Le climate litigation sono diventate mainstream. E producono impatto

Le climate litigation sono in crescita in tutto il mondo. Sempre più strategiche, puntano a cambiare le politiche, anche senza vincere in tribunale

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È un fenomeno che ha raggiunto la maturità, ha sviluppato grande complessità e continua nella sua espansione. Sono le climate litigation, la cui evoluzione nel 2024 è stata fotografata dal rapporto appena pubblicato dal Grantham Research Institute on Climate change and the Environment della London School of Economics.

Il rapporto LSE: la “Bibbia” globale delle climate litigation

Giunto alla settima edizione, “Global trends in climate change litigation: 2025 snapshot” è il più autorevole ed esaustivo rapporto sulle cause climatiche al mondo. Fonda le sue analisi sul Climate change Litigation database mantenuto dal Sabin Center for Climate Change Law della Columbia University di New York. Offre un’analisi quantitativa sui contenziosi avviati a livello mondiale, dove e da chi. Insieme a un’analisi qualitativa su tipologie, temi, strategie. E a una valutazione dell’impatto prodotto dalle litigation. È una sorta di “Bibbia” sull’argomento.

Al partecipatissimo incontro di lancio del rapporto, trasmesso in diretta streaming, sono intervenuti alcuni dei massimi esperti di climate litigation a livello internazionale. Fra i quali il professor Michael Gerrard, Faculty director del Sabin Center. «Verranno tempi difficili», ha affermato riferendosi ai quattro anni di amministrazione Trump che ci attendono. Ma si è detto comunque fiducioso che si riuscirà a sopravvivere, dopo il primo, anche al secondo mandato presidenziale del miliardario americano.

Climate litigation come strumento di cambiamento sistemico

Secondo il rapporto, le climate litigation nel mondo sfiorano ormai quota 3mila, avviate in una sessantina di Paesi, l’ultimo ad aggiungersi il Costarica. 226 quelle presentate nel 2024, 164 nei soli Stati Uniti, che restano il Paese leader.

In numeri assoluti l’ultimo anno ha segnato un leggero rallentamento, dovuto però in parte alla definizione restrittiva di climate litigation adottata per la classificazione. Tuttavia – ed è uno dei punti chiave dell’analisi – oltre l’80% delle cause climatiche del 2024 è stata strategica. Contenziosi che mirano a produrre un impatto sistemico, incidendo ad esempio sulle politiche climatiche, su norme e regolamenti, dinamiche dei mercati finanziari e modus operandi delle corporation. Oltre che sul livello di consapevolezza dell’opinione pubblica, dato che le litigation sono un potentissimo strumento di comunicazione, com’è stato sottolineato nell’evento di lancio del report.

Un obiettivo, quello di ordine sistemico, che spesso si riesce a raggiungere anche quando i giudici non danno ragione ai querelanti. È accaduto di recente in Germania con il caso Lliuya v. RWE, in cui la pur sfavorevole sentenza è stata considerata storica per i principi che ha fissato.

Cause climatiche: il ruolo crescente del Sud globale e delle Alte Corti

Un’altra evidenza centrale dell’analisi è che le cause climatiche si stanno diffondendo in maniera crescente nel “Sud del mondo”. Circa il 60% delle climate litigation nel Sud globale sono state intentate negli ultimi cinque anni. Più della metà dei contenziosi (il 56%, contro il 5% nel “Nord del mondo”) sono stati avviati da organismi e agenzie governativi, enti regolatori, procuratori pubblici. È il sintomo di uno spostamento verso cause che vertono su richieste di compensazione per i danni causati dal clima a livello locale. Sempre nel Sud del mondo sono nate nuove iniziative di ricerca, mappatura e analisi del fenomeno. È il caso della Brazilian Climate Litigation Platform, la cui coordinatrice Danielle de Andrade Moreira, docente alla Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro, era fra i relatori dell’incontro.

Le climate litigation puntano sempre più in alto, nel senso che sono arrivate a interessare le “apex courts”, cioè Corti supreme e Corti costituzionali. Tra 2015 e 2024 sono stati 276 (117 solo negli Usa) i casi che le hanno riguardate. In più dell’80% delle volte, a doversi difendere sono stati governi ed enti governativi. Ci sono stati pronunciamenti importanti anche da parte di tribunali internazionali, come il parere consultivo con cui a maggio 2024 il Tribunale internazionale per il Diritto del Mare ha confermato gli obblighi degli Stati in materia di protezione dell’ambiente marino dagli impatti dei cambiamenti climatici. Entro fine 2025 dovrebbe arrivare l’attesissimo parere della Corte Internazionale di Giustizia.

Le resistenze in aula: chi prova a fermare le cause climatiche

Ci sono anche i contenziosi che il report definisce “non allineati agli obiettivi climatici”, avviati per rallentare se non addirittura stoppare l’azione sul clima. Nel 2024 sono stati 60 sui complessivi 226. Sono figli di contesti politici influenzati da forze negazioniste della crisi climatica e di solito mettono in discussione le politiche climatiche dei governi e la loro autorità di imporre alle aziende l’agenda sui temi Esg (ambientali, sociali e di governance). Il contesto principale in cui sono state avviate è quello statunitense. Ma il report punta il dito anche sul famigerato pacchetto Omnibus della Commissione europea. Accusato di aumentare l’incertezza normativa e di conseguenza il rischio di contenziosi con le proposte revisioni al ribasso dell’impianto regolamentare sui temi di sostenibilità.

Ma persino in questo caso, quello delle cause climatiche si può continuare a vedere come un bicchiere mezzo pieno. Perché se anche chi si oppone all’azione sul clima decide di farlo sempre più spesso battendo le vie legali, significa che la lotta contro la crisi climatica si svolgerà in futuro principalmente lì: nelle aule dei tribunali.

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