Colonialismo verde: il lato nascosto della transizione energetica

È colonialismo verde quando la transizione energetica replica logiche coloniali: alimentando disuguaglianze e violazioni dei diritti umani

L'immagine è stata realizzata dalla redazione di Valori.it utilizzando Midjourney

Non solo le guerre per terre rare e minerali strategici, dall’Ucraina al Sud America passando per i Paesi africani. O gli stermini commessi per fare gigantesche speculazioni immobiliari. Vedi il ministro israeliano delle finanze Bezalel Smotrich che settimana scorsa senza vergogna ha definito la Striscia di Gaza dove sono state sterminate decine di migliaia di persone come «una grande opportunità immobiliare». Anche la transizione energetica replica queste tragiche e devastanti logiche coloniali. Quelle dove il ricco Nord del mondo continua a saccheggiare il povero Sud. Dove le cosiddette democrazie avanzate esacerbano le disuguaglianze e alimentano le violazioni dei diritti umani. È il colonialismo verde, la nuova frontiera dello sfruttamento.

Il rapporto Oxfam sul colonialismo verde

Lo stato delle cose è descritto in un nuovo rapporto di Oxfam. Chiaro fin dal titolo: «La transizione ingiusta: sottrarre il futuro energetico al colonialismo climatico». Questo rapporto denuncia il massiccio saccheggio di risorse del Sud del mondo da parte del Nord del mondo. In particolare di materie come litio, cobalto, nichel e terre rare. Tutte fondamentali per lo sviluppo dei nostri vizi tecnologici e delle nostre virtù ecologiche. Inoltre, evidenzia l’accaparramento di terre per la bioenergia, i progetti di cattura del biossido di carbonio e la confisca su larga scala di risorse destinate all’energia idroelettrica, eolica e solare. Tutti progetti che sono implementati senza il consenso delle comunità che vivono nei Paesi interessati.

Da qui la definizione di colonialismo verde. Ovvero «il modo in cui un piccolo numero di persone ultra-ricche – individui, aziende e Stati – plasmano la transizione energetica per servire i propri interessi, riproducendo modelli di estrazione e sfruttamento».  Basti pensare che mentre i Paesi del Sud del mondo detengono circa il 70% delle riserve minerarie strategiche per la transizione energetica, la maggior parte degli investimenti in energie rinnovabili è concentrata nel Nord del mondo (46%). O in Cina (29%). I profitti di questa transizione coloniale finiscono quindi, per la maggior parte, nelle mani dell’1% più ricco del Pianeta. Proprio lì dove, l’energia consumata dall’1% più ricco sarebbe sufficiente a soddisfare sette volte il fabbisogno energetico di base di tutte le persone senza elettricità. I reietti del nostro Pianeta.

Il caso Tesla e il cobalto della Repubblica Democratica del Congo

Uno degli esempi rivelatori del rapporto riguarda Tesla. L’azienda del miliardario di estrema destra Elon Musk ha generato 5,63 miliardi di dollari di profitti dalla vendita di veicoli elettrici nel 2024. Per ogni auto venduta Tesla realizza un profitto di 3.145 dollari. E questa cifra è 321 volte superiore a quanto riceve la Repubblica Democratica del Congo (Rdc) per la fornitura dei 3 kg di cobalto necessari alla produzione delle batterie di questi veicoli elettrici. Più in generale, la Rdc detiene solo il 14% della catena del valore del cobalto. Se coinvolgesse l’intera catena del valore, questa rappresenterebbe oltre quattro miliardi di dollari all’anno. Una cifra sufficiente a fornire energia pulita a metà della sua popolazione di quasi 110 milioni di persone.

