Decommissioning nucleare: tempi (sempre più) lunghi, costi alle stelle

Lo smantellamento degli ex siti nucleari italiani ritarda di anno in anno: solo il 25% è realizzato. Intanto, i costi raddoppiano e i tempi si dilatano

Francesco Ferrante
Francesco Ferrante
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L’ultima notizia è che la settimana scorsa il ministero dello Sviluppo Economico ha autorizzato (per la quinta volta consecutiva) una proroga per la realizzazione dell’impianto che dovrebbe trattare i rifiuti radioattivi custoditi nel sito piemontese di Saluggia: 230 metri cubi che devono essere trattati e resi solidi.

Appena poche settimane prima, i vertici della SOGIN, la società 100% pubblica che ne è responsabile, indicava giugno 2019 come data in cui concludere il processo (sic!). Ora è ufficiale: dovremo aspettare il 2023. Ma i dubbi sono leciti.

In questi oltre 30 anni (uscimmo dal nucleare con il referendum del 1987) le attività di decommissioning e la società che le avrebbero dovute realizzare sono stati infatti una macchina mangia-soldi: luoghi nei quali collocare dirigenti ben pagati. Nel frattempo, i tempi in cui si sarebbe dovuto provvedere alla messa in sicurezza dei rifiuti nucleari slittavano inesorabilmente.

Nucleare, i costi eterni del decommissioning (Corriere della Sera, 23 maggio 2018)
Nucleare, i costi eterni del decommissioning (Corriere della Sera, 23 maggio 2018)

Le inadempienze della Sogin

E qui non vogliamo trattare dell’individuazione della localizzazione del deposito nucleare: un’altra vicenda in cui la fuga dalla responsabilità di tutti i governi che si sono succeduti in questi lustri sarebbe comica se non si trattasse di una materia dove c’è poco da scherzare.

Analizziamo solo le attività di messa in sicurezza in quella manciata di siti nucleari presenti sul territorio italiano e le inadempienze della Sogin (i cui vertici sono in scadenza in questi giorni e per i quali si auspicherebbe un radicale rinnovamento e ricorso a competenze reali e provate).

Già a luglio del 2017 (due anni fa) quando la Commissione europea sancì l’inizio della procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per la mancata osservanza della direttiva europea 2011/70/Euratom sul trattamento delle scorie, chi scrive faceva notare che a fronte di costi fissi di Sogin che allora ammontavano a ben 130 milioni di euro annui, nel primo semestre del 2017 ne erano stati spesi appena 23 nonostante il budget inizialmente previsto per quell’anno fosse di 88 milioni.

Già allora si capiva che eravamo vicini alla paralisi e che comunque nell’unico caso in cui spendere meno non è una buona notizia perché significa procrastinare all’infinito la messa in sicurezza rifiuti pericolosissimi era quello che stava succedendo.

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I costi miliardari lievitano, i risultati non si vedono

Nel settembre di quell’anno (2017) provammo a mettere in fila tempi e costi dell’ultimo decennio.

Nel 2008 Sogin aveva presentato un piano per cui il decommissioning si sarebbe dovuto concludere nel 2019 (cioè oggi) con una spesa complessiva di 4,5 miliardi di euro. Ma già due anni dopo aveva aggiornato quel piano spostando la previsione di conclusione dei lavori al 2024 con una spesa aumentata a 5,7 miliardi. Nel 2013 prendono atto di aver fatto poco o nulla e spostano conclusone dei lavori al 2025 aumentando la spesa prevista a 6,32 miliardi di euro.

Nel frattempo però Sogin costa e se si leggono i suoi bilanci possiamo calcolare che dal 2001 – l’anno in cui il governo con la direttiva Bersani fissava al 2019 la fine del decommissioning – fino appunto al 2019 sarà costata circa 4 miliardi di euro: quasi quanto nel 2008 si prevedeva sarebbe venuto a costare l’intero piano di decommissioning.

