Cina, solo una parte dei green bond è davvero green

Secondo un’analisi della Climate Policy Initiative, solo una parte dei green bond cinesi è in linea con gli standard internazionali

Solo una parte dei green bond cinesi lo è del tutto, secondo un'analisi della Climate Policy Initiative © grapestock/iStockPhoto

Nel mese di giugno del 2020 la società ChinaBond aveva pubblicato un rapporto sulle emissioni di obbligazioni verdi in Cina. I dati indicavano, per l’anno precedente, un totale pari a 386,2 miliardi di yuan. L’equivalente di 55,8 miliardi di dollari: un valore in crescita del 33% rispetto al 2018. E che aveva portato il totale delle emissioni ad oltre 1.100 miliardi di yuan, secondo quanto riportato dal Quotidiano del Popolo.

I dati sui green bond della Cina non sempre accessibili

Ma si tratta davvero di una notizia positiva per l’ambiente e per il clima? Solo in parte, in realtà. Un’analisi pubblicata dal think tank Climate Policy Initiative (CPI) spiega infatti che solo una quota di questi green bond può essere considerata “green”. «Le obbligazioni verdi – spiega il rapporto – sono cresciute rapidamente in Cina tra il 2016 e il 2019. Sono arrivate così a creare il secondo mercato mondiale. E, complessivamente, tali prodotti hanno consentito di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra di oltre 52,6 milioni di tonnellate. Inoltre, ha contribuito ad installare 11,2 GW in più di capacità di energie pulite».

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Pannelli solari a Hong Kong © WiNG/Wikimedia Commons

Tuttavia, prosegue la CPI, è complicato fornire una valutazione precisa di tutte le ricadute. Ciò a causa di «gravi mancanze in termini di dati accessibili, discendenti da un quadro regolatorio complesso e da linee guida incoerenti». Ebbene, secondo quanto riferito all’agenzia Bloomberg da Xie Wenhong – dirigente del think tank – solamente la metà dei green bond cinesi si può dire conforme agli standard internazionali.

Le regole sulle obbligazioni verdi cinesi

Secondo la CPI, per essere considerata “verde” un’obbligazione deve infatti essere utilizzata unicamente per finanziare progetti di tutela ambientale. Esattamente come indicato anche dall’International Capital Market Association.

In Cina, invece, la valutazione è effettuata da diverse agenzie. E non tutte applicano gli stessi criteri. Ad esempio, la Commissione nazionale per le sviluppo e le riforme consente di utilizzare fino al 50% dei fondi per rimborsare prestiti bancari. Oppure per fronteggiare problemi di tesoreria. Gli standard internazionali – precisa il quotidiano economico francese Les Echos – limitano invece tale uso al 5%.

Così, comprendere in che misura i green bond cinesi siano davvero benefici per clima e ambiente non è semplice. Ad esempio, nel 2020 la banca centrale della nazione asiatica aveva chiesto di escludere dalla lista dei progetti che possono essere considerati “verdi” quello che è stato definito “carbone pulito”. Ovvero trattato al fine di limitare parzialmente le emissioni nocive. Come in Europa, inoltre, la Cina sta lavorando ad una tassonomia della attività economiche sostenibili. Proprio per cercare di chiarire meglio cosa sia davvero compatibile con la transizione ecologica.

La Cina punta alla carbon neutrality entro il 2060

Si tratta di un passaggio cruciale. La Cina è il primo Paese al mondo in termini di emissioni di gas ad effetto serra. Senza il suo apporto, sarà impossibile centrare la limitazione del riscaldamento globale indicata dall’Accordo di Parigi. E Pechino, senza regole chiare, rischia di non raggiungere la carbon neutrality entro il 2060. Ovvero l’azzeramento delle emissioni nette di CO2. A conferma del fatto che la salvezza del Pianeta passa anche dalla finanza.