Crisi bancaria: cosa lega banche centrali, fondi speculativi, Cina e Russia

Esiste un'interdipendenza tra strategie monetarie e geopolitica. Le possibili conseguenze dei tassi d'interesse alti sulla crisi bancaria

La crisi bancaria rischia di essere alimentata dalle scelte di politica monetaria © Oleg Elkov/iStockPhoto

Le banche centrali e i grandi fondi guidano il Pianeta. Partendo da questa suggestione provo a mettere in fila quattro considerazioni che sembrano intimamente legate e hanno a che fare con le interdipendenze fra politica internazionale e politiche monetarie. La prima riguarda Cina e Russia che manifestano la volontà di saldare un blocco politico militare per influenzare una vasta area del mondo. 

La seconda considerazione chiama in causa gli alti tassi di interesse praticati dalla Federal Reserve che, seppur parzialmente raffreddati, hanno alimentato e alimentano una nuova crisi finanziaria, spingendo su una strada analoga la BCE, che pare intenzionata ad assecondare la linea di Jerome Powell senza disporre però della forza globale del dollaro come moneta di riserva. Christine Lagarde, infatti, continua a guidare l’Eurotower utilizzando un improvvido pilota automatico.

I possibili effetti dell’aumento dei tassi di interesse

La decisione, peraltro contrastata da altri membri del board, di aumentare ancora di mezzo punto i tassi di interesse nonostante concreti segnali di rallentamento dell’inflazione, rischia di avere almeno tre effetti raggelanti. Il primo consiste nel rendere impraticabile l’indebitamento pubblico, producendo così una profonda spaccatura in Europa fra Paesi che hanno spazio di bilancio e quelli che non ne hanno, destinata a indebolire tutta l’economia del Vecchio Continente e a innescare tagli alla spesa pubblica e una forte spinta alle privatizzazioni.

Il secondo si traduce in un aumento insostenibile del costo del denaro, portando i prestiti ben oltre il 10%. Il terzo è rappresentato dal brusco deprezzamento dei titoli che, deteriorando sensibilmente i portafogli bancari, può allargare lo shock in corso: la caduta dei prezzi delle obbligazioni e delle azioni sta generando un indebolimento sensibile della patrimonializzazione bancaria, destinata a mandare in affanno molti istituti che saranno costretti a coprirsi con costi pesanti per loro stessi e per il mercato del credito.

In questo modo la via d’uscita dall’inflazione non sarà solo la recessione, che in troppi continuano a ritenere lontana usando spesso stime gonfiate proprio dall’inflazione, ma un vero e proprio smantellamento di parti intere delle politiche economiche pubbliche. L’attuale BCE sembra, in altre parole, voler portare a compimento il neoliberismo che, esploso nel 2008 e nel 2011, era stato, paradossalmente, salvato dallo Stato e dalla spesa pubblica, di cui, ora, si vogliono eliminare le tracce, rafforzando, al contempo, in maniera paradossale la centralità dell’asse Cina-Russia. 

Perché anche la Cina teme la crisi bancaria

La terza considerazione riguarda proprio l’ex Impero celeste.  La Cina teme lo strapotere degli Stati Uniti, che, anche in virtù delle politiche monetarie ricordate, che stanno frammentando l’Unione Europea e che vogliono imporre in maniera ancora più monopolistica il dollaro come valuta internazionale. Lo strumento degli alti tassi, usati a tal fine, produce però una crisi finanziaria che spaventa le autorità cinesi da un lato per il rischio troppo alto per la loro enorme liquidità tesaurizzata in dollari e dall’altro per un’ulteriore finanziarizzazione da cui il sistema cinese nel suo insieme non trae alcun beneficio.

La crisi bancaria ha infatti alcuni chiari vincitori. I primi sono quelli che hanno comprato i Credit-default swap delle banche in crisi; in parole semplici chi ha comprato prodotti derivati che fungono da assicurazioni contro il rischio di cadute di prezzo dei titoli bancari ora in crisi, magari senza neppure possedere il titolo a rischio. Tali “scommettitori” hanno pagato queste assicurazioni e ora le vendono a prezzi altissimi a chi possiede il titolo crollato.

È probabile che molti di quelli che hanno queste assicurazioni siano fondi hedge che nei mesi scorsi hanno fatto crollare il titolo, ad esempio, di Credit Suisse, vendendolo allo scoperto, di nuovo senza in realtà possederlo. Ma quei fondi trarranno beneficio anche da un altro fenomeno che la crisi produrrà, costituito dalle fusioni bancarie. Ogni crisi limita il numero delle banche ormai ridotte ad una ristretta cerchia i cui azionisti, guarda caso, sono i grandi fondi hedge; un modello che non piace affatto alle autorità cinesi.

Credit Suisse: salvati gli azionisti ma non chi possedeva obbligazioni subordinate

Del resto il rapido tracollo di Credit Suisse conferma simili paure. Perché si è scelto di salvare gli azionisti e non i possessori di obbligazioni subordinate? Si tratta di una soluzione in chiara controtendenza rispetto alle regole vigenti e consuetudinarie che vedono gli azionisti come i primi colpiti dalla crisi di una società. In questo caso, invece, la scelta, avallata dall’autorità di controllo elvetica, è andata in direzione opposta, appunto, tutelando i proprietari di azioni e “sacrificando” i possessori di obbligazioni subordinate per 16 miliardi di franchi. Certo, anche questa tipologia di titoli contiene in sé un alto grado di rischio, ma praticamente mai si è deciso di privilegiare gli azionisti.

Allora, perché ciò è avvenuto? Una risposta ad una simile, sibillina, domanda può essere rintracciata nell’azionariato di Credit Suisse dove, oltre alla Saudi National Bank, compaiono importanti fondi hedge come BlackRock, Vanguard, Dodge, la Banca Norvegese di Investimento e Goldman Sachs che, guarda caso, sono presenti anche in UBS. In pratica larga parte della catena di controllo di UBS è la stessa di Credit Suisse e, dunque, salvare gli azionisti di questo istituto significa tutelare quelli dell’acquirente.

La rilevanza della questione è apparsa anche alla BCE e alla Federal Reserve, che hanno sottolineato l’anomalia della situazione avendo chiaro, forse molto tardivamente, il definitivo emergere di una vera e propria realtà di monopolio di pochissimi player, identificati nei grandi fondi speculativi. Si arriva così alla quarta considerazione.

Il sistema occidentale vittima di un’incontrollata finanziarizzazione

La Cina, dunque, sembra intenzionata a dotarsi di una propria moneta solida e pensa di diffonderla nell’area asiatica, in accordo con la Russia, superando le resistenze giapponesi. In questo senso la strategia dei tassi alti, tenuta da Fed e BCE, oltre che sempre più sbagliata di fronte ad un’inflazione in arretramento, sta generando profondi timori sulla reale tenuta del sistema economico “occidentale”, ormai in preda ad una feroce e incontrollata finanziarizzazione, persino nel più grande competitor di quello stesso mondo, e in vari altri Paesi emergenti, spinti a cercare soluzioni “autosufficienti” rispetto alle reti di un capitalismo dominato da grandi poteri estranei agli Stati.

Le politiche monetarie delle banche centrali e i grandi fondi hedge guidano un sistema economico contro cui prendono posizione anche quelle realtà, come la Cina, che dal capitalismo hanno tratto notevoli vantaggi e, in maniera drammatica, gli schieramenti di fronte alla guerra in Ucraina riflettono una siffatta tensione.