Il coronavirus rischia di fare un’altra vittima: il terzo settore
L'epidemia da Covid-19 sta impattando fortemente sulle realtà dell'economia sociale che forniscono servizi essenziali. Ingenti le perdite giornaliere. Urgono interventi immediati
Danni ad ampio spettro per il Coronavirus. Mentre l’epidemia si combatte con le misure di contenimento e nelle camere sterili degli ospedali, per scongiurare il danno sanitario, il contagio si propaga sotto altre forme. C’è la cooperativa che trasporta con i suoi pullman le scolaresche e i gruppi turistici orientali che sta perdendo 60mila euro al mese (metà del fatturato) e quella di giovani guide naturalistiche che ha azzerato escursioni e attività didattica per la seconda settimana. Oppure i due fisici padovani che raccontano le stelle ai bambini e stimano di rimetterci almeno 50mila euro, mentre la grande cooperativa milanese di servizi socio-sanitari non sa ancora se dovrà e potrà ricorrere alla cassa integrazione per i tanti interventi persi.
Approfondimento
Italia eccellenza per l’economia sociale: occupazione solida e innovazione
Un giro d’affari di circa 71 miliardi di euro, 390 mila imprese, 1,6 milioni di occupati. Un settore prezioso per il nostro Paese. E non solo
Con la chiusura di scuole e musei, con lo stop al turismo, alle gite e alla socialità, alle preoccupazioni per la salute delle persone si aggiunge quella per la solidità delle imprese e del lavoro. Una preoccupazione che si basa sui numeri dei soldi in cassa e delle ore di lavoro mancate. I piani di contenimento dell’epidemia da Covid-19 colpiscono tantissime realtà dell’economia sociale e del terzo settore, a cominciare dalle cooperative sociali. Un patrimonio di imprese che è un enorme valore aggiunto per l’Italia: «a livello nazionale – ricorda Gianluca Salvatori, segretario generale dell’istituto Euricse – il settore dell’economia sociale in senso ampio ha un giro d’affari di circa 71 miliardi di euro, poco meno del 5% del Pil, ha un’occupazione pari circa all’8% degli occupati complessivi e al 17% di quelli del settore privato».
Coronavirus, le cooperative chiedono aiuto. Le realtà venete hanno paura
Un’altra bella fetta di Italia, quindi, che soffre, anche se lontana dai riflettori mediatici. Sta patendo, particolarmente in Veneto, la regione più colpita dall’emergenza dopo la Lombardia. «Il terzo settore, che tipicamente opera molto nell’ambito socio-sanitario, questa settimana (la prima di chiusura di molte scuole, dal 24 febbraio 2020, ndr) è stato praticamente in stand-by, provvedendo al ridimensionamento delle attività» ammette Adriano Rizzi, presidente di Legacoop locale. «Adesso bisogna capire cosa succede nel breve periodo, perché ciò ha degli effetti dirompenti, a cascata, che per ora abbiamo solo sfiorato, ma rischiano di essere prolungati. La situazione è grave, e stiamo chiedendo dei provvedimenti che aiutino soprattutto a partire dai lavoratori, e di conseguenza le aziende».
Essere resilienti non basta
Certo, le analisi sul terzo settore evidenziano come la rete delle cooperative funzioni come ombrello protettivo in determinate circostanze, e l’economia sociale ha un’alta capacità di resistenza e adattamento alle crisi (resilienza). Ma quando le imprese soffrono sul piano finanziario, o addirittura economico, «non c’è rete che tenga». Le aziende medio-grandi e più attrezzate possono tuttavia resistere un po’ di più, ma le piccole…
«I miracoli non li facciamo», sottolinea Rizzi, che chiede di poter «utilizzare rapidamente e pienamente gli ammortizzatori sociali: se si fermano anche gli stipendi acuiamo ulteriormente lo scenario. Anche perché il mercato interno, nel breve, dovrà diventare quello di riferimento per molte attività».
E in Lombardia si perdono 5 milioni di euro al giorno
Ma se dalle parole di Rizzi traspare la serietà della situazione nel Nord-Est, forse il vero bagno di realtà arriva dai numeri diffusi sulla Lombardia. Il consuntivo di Confcooperative Lombardia Legacoop parla di 5 milioni di euro di danni economici al giorno registrati nella prima settimana di chiusura della scuole, con lo stop per circa 20mila lavoratori. Cifre imponenti di cui si capisce davvero il significato leggendo un estratto della lettera recapitata il 27 febbraio scorso direttamente al presidente della regione Attilio Fontana.
«Esclusa la zona rossa, nel restante territorio regionale risultano completamente sospese le attività:
- nelle cooperative che gestiscono teatri, cinema, musei, biblioteche, servizi culturali, turistici e di spettacolo dal vivo; siamo anche di fronte a resi di incassi (biglietti prenotati) e ad annullamento di contratti stagionali e tournee oltre ad eventi non riprogrammabili. Le ricadute economiche ed occupazionali in Lombardia riguardano oltre 60 cooperative, oltre 700 occupati ed una stima di perdite per 150.000 euro/giorno.
- nelle cooperative di formazione e avviamento al lavoro, si stima giornaliera di perdite per 10.000 euro/giorno.
