Climate litigation, in Germania una sconfitta che sa di vittoria

Nella causa di un agricoltore del Perù contro RWE si afferma la responsabilità dei “grandi emettitori” per i danni della crisi climatica

La sentenza nella causa contro RWE in Germania segna un precedente per le climate litigation © Germanwatch

È la sconfitta più vittoriosa che si ricordi. Non stiamo parlando di epiche imprese sportive, bensì di climate litigation, le cause legate al clima. A dimostrazione che questi contenziosi possono avere impatti enormi anche quando il verdetto sancito dal martelletto del giudice non è favorevole.

Segnato un precedente per le future climate litigation

Il 28 maggio il Tribunale superiore regionale di Hamm, in Germania, ha stabilito che secondo il diritto civile tedesco i grandi emettitori di gas serra possono essere ritenuti responsabili delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Non era mai accaduto prima e secondo gli esperti si tratta di un precedente destinato a fare la storia.

La decisione ha infatti spostato l’ago della bilancia per i contenziosi climatici di questo genere e potrebbe avere ripercussioni a livello globale su procedimenti simili, già in corso e futuri. Perché ha esteso la tutela a chiunque nel mondo sia impattato dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Non è difficile immaginare che ai grandi emettitori, società oil&gas ovviamente in prima fila, stia correndo in queste ore un brivido lungo la schiena. Il rischio è di venire travolti da azioni legali come questa.

Dal Perù alla Germania, contenziosi climatici senza confini

Il procedimento in oggetto era già diventato famoso proprio perché se ne intravedevano le potenziali ricadute. Si tratta della causa Saúl Luciano Lliuya v. RWE. Ad avviarla presso un tribunale tedesco a fine 2015 era stato Saúl Luciano Lliuya, agricoltore e guida alpina peruviana. Chiedeva che il colosso tedesco dell’energia elettrica RWE, come grande emettitore, venisse riconosciuto in parte responsabile della fusione dei ghiacciai e del conseguente rischio di inondazioni pendente sulla sua casa di Huaraz, ubicata a 3mila metri d’altezza ai piedi delle Ande.

Tecnicamente la causa si è conclusa con un verdetto sfavorevole a Saúl. Che chiedeva a RWE un risarcimento (17mila euro) per le spese sostenute per le misure di protezione dalle inondazioni. Una richiesta basata sul calcolo del contributo di RWE alle emissioni globali di gas serra. Il giudice però l’ha respinta, ritenendo che il rischio di alluvione per l’abitazione di Saúl non fosse sufficientemente elevato.

«Oggi le montagne hanno vinto»

Ma è il commento a caldo dello stesso Saùl a dirla lunga su chi sia stato l’effettivo vincitore: «Oggi – ha detto – le montagne hanno vinto. Il mio caso ha cambiato il dibattito globale sul significato della giustizia nell’era della crisi climatica».

Dello stesso tenore il commento di chi ha sostenuto Saùl lungo tutto il cammino. Come Germanwatch, la Ong tedesca che sul caso si è molto spesa in attività di comunicazione e pubbliche relazioni, attivando persino un mini-sito dedicato. «La sentenza – ha detto Christoph Bals, Chief Policy Officer di Germanwatch – invia un segnale forte: la pressione sul modello di business dei combustibili fossili è aumentata. Per i principali emettitori, la decisione odierna implica che i mercati finanziari debbano rivalutare i rischi legati alle loro emissioni di gas serra. I responsabili politici devono agire rapidamente e garantire che i principali emettitori paghino per i danni causati e per i costi della protezione delle comunità, in linea con il principio “chi inquina paga”».

Ha seguito passo dopo passo l’iter del procedimento, raccontandolo in tempo reale sui social, anche Sébastien Duyck, avvocato senior del Center for International Environmental Law. «La sentenza odierna – ha commentato – abbatte il muro dell’impunità per i grandi inquinatori. Riconosce che un’azienda può, in linea di principio, essere ritenuta responsabile in tribunale per i danni climatici arrecati dall’altra parte del Pianeta».

Il ruolo della scienza dell’attribuzione nelle climate litigation

È una vittoria anche per la scienza dell’attribuzione che indaga le connessioni causali tra cambiamenti climatici ed eventi quali, nel caso di Saùl, la fusione del ghiacciaio che incombe su casa sua. Molto sviluppatasi in questi anni, tale disciplina è sempre più utilizzata nelle cause climatiche. Friederike Otto, co-fondatrice di World Weather Attribution, ente all’avanguardia in questo campo nel mondo, ha affermato sui social che quanto avvenuto ieri mostra «ciò di cui abbiamo bisogno per lottare per la giustizia climatica».

Il caso Lliuya v. RWE era già entrato ampiamente in circolo nella letteratura specialistica. Il report sulle climate litigation pubblicato nel 2024 dal Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment della London School of Economics, uno dei più autorevoli enti al mondo in materia, lo citava come emblematico fra i casi che si basano sul principio “polluter pays” (chi inquina paga). Cioè quelli in cui si chiede agli accusati un risarcimento economico sulla base del presunto contributo ai danni causati dai cambiamenti climatici. Sarà interessante vedere lo spazio che verrà dato alla sentenza di ieri nella nuova edizione del report in arrivo il 26 giugno.

Joana Setzer, professoressa associata presso il Grantham Research Institute, ha affermato: «La sentenza ha confermato un principio giuridico fondamentale: le aziende possono, in linea di principio, essere ritenute legalmente responsabili per i danni causati dal loro contributo ai cambiamenti climatici. Oltre 60 casi in tutto il mondo mirano attualmente a ritenere le aziende responsabili per perdite e danni legati al clima». Verrebbe da dire: c’è uno “spettro” che si aggira non solo per l’Europa ma per il mondo. E ha il volto delle climate litigation.

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