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Crédit Agricole dice no al carbone

La prima banca a fissare una road map di stop ai finanziamenti al combustibile super-inquinante: 2030 nei Paesi OCSE, 2040 in Cina, 2050 nel resto del mondo

Antonio Tricarico
Antonio Tricarico
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L’agenda climatica oramai domina anche le discussioni nel mondo della finanza. A margine del summit sul clima di New York dello scorso settembre è stato un susseguirsi di iniziative, eventi e annunci da parte dei principali attori mondiali del mondo della finanza, che spesso in maniera troppo vaga e poco concreta hanno promesso di adeguare il proprio business alla lotta contro i cambiamenti climatici.

L’Onu contro il carbone

Ha avuto risonanza la posizione netta del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha affermato che da oggi non bisogna più espandere l’uso del carbone nel mondo, la cui combustione è il principale responsabile della crisi climatica. Tutti i think tank mondiali confermano che, se si vuole rispettare gli impegni di Parigi di mantenere l’aumento della temperatura del Pianeta entro un grado e mezzo, bisogna cessare l’impiego del carbone nei paesi Ocse entro il 2030 e nel mondo entro il 2040.

Poche banche limitano i finanziamenti

Secondo la rete internazionale della società civile BankTrack, ad oggi 45 banche nel mondo hanno adottato una qualche politica che limita il finanziamento del carbone. Di queste, 22 hanno fermato il finanziamento diretto di nuove miniere di carbone e 26 di nuove centrali, 20 banche hanno limitato il finanziamento indiretto delle società minerarie e 13 delle utilities che danno ancora centralità alla produzione elettrica da carbone.

Ma solo 6 banche hanno limitato il finanziamento indiretto – ossia tramite corporate finance – alle società che stanno promuovendo nuovi impianti a carbone nel mondo e solo 4 hanno limitato il sostegno alla vendita o acquisto di impianti esistenti.

Crédit Agricole, prima a fissare una data di addio

Fino a giugno scorso, nessuna banca aveva avuto il coraggio di scrivere nero su bianco nella sua policy la data di uscita definitiva dal business del carbone. Crédit Agricole, principale gruppo bancario francese e la più grande banca cooperativa al mondo, ha rotto finalmente questo taboo.

Sin dal 2015 ha escluso il sostegno diretto a nuovi impianti e miniere di carbone; nel campo del petrolio dal 2012 si era rifiutata di finanziarie lo sviluppo petrolifero dell’Artico, visto che dall’anno prima valutava il carbon footprintdelle sue operazioni.

Nella nuova strategia climatica Crédit Agricole ha annunciato la road map della sua uscita dal carbone che riguarderà ogni società del gruppo (incluso l’importante fondo di investimento Amundi): 2030 nei Paesi OCSE, 2040 in Cina, 2050 nel resto del mondo. Date basate sul riferimento all’aumento di due gradi della temperatura, che è il limite superiore della forchetta di temperature definita nell’Accordo di Parigi.

Anche i clienti dovranno impegnarsi

Dalla fine 2019, la banca renderà pubblica la sua esposizione al carbone con il dettaglio di ogni operazione e chiederà ai clienti di produrre entro il 2021 la loro roadmap di uscita dal carbone secondo le scadenze suddette.

Sulla base delle risposte ci sarà una classifica degli impegni per la transizione dei vari clienti. In parallelo, Crédit Agricole non prenderà nuovi clienti se questi ricavano più del 25% del fatturato dal carbone.

Ancora più importante, si impegna a non avere alcuna relazione su chi sviluppa nuovi impianti e miniere di carbone, proprio come hanno chiesto le Nazioni Unite.

Stop ai prestiti già dal 2025

La scadenza del 2030 è centrale ed è il vero passo avanti che Crédit Agricole ha portato nel settore.

Considerando che i prestiti in media durano sui cinque anni, significa che la banca francese dovrebbe smettere di prestare già dal 2025 ai clienti esistenti che operano nei paesi OCSE ed hanno un impegno di uscita dal carbone. Insomma il giro di vite è iniziato. Tale impegno è molto significativo se si pensa a mega utilities europei quali la RWE tedesca che vuole continuare con il carbone anche in Germania fino al 2040, o le utilities dell’Est Europa quali CEZ, PGE e EPH che resistono brutalmente alla fine del carbone. E sappiamo quanto sia difficile rompere le relazioni per una banca con clienti consolidati, ed anche redditizi almeno nel breve termine, visti i mille ricatti delle elite locali e le connessioni troppo strette tra gli operatori locali delle banche ed i loro clienti.

Un po’ di pazienza per i più virtuosi

Per coerenza un occhio di riguardo Crédit Agricole dovrà averlo anche per società più virtuose, almeno sulla carta, quali Enel, Engie o Vattenfall che si sono impegnate ad uscire dal carbone, ma talvolta vendono i loro vecchi impianti ad altri invece di chiuderli. Questo il caso di Enel che nel febbraio 2019 ha venduto ben 3.800 MW di potenza a carbone in Russia a una società locale, un modo troppo facile di uscire dal carbone, senza davvero risolvere il problema climatico per il Pianeta.

Occhi aperti, sempre

Possiamo quindi concludere che anche la banche possono dire un no secco al carbone, facendo così un passo chiaro verso una maggiore responsabilità ed eticità. Adesso bisogna tenere gli occhi aperti sull’implementazione della policy da parte di Crédit Agricole. Piccoli aspetti possono ancora essere migliorati, nonché la banca dovrebbe iniziare a limitare il suo sostegno anche al petrolio e al gas per essere coerente con l’impegno per la difesa del clima. Ma se sul carbone attuerà i suoi impegni, già scontenterà più di una società. D’altronde l’eticità comporta anche questo nei confronti di chi resiste al cambiamento per salvare il Pianeta, l’ambiente e la salute e il benessere delle comunità locali.

* Re:Common