In generale, il nostro sistema economico coloniale fondato su quello che il geografo David Harvey definiva «accumulazione per espropriazione» produce disuguaglianze enormi ovunque. Secondo il rapporto di Oxfam, nel 2024 l’America Latina avrà assorbito solo il 3% degli investimenti globali in energia pulita. Il Sudest asiatico, il Medio Oriente e l’Africa ne assorbiranno il 2% ciascuno. Bene, l’America Latina detiene quasi la metà delle riserve mondiali di litio, ma in cambio riceve solo il 10% circa della catena del valore generata dall’industria delle batterie al litio. Le società minerarie, da parte loro, trattengono appena due centesimi per ogni dollaro di valore finale creato.

L’architettura finanziaria che produce il colonialismo verde

«L’architettura finanziaria e commerciale globale rimane profondamente segnata da secoli di dominazione coloniale. Rimane quindi sfavorevole ai Paesi più poveri e dominata dai Paesi ricchi e dalle élite più potenti», scrivono Mateo Adarve Zuluaga and Natalie Shortall, i due dei principali autori del rapporto di Oxfam. I Paesi del Sud sono infatti intrappolati in una spirale del debito che ne ostacola lo sviluppo e la transizione energetica. I cosiddetti Paesi in via di sviluppo hanno un debito estero di 11,7 trilioni di dollari. Oltre 30 volte il costo stimato per garantire l’accesso universale all’energia pulita entro il 2030. Garantire una transizione giusta richiede quindi di affrontare la sconvolgente disuguaglianza nell’accesso all’energia, e in particolare all’energia verde. Oggi, il 10% più ricco consuma metà dell’energia mondiale, mentre la metà più povera dell’umanità ne consuma solo l’8%.

Ma non è finita qui. Una delle ragioni per cui molti Paesi del Sud del mondo non hanno accesso all’energia è la mancanza degli investimenti necessari. Come abbiamo detto, mentre i Paesi ad alto reddito assorbono quasi la metà degli investimenti globali in energia pulita, l’Africa ne riceve solo il 2%, nonostante l’Africa subsahariana ospiti l’85% della popolazione mondiale senza elettricità. E per i Paesi del Sud del mondo il finanziamento per la transizione energetica costa loro molto di più che nei Paesi ricchi. Come spiega il rapporto di Oxfam, nel Sud del mondo i progetti di energia pulita sono soggetti a tassi di interesse dal 9 al 13,5%. Rispetto a solo il 3-6% nei Paesi ricchi. Eppure, questi costi non sono inevitabili. Perché riflettono un sistema finanziario che continua a valutare il rischio attraverso il prisma razziale ereditato dal colonialismo.

L’assunzione di responsabilità dei Paesi più ricchi

Queste dinamiche segnate da secoli di saccheggio e sfruttamento, e da giganteschi bias cognitivi (umani e algoritmici) che tracimano nel razzismo più spietato illustrano alla perfezione la dimensione finanziaria del colonialismo verde. Un sistema in cui debito e finanziamenti iniqui impediscono ai Paesi del Sud del mondo di accedere equamente alla transizione energetica. Ecco perché, come chiede Oxfam e come ricordava anche su Valori la relatrice speciale delle Nazioni Unite su clima e diritti umani Elisa Morgera, è necessario «riconoscere che ci sono vari obblighi, primari e secondari, di compensazione finanziaria verso i Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici».

Per interrompere la spirale del colonialismo verde sono sempre più urgenti e necessari il riconoscimento della responsabilità dei Paesi ricchi, delle aziende e degli individui nella crisi climatica. E lo sono anche i risarcimenti ai Paesi colpiti, quasi tutti parte del Sud del mondo. Come ha riconosciuto anche un parere storico della Corte internazionale di giustizia. Così come è urgente e necessaria la riforma completa delle norme fiscali, commerciali e finanziarie internazionali. Inclusi lo sviluppo locale, il trasferimento tecnologico e la sovranità industriale per i Paesi del Sud del mondo. Perché solo così si potrà vedere la fine delle pratiche estrattive. E la transizione energetica sarà cosa buona e giusta per tutti, nel pieno rispetto del Pianeta e della vita umana che lo abita. 

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