Vigilanza su diritti umani e ambiente. Passi avanti sulla direttiva europea
Prosegue, anche se non spedito, l'iter della direttiva sulla due diligence, il dovere di vigilanza delle imprese su diritti umani e ambiente
Giovedì 9 febbraio la commissione per l’Ambiente, la Sanità pubblica e la Sicurezza alimentare (ENVI) del Parlamento europeo, ha deliberato il proprio parere sulla direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità. Un parere più pesante rispetto a quello delle diverse Commissioni del Parlamento pure chiamate ad esprimersi: INTA (commercio internazionale), ECON (problemi economici e monetari), AFET/DROI (affari esteri), ITRE (industria, ricerca, energia). ENVI, infatti, è la commissione di diretta competenza e la maggiore per numero di parlamentari (88). Si tratta dunque di un parere che alza l’asticella degli obblighi per le imprese in termini di vigilanza sui rischi e dei danni ambientali e di violazioni dei diritti umani che le imprese devono individuare, monitorare e mitigare lungo tutta la catena di valore dei loro prodotti.
Vigilanza lungo la catena di valore: un percorso lungo e accidentato
La proposta di direttiva, adottata nel febbraio 2022 dalla Commissione europea, presenta infatti numerose implicazioni collegate agli obblighi per le imprese per minimizzare gli impatti negativi sociali e ambientali. Ma quali sono le imprese su cui gravano tali obblighi? Quanto lunga deve essere la catena di valore? Quale ruolo per gli stakeholders potenzialmente affetti dalle ricadute negative dell’attività d’impresa? Chi controlla l’effettività della due diligence e commina sanzioni?
Su queste e molte altre questioni nelle diverse commissioni dell’Europarlamento si stanno producendo emendamenti e costruendo accordi fra i diversi gruppi parlamentari. In particolare fra S&D (Socialisti & Democratici) e Renew Europe (il gruppo liberale). Ne uscirà un testo di compromesso che sarà compito della commissione JURI (giuridica), alla fine, stilare. Fino ad ora il pendolo si è spostato leggermente in favore di un testo più “progressista” su diversi temi. Come la consultazione degli stakeholders e la politica delle risorse umane.
Ma ci sono stati anche arretramenti con il prevalere della maggioranza conservatrice nella commissione ITRE, dove si vorrebbe limitare la due diligence ai rapporti commerciali extra UE o aumentare la soglia di applicazione alle sole imprese con più di tremila dipendenti (mentre il testo della commissione di Bruxelles prevede 500).
La direttiva sulla due diligence in pillole
Perché l’organismo esecutivo dell’Unione europea si è imbarcato in questa impresa? Intanto perché il Parlamento europeo ha approvato il 10 marzo 2021 una risoluzione che le chiedeva di farlo. Cioè di adottare una strumento legale su due diligence e responsabilità d’impresa. È seguita una dichiarazione congiunta sulle priorità legislative del 2022 fra Parlamento, Consiglio e Commissione Ue che la contemplava.
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L’obiettivo esplicito è quello di assicurare maggior rispetto e protezione dei diritti umani e ambientali nell’attività d’impresa. Soprattutto nei settori individuati a maggior rischio (alimentare, tessile ed estrattivo). Certezza del diritto e uniformità dei campi d’azione fondano la necessità di una direttiva che sia vincolante per le imprese.
Il caso virtuoso della Francia
Esistono d’altra parte leggi nazionali in Europa sulla dovuta diligenza obbligatoria in materia di diritti umani. È il caso della Devoir de Vigilance in Francia, ma anche del Modern Slavery Act in Gran Bretagna. Peraltro, la legge francese – la prima nel suo genere – sta trovando applicazione anche nei tribunali. A dicembre a Parigi si è tenuto il primo processo che vede opposte sei Ong all’azienda petrolifera Total Energies sul grande progetto Eacop/Tilenga non violerebbe i diritti umani delle popolazioni locali in Uganda. Il verdetto del giudice è atteso per fine febbraio. Una vicenda che ha coinvolto anche BNP Paribas quale finanziatore di Total.
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La direttiva europea ha un campo di applicazione delimitato alle grandi aziende (sono escluse le PMI), tanto con sede nell’Unione Europea, quanto fuori di essa. Le prime sono imprese con oltre 500 dipendenti (inclusi part-time e collaboratori), con fatturato oltre i 150 milioni di euro. Oppure imprese con 250 lavoratori e fatturato globale netto di 40 milioni, purché almeno il 50% nei settori produttivi ad alto rischio. Le imprese con sede fuori dall’Unione Europea cui si applica la direttiva devono generare oltre 150 milioni del proprio fatturato all’interno dell’Unione, oppure se il fatturato è fra 40 e 150 milioni, il 50% deve essere generato all’interno dei settori a rischio.
L’obbligo di due diligence sui rischi potenziali ed effettivi su diritti umani e ambiente copre le operazioni delle imprese. Ma anche quelle delle controllate e quelle svolte da soggetti con cui l’impresa «ha una relazione commerciale stabile» all’interno della propria catena di valore. Sulle caratteristiche di questa “relazione commerciale stabile” si è concentrata la battaglia nelle commissioni del Parlamento.
