Dall’Europa un passo avanti su imprese e diritti umani

Luci e ombre della direttiva europea sulla responsabilità delle imprese in materia di ambiente e diritti umani, appena approvata

L'Unione europea ha approvato la direttiva sulla due diligence delle imprese in materia di ambiente e diritti umani © Teka77/iStockPhoto

La buona notizia è che, dopo un percorso lungo e decisamente tortuoso, l’Unione europea ha finalmente approvato la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD). Ovvero la direttiva sulla responsabilità delle imprese in materia di ambiente e diritti umani.

La European Coalition or Corporate Justice, una campagna europea che riunisce quasi 500 organizzazioni della società civile, da anni lavora per una normativa che fissi degli obblighi e delle responsabilità per gli impatti delle imprese sulle persone e il Pianeta. Secondo la campagna stessa, se l’approvazione è comunque un passo in avanti, si è persa l’opportunità per arrivare a un risultato molto più avanzato. Come spesso avviene, una normativa nata con grandi ambizioni è poi stata indebolita lungo il percorso. Tra pressioni delle lobby e compromessi tra i governi europei.

Quali sono gli aspetti più deboli della direttiva sulla due diligence

Alcuni aspetti appaiono particolarmente deludenti. Primo tra tutti, l’esclusione del settore finanziario. È stato un punto sul quale si è discusso per mesi. Se nella bozza originaria della Commissione la finanza avrebbe dovuto sottostare, come ogni altro settore, all’applicazione della direttiva, alcuni Paesi – Francia in testa – hanno spinto per una sua esclusione, sostenendo che il settore deve già rispettare una pluralità di regole. Una decisione difficilmente comprensibile, considerando quanto finanziamenti e investimenti possono avere ricadute estremamente negative e quanto banche e gestori dovrebbero essere chiamati ad assumersi le proprie responsabilità. Nel testo finale il settore finanziario è “temporaneamente escluso”, ed è stata inserita la richiesta di una eventuale revisione più avanti.

Altro aspetto che ha suscitato critiche è la debolezza riguardo l’emergenza climatica. Secondo la direttiva, le imprese devono unicamente presentare dei generici piani di transizione in materia di clima. Non è però previsto nessun obbligo di riduzione delle emissioni né responsabilità in capo alle imprese che non dovessero prendere impegni in materia. Una decisione incomprensibile sia per l’urgenza di agire contro i cambiamenti climatici, sia considerando che la stessa Unione europea ha fissato in diverse altre normative degli obiettivi ben più ambiziosi, dichiarando di volere essere il primo continente a raggiungere la neutralità climatica nei prossimi anni. Un obiettivo difficile da raggiungere se non sarà possibile accertare la responsabilità delle imprese nel fare la propria parte.

Le imprese saranno ritenute responsabili in materia di diritti umani

Con l’approvazione della direttiva rimangono comunque alcuni notevoli passi in avanti rispetto alla situazione attuale. Il testo fissa infatti obiettivi e aspettative nel comportamento delle imprese riguardo i diritti umani. Le multinazionali, sia quelle europee (a partire da 150 milioni di fatturato e 500 dipendenti) sia quelle extra-europee che operano in Europa (dai 300 milioni di fatturato) dovranno spiegare come considerano i rischi per le persone, le comunità e l’ambiente all’interno delle proprie attività, e potranno essere ritenute responsabili se non rispettano tali obiettivi.

Questo è il nodo centrale della direttiva: chi subisce delle violazioni o impatti negativi in ragione delle operazioni di un’impresa dispone da oggi di uno strumento legale. Le vittime potranno ritenere le aziende responsabili dinanzi ai tribunali dell’Unione europea, se le operazioni delle imprese stesse le danneggiano. Uno strumento fondamentale per i cittadini europei. E a maggior ragione per le comunità del Sud del mondo dove operano le nostre imprese multinazionali e che spesso hanno enormi difficoltà nel fare valere i loro diritti presso i tribunali locali.

Luci e ombre, quindi. Nella speranza che questa direttiva sia un punto di partenza (vedi lavoro da fare su finanza e su clima) e non un punto d’arrivo nel chiedere che le imprese si assumano le responsabilità per il proprio operato.