Come il carbone esce dalla porta e rientra dalla finestra

Alcuni avvoltoi della finanza comprano a basso costo centrali a carbone e miniere da colossi costretti a cederle per la pressione degli azionisti

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Nello scorso mese di dicembre il colosso minerario brasiliano Vale ha acquistato una miniera di carbone in Mozambico. L’ultima di una serie di cessioni effettuate dalla anglo-australiana Rio Tinto e dalla britannica Anglo American, costrette ad abbandonare la fonte fossile per via della pressione degli azionisti. Ma l’addio di alcuni gigante del settore, appunto, non equivale affatto alla dismissione delle miniere. Al contrario, i costi di acquisto allettanti e la crescita sostenuta dei prezzi delle materie prime rende estremamente appetibili tali affari.

A confermarlo, parlando al quotidiano economico francese Les Echos, è Luciano Siani Pires, vice-presidente della Vale. Che racconta come a gettarsi sulle cessioni non siano più i colossi siderurgici, ma le società di private equity. Ovvero investitori che fiutano l’affare. «Tali asset – ha spiegato Siani Pires – sono diventati tossici per le società quotate in Borsa». Così, è la finanza ad andare «a caccia di centrali e miniere a prezzi da saldo. Puntando su probabili importanti rendimenti». E senza avere la scocciatura di dover fornire giustificazioni in termini di standard ESG.

Se il carbone garantisce profitti, allora va bene

In altre parole, gli avvoltoi della finanza stanno recuperando infrastrutture drammaticamente nocive per il clima. Al solo, solito scopo di fare profitti ad ogni costo. Secondo Siani Pires, inoltre, a “garantire” la bontà degli investimenti c’è il fatto che per ragioni ambientali non verranno costruite molte nuove centrali. La concorrenza, dunque, sarà limitata. E la domanda non cesserà di crescere.

Il giornale transalpino cita in questo senso alcuni dei principali investimenti effettuati da attori della finanza nel settore. È il caso di Arclight, che ha rilevato un portafoglio legato alle fossili (carbone incluso) dall’americana PSEG Power nel 2021, per 1,9 miliardi di dollari. Il fondo Riverstone ha fatto acquisti in Germania e Paesi Bassi dalla francese Engie (200 milioni di euro nel 2019). Numerose centrali britanniche sono state comprate da Energy Capital nel 2017. Nello stesso anno, Arclight e Blackstone hanno comprato siti di produzione negli Stati Uniti.

Tali soggetti approfittano anche del progressivo (e spesso lento) disimpegno delle banche nel settore del carbone. Così, la fonte in assoluto più dannosa in termini di emissioni di gas ad effetto serra esce dalla porta e rientra dalla finestra. E l’irresponsabilità di pochi rischia di portarci tutti dritti dritti verso la catastrofe climatica.


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