Come la CIA ha portato l’evangelismo in America Latina
In America Latina cristiano e cattolico erano sinonimi. Poi, gli Stati Uniti hanno deciso di esportare l'evangelismo – e le conseguenze politiche sono enormi
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Fino a qualche decennio fa in America Latina dire “cristiano” o dire “cattolico” era la stessa cosa. Secoli di colonialismo spagnolo e portoghese avevano sradicato le religioni locali, e non c’è mai stata un’immigrazione nordeuropea tale da far prosperare il protestantesimo. A partire dagli anni Settanta, però, le cose hanno iniziato a cambiare.
Oggi le chiese cosiddette evangeliche sono maggioritarie in Paesi come Costa Rica, Panama e Repubblica Dominicana, e minacciano il predominio cattolico anche in Brasile, Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù. I social sono pieni di giovani predicatori che creano contenuti virali a tema religioso. Una questione anche politica, perché si tratta di gruppi quasi sempre ultra-conservatori. L’origine di questo fenomeno, come ha ricordato un recente documentario di Deutsche Welle, ha a che fare con la guerra fredda. E, a sorpresa, con la CIA. Ne parliamo nell’ultimo episodio di Unchained.
Reazione, Teologia della liberazione e Dottrina sociale: la Chiesa degli anni Sessanta
La chiave di questo fenomeno ha a che fare con l’evoluzione della Chiesa cattolica nella seconda metà del secolo scorso. L’America Latina è stata per decenni uno dei fronti caldi della guerra fredda, e le autorità religiose si sono storicamente alleate con le élites economiche locali e i governi filo-statunitensi della regione. Ma tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta iniziano ad esserci due novità importanti: la Teologia della liberazione e la Dottrina sociale della Chiesa.
La Teologia della liberazione è un movimento interno al cattolicesimo latinoamericano. Il termine nasce nel 1968 nel corso di un grande incontro tra vescovi a Medellin, in Colombia. L’idea alla base di questa corrente di pensiero è che la Chiesa debba occuparsi delle condizioni materiali della classe lavoratrice, facendo politica e puntando, appunto, alla liberazione sociale, economica, democratica. D’improvviso, in America latina, appaiono preti che parlano di oppressi ed oppressori, che si oppongono alle dittature locali e che considerano la povertà un peccato. Una novità molto gradita all’Unione Sovietica, ma, com’è facile immaginare, non agli Stati Uniti d’America.
La Dottrina sociale della Chiesa è qualcosa di più sfumato. L’espressione nasce con un’enciclica papale, cioè un testo teologico di un pontefice. Nel 1891 l’allora Papa Leone XIII scrisse il “Rerum Novarum“, il primo documento ufficiale della Chiesa moderna in cui ci si inizia a porre il problema di combattere la povertà e la sofferenza materiale degli ultimi. La prospettiva è molto diversa da quella della Teologia della liberazione. Leone XIII è preoccupato dall’emergere dei movimenti socialisti e dei sindacati, e considera quest’opera sociale – il termine Dottrina Sociale lo conierà poi un’altro Papa, Pio XII – come una sorta di vaccino, un modo per evitare che le sinistre conquistino i cuori della classe lavoratrice.
Come nasce l’idea di finanziare chiese evangeliche
Col passare dei decenni e nel contesto latinoamericano, però, le cose si sono fatte più complicate. Ci sono molti partiti cattolici che si rifanno alla dottrina sociale della Chiesa e che sono fedelissimi alleati degli Stati Uniti e della grande imprenditoria dei propri Paesi. Ma iniziano anche a nascere forze cattoliche sociali che guardano a sinistra. Ad esempio, quando Salvador Allende – che sarà poi il primo marxista eletto presidente nella regione – si candida alla presidenza del Cile nel 1970, una parte della locale Democrazia Cristiana abbandona il partito proprio per sostenere la coalizione progressista.
il cattolicesimo negli anni Sessanta e Settanta in America Latina è insomma un fenomeno politicamente complesso. La Chiesa come struttura è ostile al movimento operaio e vicina al governo statunitense, ma le chiese sul territorio, al plurale, esprimono molte idee diverse. Per questo Washington inizia a preoccuparsi. Nel 1969, un anno dopo la conferenza di Medellin sulla Teologia della liberazione, l’allora governatore di New York Nelson Rockefeller produce un rapporto sulla politica latinoamericana. A commissionarlo era stato il presidente Richard Nixon, e l’obiettivo è capire come difendere gli interessi statunitensi nel Continente. In quel testo, si legge che «gli Stati Uniti non possono più contare sulla Chiesa Cattolica come prima». Da qui nasce l’idea di finanziare tramite i servizi segreti l’introduzione delle chiese evangeliche nel Continente.
Telepredicatori e calvinismo: l’evangelismo statunitense conquista l’America Latina
Evangelismo è un termine ombrello: lo usano la gran parte delle chiese protestanti storiche, e segnala l’idea che l’unica fonte di conoscenza religiosa sia la Bibbia – il Vangelo in particolare – e non le decisioni papali o la tradizione. Dal punto di vista politico, gli elementi di novità sono due. Primo: più che il cattolicesimo, queste confessioni hanno spesso una visione apocalittica dell’attualità. L’aborto, il sesso libero, i nascentissimi all’epoca diritti LGBTQ+ sono raccontati come eresie assolute da combattere. C’è poi la visione economica. Molte chiese evangeliche sono vicine a un’idea calvinista del denaro. La povertà non va combattuta come dice la Dottrina sociale, e men che meno è un peccato come vuole la Teologia della liberazione. All’opposto, è vista come un prodotto di Dio: se sei ricco, è perché ti sei meritato la benevolenza divina; se sei povero, devi impegnarti di più.
Il successo di queste chiese è prima di tutto comunicativo. Gli evangelici portano in America Latina il modello dei telepredicatori: pastori carismatici che arringano le folle su tv private. In Brasile, uno dei Paesi dove queste confessioni si diffondono di più, nascono telenovelas a sfondo religioso ispirate dai principi evangelici. I risultati, decenni dopo, sono notevoli. Oggi in Venezuela il 30% della popolazione si dice evangelica, in Brasile il 24%, in Perù ed Ecuador il 18%, in Colombia il 15%. Il Paese meno evangelico è il Messico, con appena l’1,7% della popolazione fedele, ma in compenso alcune piccole nazioni come Costa Rica, Panama e Repubblica Dominicana hanno già superato il 50%. Le tre confessioni più diffuse sono quella presbiteriana, quella battista e quella pentacostale.
Le conseguenze politiche sono importanti. Gli evangelici sono una componente chiave dell’elettorato di molte nazioni latinoamericane, e quasi sempre votano a destra. In Brasile l’ex presidente Jair Bolsonaro, di ultradestra e oggi condannato a 27 anni di carcere per un tentato golpe, vinse nel 2019 il 40% del voto evangelico, contro il 30% dei cattolici. In Colombia e in Repubblica Dominicana esistono partiti esplicitamente evangelici.
Interrogato sul successo delle confessioni protestanti, l’attuale presidente brasiliano Lula Ignacio da Silva, di centrosinistra, diede questa interpretazione: «Se un lavoratore perde il suo lavoro, il sindacato gli dice di organizzarsi e prepararsi per una lunga lotta; la Chiesa cattolica gli dice che il suo destino è quello di soffrire; gli evangelici, al contrario, gli danno una risposta semplice che gli offre un’opportunità: la colpa è del diavolo, la soluzione è abbracciare Gesù».
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