Risultano in larga misura sospese le attività:
- nelle cooperative sociali e di welfare* che gestiscono servizi all’infanzia, assistenza alla disabilità, assistenza domiciliare ai minori, formazione ai percorsi, scolastica; con situazioni differenziate da Comune a Comune e disomogenee. Le ricadute economiche ed occupazionali in Lombardia riguardano oltre 100 cooperative, oltre 4000 occupati ed una stima di perdite per 300.000 euro/giorno.
- nelle cooperative di servizi*, facility, impiantistica, ristorazione*, refezione*, industriale, edilizia logistica*, trasporti*. Le ricadute economiche ed occupazionali in Lombardia riguardano oltre 100 cooperative, oltre 1000 occupati ed una stima giornaliera di perdite per 100.000 euro/giorno».
Chi paga i servizi sospesi e i lavoratori lasciati a casa?
Un quadro allarmante, che giunge nell’anno in cui le cooperative sociali rinnovano il proprio contratto, adeguando – meno male – le retribuzioni, senza che però vi sia ancora un corrispondente aumento delle tariffe che enti pubblici e privati riconoscono per i loro servizi. E questo pesa per un 6% in più sul costo del lavoro e sulle difficoltà di questi giorni, le quali ci vengono confermate dalla voce dei responsabili di varie organizzazioni.
La testimonianza della milanese Genera
Ad esempio, una realtà da 6 milioni di euro di fatturato l’anno e 290 dipendenti come la milanese Genera subisce l’impatto della sospensione dei servizi all’infanzia, con gli asili chiusi, e – nello stesso tempo – vive la contraddizione di dover tenere aperti i centri diurni per gli anziani mentre l’amministrazione regionale – tramite i propri vertici – sconsiglia agli over 65 di uscire. Gli anziani, prudenti, giustamente vi si recano in misura ridotta, e la presidentessa di Genera, Sara Mariazzi, si chiede se e come il personale rimasto a casa deve rientrare «nel nostro calcolo degli eventuali ammortizzatori sociali e degli strumenti di sostegno».
E poi ci sono i servizi di assistenza domiciliare: molte famiglie stanno rifiutando di avere l’operatore a domicilio. La conseguenza è che persone assunte, con una pianificazione di interventi stabile, è costretta a ridurre le ore di lavoro. Ma non solo. Perché mentre si afferma pubblicamente un sostegno al servizio a domicilio, sui servizi che saltano per scelta degli utenti non c’è alcuna certezza per gli operatori che verranno riconosciuti economicamente. Per non dire dell’assenza di molti operatori, rimasti a casa per un raffreddore in via prudenziale. «Questo – conclude Mariazzi – da un lato vuol dire avere tutto il costo – pesantissimo per noi – dei primi 3 giorni di malattia, e dall’altra parte operatori sotto stress per il carico di lavoro aumentato».
Pleiadi: dalle stelle alle montagne, si rischia di cadere
Un bel problema. E se Milano piange, Limena, nella pianura padovana, certo non ride. Lì ha sede la cooperativa Pleiadi che svolge attività didattiche e museali nel campo astronomico e scientifico-naturalistico, . «La prima settimana – spiega il direttore scientifico e responsabile della didattica, Alessio Scaboro – abbiamo dovuto chiudere il museo per i bambini di Verona e bloccare tutte le attività all’interno dei poli museali in gestione. Ovvero l’M9, il Museo di storia naturale di Milano e il Castello di San Pelagio». Uno stop che significa ferie forzate e recuperi ore per 12 persone, nonché l’annullamento della chiamata per altre 19 (992 ore/settimana).
Se l’emergenza non rientra entro un mese, pericoli seri
Senza scuola e senza gite fino al 15 marzo, come prescrive un decreto ministeriale, «i danni economici diretti delle mancate attività nei musei si avvicinano a 50mila euro», a cui si somma il venir meno di 27 laboratori nelle classi del veneto. «Ora con l’apertura contingentata abbiamo 10 persone che rientrano, ma probabilmente gli incassi basteranno forse per i costi vivi… […] Certo come cooperativa non dobbiamo puntare ad utili, e questo ci permette di garantire il lavoro ad oggi. Ma è diverso se la situazione continua. E l’importante non è solo riaprire i luoghi, e riattivare le gite, ma ridare fiducia alle persone».
Simili criticità le abbiamo registrate anche per A perdifiato, piccola realtà di belle speranze a Montegrotto Terme, una ventina di chilometri dal più famoso Vo’ Euganeo, focolaio di coronavirus in zona rossa. Stefano Benetton, il fondatore, ammette di essere «discretamente preoccupato» per la solidità economica dell’impresa. «In queste due settimane salterà almeno una decina di interventi nelle scuole, ed è già stata annullata un’uscita in bici, la prima della stagione con un tour operator». La speranza è quindi che la situazione migliori in fretta, così ne risentirà sostanzialmente questo mese, il primo valido per la parte naturalistica e le esperienze all’aperto. Ma «se l’emergenza si dovesse prorogare ad aprile, ci saranno problemi importanti, perché sono già calendarizzate anche molte attività infrasettimanali, come le uscite con il pubblico dei turisti stranieri».