Economia circolare, Italia batte Germania. Ma il settore si sta fermando

Il rapporto del Circular Economy Network denuncia: Il primato italiano sull'economia circolare si riduce. Coni d'ombra su vestiti usati, mercato delle riparazioni ed energie rinnovabili

Emanuele Isonio
L'economia circolare dovrà rappresentare uno standard in futuro © anyaberkut/iStockPhoto
Emanuele Isonio
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Ci si può adagiare sugli allori di un primato continentale conquistato anche quest’anno o si possono ascoltare le sirene d’allarme che suonano sempre più chiare. L’Italia è ancora ai vertici europei per l’economia circolare eppure molti segnali evidenziano come il comparto stia rallentando e il vantaggio rispetto agli altri Stati Ue si vada riducendo. Merito certamente degli sforzi dei concorrenti continentali, che stanno sfruttando al meglio il nuovo pacchetto di direttive europee approvato nel luglio scorso. Ma è altrettanto sicuro che i tentennamenti e le scelte contraddittorie che arrivano dalle aule parlamentari e dai corridoi dei ministeri non aiutano.

La fotografia del classico gioco del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto arriva dal Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2019“, realizzato dal Circular Economy Network – la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e 13 aziende e associazioni di impresa – e da ENEA, e presentato oggi a Roma.

L’Italia circolare si arresta, la Spagna corre veloce

A destare maggiore preoccupazione è il fatto che l’Italia abbia conquistato solo un punto in più nell’indice complessivo di circolarità rispetto al 2018 (103 punti contro 102). Nello stesso periodo, la Francia da 80 punti è passata a 87 e la Spagna, partendo dai 68 punti della scorsa annualità, ne ha guadagnati ben 13.

«Se non si recepiscono pienamente le normative europee, facendo tra l’altro partire i decreti che tecnicamente regolano il trattamento e la destinazione di quelli che finora sono considerati rifiuti e che invece possono diventare una risorsa per la manifattura italiana, rischiamo di perdere non solo un primato ma un’occasione di rilancio economico fondamentale» ammoniscono gli estensori del rapporto.

La Germania è ancora 15 punti dietro

A onor del vero, i risultati raggiunti nel 2019 sono ancora di tutto rispetto. In termini di punteggio complessivo l’Italia batte la Germania 103 a 88. Il nostro Paese è sempre in pole position nelle classifiche europee dell’indice complessivo di circolarità, ovvero il valore attribuito secondo il grado di uso efficiente delle risorse, utilizzo di materie prime seconde e innovazione nelle categorie produzione, consumo, gestione rifiuti. Al secondo posto nella classifica delle cinque principali economie europee troviamo ancora ben distanziati il Regno Unito (90 punti), seguito da Germania (88), Francia (87), Spagna (81).

Produttività delle risorse: dal 2014 non cresce più

Eppure le zona d’ombra non mancano. E il poderoso lavoro prodotto dagli analisti del Circular Economy Network non le nasconde di certo. A partire dall’indicatore della produttività delle risorse.

Se da un lato l’Italia circolare si pone al primo posto dal punto di vista della produzione rispetto alle prime cinque economie europee, dall’altro registra una mancata crescita rispetto allo scorso anno, considerando l’intensità dell’uso della materia (calcolata in quantità di Pil generato per ogni kg di risorse utilizzate).

In Italia per ogni chilo di risorsa consumata sono stati generati 3 euro di Pil contro una media europea di 2,24 e valori tra 2,3 e 3,6 in tutte le altre grandi economie europee. Un dato dunque positivo che però non deve far dimenticare che il trend di crescita del nostro Paese che si è registrato fino al 2014 si è interrotto. E che da quell’anno a oggi c’è stato un leggero regresso: siamo scesi da 3,24 euro/chilo a 3 euro di Pil per ogni chilo di risorsa consumata.

Energia: consumi green in diminuzione

Dal punto di vista dell’efficienza energetica, nel confronto tra le 5 principali economie europee, la maggior produttività per chilo di petrolio equivalente utilizzato la ottiene il Regno Unito (11 €/PIL), seguito da Italia (10,2 €/PIL), Spagna (9,1 €/PIL), Germania (9 €/PIL) e Francia (8,5 €/PIL). Se analizziamo i trend di crescita ritroviamo ancora in testa il Regno Unito (+ 28%), seguito da Spagna (+20%), Germania (+ 15%). L’Italia chiude il gruppo insieme alla Francia con + 13%.

