Il libretto blu che avrebbe reso il Cile l’avanguardia

Il 61,9% dei cileni ha votato contro la nuova Costituzione. Preferendo quella del 1980 di Pinochet

© Hugo Fuentes/Pexels

Il Cile, per alcune settimane, ha avuto in mano il suo destino. Un avvenire in qualche misura rivoluzionario, racchiuso in un libretto blu che dall’inizio dello scorso mese di luglio ha cominciato a circolare nelle cassette della posta, nelle piazze, nei mercati. E in formato digitali sui social network. Quel libretto si intitolava “Costituzione politica della Repubblica del Cile”. 

Scritta dai 154 membri della Convenzione costituzionale eletta nel maggio del 2021, era stata consegnata al presidente progressista Gabriel Boric il 4 luglio di quest’anno. Una Carta che avrebbe fatto entrare il Paese in un’era progressista e inclusiva, promuovendo la lotta alle diseguaglianze sociali e di genere, la tutela delle differenti culture presenti in Cile, imponendo la questione climatica nell’agenda politica e i diritti delle popolazioni autoctone. O ancora concedendo allo Stato la possibilità di creare imprese pubbliche in concorrenza con quelle private. E sancendo il diritto all’aborto, alla salute pubblica, all’istruzione, alla casa. Senza che tutto ciò debba dipendere dai mercati.

Centosettanta pagine per voltare pagina, definitivamente, rispetto alla Carta liberticida che fu scritta nel 1980 dal regime dittatoriale fascista di Augusto Pinochet e approvata con un plebiscito e senza che un’opposizione potesse aver voce in capitolo. E che fece della nazione sudamericana, tra le altre cose, una culla del capitalismo ultra-liberista.

Il verdetto è stato senza appello. Il 61,9% degli elettori ha rigettato il progetto di nuova Costituzione, preferendo quella di 42 anni fa, scritta quando ancora nelle coscienze di molti echeggiavano le bombe sulla Moneda. Quelle sganciate dall’aviazione che aveva ordito un colpo di Stato militare, sostenuto dagli Stati Uniti di Richard Nixon, contro il governo democraticamente eletto del socialista Salvador Allende. Che pagò le sue riforme progressiste con la vita. Seguirono anni bui fatti di un dispotismo sanguinario con il quale il Cile non ha ancora fatto i conti. 

Quel libretto blu aveva ricevuto un vasto consenso internazionale, ed era in qualche modo stato richiesto dalla stessa popolazione cilena, che il  25 ottobre 2020, con una vastissima maggioranza (l’80% dei votanti) aveva chiesto la scrittura di una nuova Carta. Cosa è cambiato da allora nella nazione sudamericana?

I perché di un cambiamento così repentino e radicale sono molteplici. Da una parte a pesare è stata la crisi economica, che nel corso dei mesi si è esacerbata. Dall’altra la questione migratoria, balzata sulle prime pagine per via degli arrivi, nella porzione settentrionale del vasto territorio cileno, di famiglie provenienti dal Venezuela e dalla Colombia. Dall’altra ancora l’esplosione delle violenze nelle città e nelle campagne abitate dalla comunità Mapuche nel Sud. Con il conseguente prolungamento dello stato di emergenza. 

Ma soprattutto, contro quella che sarebbe stata una delle costituzioni in assoluto più avanzate a livello sociale e ambientale, in Cile si è formata una coalizione forte, agguerrita e in parte perfino trasversale. Se il perno del movimento pro-rechazo («rifiuto») è stata la destra cilena, a sostenere il «no» è stato anche qualche esponente della sinistra. Mentre il governo, rispettando le regole, si è astenuto dal partecipare attivamente alla campagna, limitandosi a chiedere di informare adeguatamente la popolazione. 

A votare contro la Costituzione siano stati soprattutto gli abitanti del Nord (nel quale imperversano anche povertà e tratta di esseri umani) e del Sud del Paese.  Il dibattito è stato però inquinato da numerosi spauracchi e strumentalizzazioni. Spesso basati su vecchie paure anti-comuniste. Basti pensare che si è perfino vociferato di possibili espropri di abitazioni da parte dello Stato.

Quel libretto blu rimarrà una significativa testimonianza di come il Cile avrebbe potuto reinventarsi, coronare con una vittoria un meraviglioso processo democratico e scrivere un nuovo capitolo della propria storia e dimenticare gli anni del Régimen Militar. Ora il presidente Boric si troverà a fare i conti con un governo indebolito, mentre la destra cilena potrà cavalcare la vittoria. 

La destra cilena. Non una destra qualunque. Mentre i sostenitori del rechazo festeggiavano nelle vie di Santiago, la sinistra dell’apruebo («approvo») si riuniva a piazza Baquedano. In maggioranza giovani, ma anche alcuni anziani. Chissà che ricordi avranno fatto riaffiorare, in questi ultimi, gli echi delle sirene della polizia, in lontananza.