Il coronavirus ritrovato sulle polveri sottili. Ecco le prime prove
Una nuova ricerca conferma la presenza di RNA del coronavirus sulle polveri sottili. Gli scienziati: ancora non sappiamo se esse trasmettano il contagio
Le ipotesi sembrano confermate. L’RNA del coronavirus è presente e “viaggia” sulle polveri sottili. Ovvero sulle PM10: particelle microscopiche disperse nell’ambiente, ad esempio, dai tubi di scappamento delle automobili. L’inquinamento, dunque, è un potenziale “vettore” di epidemie. La notizia è arrivata dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA). Che ha in tal modo confermato i risultati pubblicati in un “position paper” poco più di un mese fa.
#Coronavirus accertata presenza del virus nel particolato atmosferico #ANSA #smog #pm10 https://t.co/m1E48Ufxiu
— Agenzia ANSA (@Agenzia_Ansa) April 24, 2020
«Ora potremo testare la presenza del coronavirus sulle polveri sottili PM10 per rilevarne la ricomparsa»
Si tratta, ha spiegato Alessandro Miani, presidente dell’associazione scientifica, di una «prima prova». Che «apre la possibilità di testare la presenza del virus sul particolato atmosferico delle nostre città nei prossimi mesi». In tal modo sarà possibile «rilevare precocemente la ricomparsa del coronavirus. E adottare adeguate misure preventive prima dell’inizio di una nuova epidemia».
#SIMA E I RICERCATORI #UNIBO, #UNIBA, #UNITS, #UNIMI, #UNINA ANNUNCIANO DI AVER TROVATO, PRIMI AL MONDO, L'RNA DEL #CORONAVIRUS SARS-COV-2 SUL PARTICOLATO ATMOSFERICO
Oggi a #TGRLeonardo una mia intervista sullo studio tutto italiano presentato oggihttps://t.co/Qp7YfPHwKH pic.twitter.com/TD8FLz3H4e— Alessandro Miani (@Aless_Miani) April 24, 2020
Lo studio – al quale hanno partecipato ricercatori delle università di Milano, Bologna, Bari, Trieste e Napoli – è stato coordinato dallo stesso Miani. Assieme ai docenti Gianluigi De Gennaro e Leonardo Setti. Quest’ultimo ha precisato che le prime evidenze relative alla presenza del coronavirus sul particolato provengono da analisi eseguite su 34 campioni di PM10 in Lombardia. In particolare, «in siti industriali della provincia di Bergamo, raccolti con due diversi campionatori d’aria per un periodo continuativo di tre settimane, dal 21 febbraio al 13 marzo».
Il professore dell’università di Bologna ha quindi aggiunto che «nei campioni analizzati è stata verificata la presenza del virus in almeno 8 delle 22 giornate prese in esame. I risultati positivi sono stati confermati su 12 diversi campioni per tutti e tre i marcatori molecolari, vale a dire il gene E, il gene N ed il gene RdRP. Quest’ultimo altamente specifico per la presenza dell’RNA virale del SARS-CoV-2».
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L’inquinamento aumenta la persistenza del virus nell’atmosfera
Il ricercatore conclude perciò senza mezzi termini: «Possiamo confermare di aver ragionevolmente dimostrato la presenza di RNA virale del coronavirus sul particolato atmosferico. Rilevando la presenza di geni altamente specifici, utilizzati come marcatori molecolari del virus, in due analisi genetiche parallele».
Ma non è tutto. De Gennaro aggiunge che quella fornita «è la prima prova che l’RNA del coronavirus può essere presente sul particolato». Ciò suggerisce che «in condizioni di stabilità atmosferica e alte concentrazioni di polveri sottili, le micro-goccioline infettate contenenti il virus possano stabilizzarsi sulle particelle. Aumentando la persistenza del virus nell’atmosfera, come già ipotizzato sulla base di recenti ricerche internazionali».
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Lo studio, tra l’altro, può aprire numerose altre “piste”. La SIMA sottolinea infatti come l’individuazione del virus sulle polveri sottili possa rappresentare «anche un buon marker per verificarne la diffusione in ospedali, uffici e locali aperti al pubblico. Le ricerche hanno ormai chiarito che le goccioline di saliva potenzialmente infette possono raggiungere distanze anche di 7 o 10 metri. Imponendoci quindi di utilizzare per precauzione le mascherine facciali in tutti gli ambienti”.
Per sapere se ci si può infettare respirando servono però altri studi
Va detto che, sottolinea ancora De Gennaro, la presenza del coronavirus sul particolato non significa necessariamente che possiamo infettarci semplicemente respirando. Per stabilirlo, infatti, occorreranno altre ricerche. «Il passo successivo sarà capire se l’RNA, quindi il genoma virale trovato sulle PM10, è vitale. E per quanto tempo eventualmente rimanga tale», ha spiegato all’emittente Euronews l’epidemiologo Prisco Piscitelli.
Il coronavirus “viaggia” sulle polveri sottili
Gli indizi, tuttavia, sono numerosi. «Ad oggi le osservazioni epidemiologiche disponibili per Italia, Cina e Stati Uniti – spiega – mostrano come la progressione dell’epidemia di Covid19 sia più grave nelle aree caratterizzate da livelli più elevati di particolato. Esposizioni croniche ad elevate concentrazioni di polveri sottili, come quelle che si registrano oramai da decenni nella Pianura Padana, hanno conseguenze negative sulla salute umana. Rappresentando anche un fattore predisponente a una maggiore suscettibilità degli anziani fragili alle infezioni virali e alle complicanze cardio-polmonari. È arrivato il momento di affrontare il problema».
E di essere prudenti, soprattutto nei prossimi mesi: «Nella cosiddetta “fase 2” – conclude Piscitelli – occorre si tenga conto della necessità di mantenere basse le emissioni di particolato. Per non rischiare di favorire la potenziale diffusione del virus».