Dal punto di vista dell’uso di fonti rinnovabili, l’Italia si pone davanti agli quattro Paesi con il 17,4%, seguita dalla Spagna con il 17,3%, la Francia con il 16%, la Germania con il 14,8% e il Regno Unito con il 9,3%. Questo primato, tuttavia, sembra minacciato, in quanto negli ultimi anni la percentuale risulta in diminuzione.

Contrariamente al trend medio europeo, quello italiano è l’unico caso  in cui si registra una diminuzione complessiva degli utilizzi domestici di energia rinnovabile (meno 4% rispetto al 2007).

Un preoccupante andamento decrescente che segna il freno del buon andamento delle rinnovabili che si poteva evidenziare fino a poco tempo fa.

Rifiuti: il riciclo è alto ma sconta ritardi a macchia di leopardo

La percentuale di riciclo dei rifiuti in Italia – un dato che include il trattamento dei rifiuti industriali su cui il nostro Paese ha buone performance – è pari al 67%, nettamente superiore alla media europea (55%) portandoci al primo posto rispetto alle principali economie europee. Lo smaltimento in discarica per l’Italia è però al 25%, in linea con la media europea, ma con valori ancora elevati rispetto ad altre realtà come la Germania, la Francia e il Regno Unito.

Restano, come note dolenti, criticità da tempo conosciute, come i ritardi di alcuni territori nella gestione dei rifiuti urbani e una fortissima carenza di impianti, soprattutto in alcune aree. Inoltre, ultimamente si è posta l’emergenza End of Waste – cioè le procedure perché alcuni rifiuti possano godere dello status di materia riutilizzabile – che rimane tutt’ora un aspetto completamente irrisolto nel nostro Paese.

Significativi sono poi i dati relativi all’efficienza del consumo di materiale, dato che si desume confrontando le tonnellate di rifiuti generati con il consumo interno di materiali. L’Italia ha uno dei valori più alti d’Europa. E non è una buona notizia: «più alto è il valore del rapporto, peggiore è la prestazione – spiegano gli autori del rapporto – perché più elevate saranno le pressioni generate da un sistema produttivo per l’approvvigionamento delle materie prime e a seguito della produzione di rifiuti».

Riparazioni: in Italia il mercato è in crisi. -40% in 10 anni

Ancora più preoccupanti i dati sulla riparazione di beni elettronici e di altri beni personali (vestiario, calzature, orologi, gioielli, mobilia): siamo infatti al terzo posto tra le cinque economie più importanti d’Europa.

In Italia un’impresa di riparazione genera in media un valore annuo di quasi 92mila euro, mediamente più basso rispetto alle economie concorrenti.

Inoltre, se consideriamo il valore della produzione, le 25mila aziende italiane nel settore riparazioni nel 2016 hanno generato a livello nazionale 2,2 miliardi di euro, con una riduzione del 40% rispetto al 2008, circa 800 milioni.

Vestiti usati: in Italia la raccolta non va di moda

Discorso analogo si può fare per la raccolta di vestiti usati. L’Italia, a fronte di un consumo abbastanza elevato di prodotti tessili, presenta un tasso di raccolta basso rispetto alle altre realtà europee. Siamo all’11% contro, per esempio, il 70% della Germania. «La produzione e il consumo nel settore tessile è, ad oggi, ancora basato maggiormente sul modello economico lineare in cui gli indumenti a fine vita vengono smaltiti in discarica» si legge nel rapporto. «In termini quantitativi, il peso totale degli abiti acquistati nell’UE-28 è aumentato di circa il 40% tra il 1996-2012».

Urge una visione politica di lungo periodo

«L’Italia vanta sicuramente grandi risultati vista la rilevanza che l’economia circolare ha avuto e ha nel nostro Paese», ha commentato Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e del Circular Economy Network. «Dobbiamo però impegnarci a tenere alto il livello delle nostre performance. Servono un piano e una strategia nazionale, una regolazione sull’end of waste che permetta ai numerosi progetti industriali in attesa di autorizzazione di partire. Ma serve anche una visione politica e amministrativa che manovri le leve della fiscalità, degli incentivi all’innovazione in favore dell’economia circolare, che va pensata non come un comparto, ma come un vero e proprio cambiamento profondo di modello economico».