidata dalla Banca Asiatica per lo Sviluppo (ADB). Obiettivo: acquisire le centrali e chiuderle entro 15 anni. Ovvero ben prima rispetto alla loro durata in servizio prevista.
Perché proprio 15 anni e non subito? Per concedere ai lavoratori il tempo di andare in pensione o trovare altri impieghi. Ma anche consentire agli Stati di operare una transizione verso fonti di energia rinnovabili.
Il meccanismo dovrebbe essere presentato alla Cop26 di Glasgow
La Reuters specifica inoltre che la volontà dei promotori dell’iniziativa sarebbe quella di rendere operativo il sistema entro il prossimo mese di novembre. Ovvero prima dell’avvio della Cop26, la ventiseiesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite. «Gli attori del settore privato hanno eccellenti idee su come fronteggiare i cambiamenti cimatici. E noi vogliamo costruire ponti tra loro e i poteri pubblici», ha affermato il vice-presidente dell’ADB, Ahmed Saeed.
Ma quella proposta dal mondo della finanza è davvero una buona iniziativa o si tratta piuttosto di greenwashing? «I contorni del meccanismo dovranno essere definiti prima della Cop26, ma le informazioni disponibili lasciano aperte numerose questioni. Ad esse occorrerà rispondere se si vorrà garantire l’efficacia e la credibilità del processo», ha osservato l’organizzazione non governativa Reclaim Finance.
«I promotori sono tra i principali finanziatori delle fonti fossili»
Che Citigroup, HSBC e BlackRock vogliano impegnare i propri capitali nella lotta contri i cambiamenti climatici suscita infatti perplessità. «Tutti – prosegue la Ong – fanno parte dei più grossi finanziatori delle fonti fossili. Citigroup, in particolare, è il quarto soggetto al mondo in termini di prestiti concessi per lo sviluppo di nuove centrali a carbone. E BlackRock è il secondo principale investitore. Prudential e HSBC presentano inoltre alcune tra le peggiori strategie sulle fonte più inquinante in assoluto».
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Pertanto, per essere coerenti, tali soggetti dovrebbero modificare in profondità i propri business. Non può bastare una buona iniziativa con la mano destra, se con la sinistra si perpetuano scelte contrarie. Inoltre, nel merito dell’iniziativa stessa, è bene ricordare che per centrare l’obiettivo di limitare ad un massimo di 1,5 gradi centigradi l’aumento della temperatura media globale alla fine del secolo, secondo le ultime analisi dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, occorre chiudere tutte le centrali a carbone più dannose entro la fine del decennio in corso. «E in Asia – prosegue Reclaim Finance – la maggior parte delle strutture è dotata di vecchie tecnologie. Il programma prevede dunque di chiuderle prioritariamente? E, se sì, punta a farlo entro il 2030?».
Il rischio di greenwashing sul carbone è concreto
Il rischio è che, addirittura, si possa prolungare la vita di centrali che dovrebbero chiudere entro i prossimi nove anni. Altra conseguenza da scongiurare è che si decida di far funzionare in maniera più intensiva le centrali per sfruttarle al massimo prima della chiusura. Il che vanificherebbe gli sforzi in termini di riduzione delle emissioni climalteranti. Infine: cosa faranno le imprese attualmente proprietarie delle centrali con il denaro ricavato dalla vendita? Lo utilizzeranno per progetti di transizione ecologica o per altri business nocivi per il clima? La domanda è lecita poiché spesso si tratta di colossi dell’energia con grandi interessi nel settore delle fossili.
Di qui la conclusione alla quale giunge Reclaim Finance: «È troppo presto per valutare. La sola certezza è che gli attori coinvolti non sono, ad oggi, dei difensori del clima. E se continueranno a sostenere l’espansione del settore del carbone, questa iniziativa non potrà essere considerata in altro modo se non come puro greenwashing».