Quali sono i compiti degli amministratori delle aziende? Devono:
- integrare la due diligence nelle policy dell’impresa,
- identificare gli impatti avversi effettivi e potenziali,
- adottare misure di prevenzione e mitigazione (all’interno di una specifico Piano che contenga azioni, indicatori di misurazione qualitativi e quantitativi),
- prevedere procedure di reclamo,
- monitorare l’efficacia di policy e misure di due diligence
- comunicare al pubblico le attività intraprese
- definire clausole contrattuali che prevedano l’adesione ai partner commerciali dell’impresa di aderire al proprio codice di condotta e al piano di prevenzione e l’applicazione di misure simili da parte dei partner.
Il riconoscimento del ruolo di sindacati e società civile
Attraverso queste clausole, anche le PMI potrebbero vedersi imporre misure preventive e rimediali simili a quelle delle grandi imprese. Nel capitolo procedure di reclamo è compresa la questione politica decisiva del riconoscimento del ruolo dei sindacati, oltreché di altre organizzazioni della società civile, attivi lungo la catena di valore. Infatti, spesso le grandi imprese operano, attraverso partner commerciali, in Paesi dove la legislazione sui diritti dei lavoratori è quanto meno aleatoria e gli stessi sindacalisti subiscono discriminazioni e violenze di ogni genere.
Non meno rilevanti sono i capitoli relativi ai controlli e alle sanzioni. Saranno gli Stati membri a designare una o più autorità di vigilanza. Che avrà il compito di compiere indagini, chiedere informazioni, ordinare la cessazione delle eventuali violazioni, imporre azioni rimediali, comminare sanzioni. Tutto ciò anche sulla base dei reclami che potranno essere sollevati da persone fisiche e giuridiche.
Le imprese saranno soggette a responsabilità civile
Le imprese saranno soggette a responsabilità civile in caso di inadempienze. Inoltre gli amministratori saranno responsabili anche in caso di impatti negativi derivanti da partner commerciali se l’impresa ha omesso di chiedere al partner di adottare codici di condotta e piani di prevenzione analoghi a quelli adottati dall’azienda committente e se non ha verificato l’osservanza delle clausole contrattuali.
Infine, la direttiva prevede che le aziende adottino un piano per assicurare che il loro modello di business sia in linea con l’Accordo di Parigi sul clima e l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi. Anche a questo aspetto è collegata la parte variabile della remunerazione dei manager. Per inciso questa parte talvolta può superare il 200% della parte fissa.
La campagna Impresa 2030 – Diamoci una regolata è attiva in Italia per svolgere attività di advocacy per tentare di migliorare la direttiva nel suo lungo iter approvativo e, comunque, per cercare di evitare che venga annacquata. Una campagna promossa da: ActionAid Italia, Equo Garantito, Fair, Fairtrade Italia, Focsiv, Fondazione Finanza Etica, HRIC (Human Rights International Corner), Mani Tese, Oxfam Italia, Save the Children, e WeWorld.
E la finanza?
Anche le imprese del settore finanziario sono, al momento, comprese fra quelle su cui insiste l’obbligo della direttiva, ma i tentativi di sollevare il settore da questi obblighi sono in corso, anche all’interno della commissione ECON.
Il testo in discussione comprende nel settore una tipologia assai vasta di tali imprese (all’articolo 3, “Definizioni”). Nella fattispecie enti creditizi, imprese d’investimento, gestori di fondi d’investimento alternativi (GEFIA), società di gestione di organismo d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), imprese di assicurazione e di riassicurazione, enti pensionistici aziendali o professionali (anche quelli considerati regimi di sicurezza sociale), fondi d’investimento alternativi (FIA) gestito da un GEFIA, depositari centrali di titoli, istituti di moneta elettronica, fornitori di servizi di crowdfunding, fornitori di servizi per le criptovalute.
Il meccanismo è sempre quello di one size fits all, cioè gli stessi obblighi qualsiasi sia la dimensione di queste aziende. E vale la pena di ricordare come la gestione corretta degli obblighi della direttiva comporti una spesa e una struttura organizzativa di un certo rilievo.
Cosa manca ancora per l’approvazione della direttiva sulla due diligence
Il percorso per arrivare all’approvazione della direttiva deve superare ancora diversi ostacoli. È prevista l’espressione del parere della commissione JURI alla metà di marzo. Sarà poi la volta del Parlamento europeo.
Il negoziato sarà ancora duro. Il campo di applicazione copre solo l’1% delle imprese europee: e le altre? Le PMI possono essere coinvolte per il fatto che l’obbligo riguarda anche imprese con cui ci sono relazioni commerciali consolidate. Ed è proprio su cosa si debba intendere per “consolidate” lo scontro. Così come si prevede che il coinvolgimento degli stakeholders “solo quando ritenuto rilevante”.
Ed infine l’entrata in vigore: fra i 2 e i 4 anni a seconda delle dimensioni delle aziende. Per quanto irto di difficoltà il cammino della direttiva sulla due diligence è in dirittura d’arrivo e sarà comunque significativo che questo nodo cruciale per la responsabilità d’impresa sia finalmente trasformato in diritto positivo di rango europeo.