La crisi climatica costa già cifre astronomiche all’economia mondiale
Uno studio dell’università del Delaware mostra come le perdite in termini di Pil mondiale a causa dei cambiamenti climatici siano già gigantesche
La crisi climatica provoca impatti devastanti anche sull’economia mondiale. Uno studio dell’università del Delaware ha calcolato che gli impatti derivanti dal riscaldamento climatico sono enormi: solamente nel 2022 la perdita in termini di prodotto interno lordo (ponderata in funzione della popolazione) è stata stimata al 6,3% a livello globale.
Lo studio non ipotizza perdite future ma già esistenti
L’analisi è stata pubblicata martedì 28 novembre, quando mancavano ancora due giorni all’apertura della ventottesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite la Cop28 che si tiene a Dubai fino al 12 dicembre. Si tratta di un monito ai governi di tutto il mondo: se non per il clima e per le future generazioni, agite per lo meno per non perdere ricchezza oggi. La maggior parte degli studi finora pubblicati, infatti, ipotizza le perdite economiche sul medio o lungo periodo. In questo caso, invece, si parla di quelle che stiamo già patendo.
Non solo: i ricercatori americani hanno anche evidenziato come in molti casi i danni provocati dagli impatti dei cambiamenti climatici siano strutturali. In termini di perdite di infrastrutture, di relazioni commerciali, di catene di approvvigionamento. E praticamente tutti i settori sono coinvolti: dall’agricoltura, all’energia, alla produzione industriale. Anche calcolando la percentuale non ponderata di mancato guadagno del Pil siamo già ad un -1,8%. Il che significa perdere ogni anno 1.500 miliardi di dollari.
Non solo perdite secche di Pil ma anche cali degli investimenti
«La differenza tra i due dati riflette la ripartizione diseguale degli impatti – spiegano gli autori del rapporto -, dal momento che questi si concentrano soprattutto nei Paesi a basso reddito e nelle regioni tropicali, generalmente più popolati e meno ricchi». Quanto alla metodologia utilizzata, i ricercatori sottolineano che «le conseguenze dei cambiamenti climatici vanno al di là delle perdite immediate di Pil. Si riflettono anche sugli investimenti, e si traducono così anche in un calo delle infrastrutture di un Paese (strade, edifici, macchinari o strumentazioni). In generale, le nazioni esposte agli impatti del riscaldamento globale sperimentano una riduzione dei capitali disponibili per investimenti produttivi».
A patire le conseguenze peggiori sono i Paesi del sud-est asiatico e dell’Africa australe, con perdite annuali medie del Pil pari a, rispettivamente, il 14,1% e l’11,2%. Per quanto riguarda le nazioni meno avanzate, la media è dell’8,3%. E se si mettono assieme Pil e perdite strutturali, l’analisi indica che – solamente per gli Stati a reddito basso o medio – la perdita complessiva subita è stata pari a 21mila miliardi di dollari a partire dal 1992, anno in cui si diede vita alla Cop come strumento di trattativa tra i governi per tentare di fronteggiare la crisi climatica. Da allora, il gruppo del G77 (Paesi del sud del mondo e Cina) hanno subito perdite per 29mila miliardi.
Perché Europa e Asia centrale sono (solo per ora) in controtendenza
Ciò vale per tutto il mondo ad eccezione di due aree: l’Europa e l’Asia centrale. Entrambe hanno infatti guadagnato un 4,7% di Pil grazie ai cambiamenti climatici. La ragione è principalmente legata alla riduzione del freddo invernale, che ha comportato un calo sensibile del consumo di energia e del tasso di mortalità. Ma i ricercatori avvertono: con l’aumento della temperatura media globale, e degli eventi estremi che ne conseguono, tale vantaggio verrà cancellato e si andrà anche qui in perdita. «Gli effetti negativi su energia e salute derivanti da estati sempre più calde compenseranno i benefici di inverni più miti», afferma lo studio.
Complessivamente, dunque, «il mondo è divenuto più povero, perdendo migliaia di miliardi di dollari a causa del clima che cambia – ha commentato James Rising, tra gli autori dell’analisi -. E questo fardello pesa per la maggior parte sui Paesi poveri. Spero che queste informazioni possano chiarire quale sia la situazione che numerose nazioni sono costrette ad affrontare già oggi».