Addio al carbone, da Intesa Sanpaolo una svolta a metà
La banca torinese approva una policy più restrittiva per i finanziamenti alle fonti fossili. Un passo in avanti. Ma rimangono ancora parecchi punti oscuri
Finalmente anche Intesa Sanpaolo segue l’esempio delle ormai numerose banche sparse in tutto il mondo che hanno adottato politiche restrittive sui finanziamenti al comparto dei combustibili fossili. Dopo Assicurazioni Generali e UniCredit, infatti, Intesa è la terza istituzione finanziaria italiana a mettere un freno al sostegno economico a progetti per l’estrazione di carbone, la fonte fossile più inquinante esistente sul Pianeta.
Un successo per Greenpeace e Re:Common. Le due associazioni, dopo la pressione esercitata proprio su UniCredit e Generali, negli ultimi mesi avevano puntato la loro attenzione su Intesa. Ma la loro reazione alle novità provenienti dalla banca torinese non è del tutto positiva.
Le ombre dietro la policy di Intesa
Dopo aver esaminato la versione sintetica della policy approvata, Greenpeace e Re:Common evidenziano che, sebbene l’istituto torinese si impegni a non finanziare più in maniera diretta la costruzione di nuove centrali e miniere a carbone, non vi è alcuna limitazione rigorosa per quanto riguarda i prestiti alle società del settore.
La banca applicherebbe, inoltre, un inaccettabile doppio standard tra paesi OCSE e tutti gli altri, un distinguo che non ha precedenti tra policy di altre banche europee. Per quanto riguarda questi ultimi, Intesa ha adottato criteri molto più blandi. Ciò le consentirà di continuare a finanziare copiosamente il carbone in Asia ed in Africa.
«Questo è del tutto inaccettabile»hanno commentato Greenpeace e Re:common. «Le popolazioni di paesi come il Vietnam o l’India, attualmente investita dal più potente ciclone degli ultimi 20 anni, non possono essere considerate come “sacrificabili”».
Dai concorrenti europei più coraggio
Altrettanto preoccupante è che Intesa voglia continuare a finanziare persino quelle società che ancora oggi prevedono di realizzare nuove centrali a carbone, nonostante gli appelli della scienza e delle Nazioni Unite a porre immediatamente una moratoria su questi impianti.
Insomma, nulla di così coraggioso come nel caso delle policy dei competitor europei Crédit Agricole e ING, delle note negative ma per fortuna anche degli aspetti positivi, in primis quelli che riguardano le acquisizioni di centrali a carbone da parte di società energetiche .Intesa sembra escludere i finanziamenti per questo tipo di operazioni, quando risultano in un aumento della capacità installata a carbone.
Come rivelato dal rapporto “Finanza Fossile”, pubblicato lo scorso mese da Re:Common e Greenpeace, nel 2019 Intesa Sanpaolo ha prodotto emissioni di CO2 pari a 35 milioni di tonnellate, superiori a quelle dell’intero comparto agricolo italiano lo stesso anno.
I soldi di Intesa ai superinquinatori europei e asiatici
Dal rapporto, si evince che Intesa stia finanziando alcune delle società più inquinanti in Europa, come la tedesca RWE e la finlandese Fortum, che ha recentemente acquisito il colosso del carbone Uniper. Nel solo 2019, l’istituto torinese ha concesso prestiti a queste due aziende per un totale di 830 milioni di euro.
Lo scorso febbraio, gli attivisti di Greenpeace erano entrati in azione presso la sede milanese di Intesa Sanpaolo. Obiettivo: denunciare gli investimenti della banca nel carbone. Sotto accusa, in particolare, il finanziamento concesso al gruppo indiano Adani, promotore della miniera di Carmichael in Australia.
Un primo risultato è stato ottenuto. Ma c’è da giurare che nei prossimi mesi non mancheranno altre azioni simili per convincere anche l’amministratore delegato Carlo Messina e gli altri membri del board che per salvare il Pianeta ci vuole molto più coraggio.