Smantellamento e decontaminazione dei componenti dell'edificio turbina della centrale nucleare di Caorso. FONTE: Sogin
Smantellamento e decontaminazione dei componenti dell’edificio turbina della centrale nucleare di Caorso. FONTE: Sogin

Peccato che – parole dei suoi stessi dirigenti – si era nel 2017 appena a un quarto di quel piano, e che a quel momento per la fine del decommissioning si iniziava a parlare del 2035 (non si sa con quale credibilità ed era comunque impressionante che in 4 anni ne avessero accumulato altri 10 di ritardo) con una spesa che considerando i ritardi in realtà già due anni fa si capiva che non sarebbe potuta essere inferiore agli 8 miliardi.

2018: nessun cambio tra Calenda e Di Maio

A giugno del 2018 fummo costretti a denunciare (ma purtroppo nell’indifferenza di coloro che avrebbero dovuto sorvegliare e in primis il ministero vigilante che era appena passato dalle mani di Calenda a quelle di Di Maio, ma senza grandi cambiamenti di fatto almeno su questo tema) che sempre nel corso del 2017, l’azienda invece di accelerare aveva rinviato di ben 13 anni la previsione della conclusione dei lavori a Trisaia, di ben 12 quelli di Trino Vercellese e di 11 quelli di Saluggia.

E nel frattempo, sempre nel 2017, Sogin si avventurò in una vertenza giudiziaria paradossale contro Saipem (azienda controllata dallo stesso governo, seppur indirettamente, tramite Cdp ed Eni, cui era stata appaltata la realizzazione degli impianti per la cementazione dei rifiuti liquidi proprio a Trisaia e Saluggia) con motivazioni anche discutibili (in audizione al Senato il suo amministratore delegato ha dichiarato che «Saipem avrebbe dovuto comprare ferro e bulloni e costruirsi in casa carriponte e manipolatori» invece di acquistarli dai migliori fornitori).

Quella drammatica lettera di Rubbia del 2001

A settembre 2018, siamo quindi andati in audizione presso la Commissione Industria del Senato della Repubblica per depositare tutti i documenti che attestavano questi ritardi e una sconcertante lettera del Premio Nobel Carlo Rubbia del 2001, in cui l’allora Presidente dell’ENEA metteva in guardia sull’altissimo rischio legato alla possibile esondazione a Saluggia con conseguente pericolo di contaminazione dell’acqua: nonostante ciò, mai si è proceduto a mettere in sicurezza il sito come chiedeva con urgenza quella lettera. Niente, non è successo niente.

Le ultime righe della lettera nella quale il premio Nobel Carlo Rubbia annuncia le proprie dimissioni dall'Enea.
Le ultime righe della lettera nella quale il premio Nobel Carlo Rubbia annuncia le proprie dimissioni dall’Enea.

A nulla sono valse le numerose e documentate interrogazioni che la deputata di Liberi & Uguali, Rossella Muroni, ha presentato nel corso di questa legislatura.

La risposta sino adesso è stata solo una: proroga dei tempi. E nel frattempo invece dovrebbero aumentare le preoccupazioni. Per esempio cosa c’è a Bosco Marengo? Perché l’Ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione chiede conto a Sogin in due successive lettere a maggio e a giugno, a seguito della caratterizzazione dei rifiuti radioattivi liquidi fatta dalla stessa Sogin, della presenza di radionuclidi non previsti nell’autorizzazione per la disattivazione del sito e di conseguenza sospende le attività di allontanamento dei materiali dall’impianto?

Domande per cui sarebbero necessarie risposte serie ed esaurienti. Sarà in grado questo governo –superando contrasti interni e capendo che non si tratta qui di occupare poltrone ma della sicurezza del Paese – di nominare nuovi vertici autorevoli e con le competenze necessarie ad assolvere il compito?


* L’autore è vicepresidente del Kyoto Club.