A lezione di economia green dai padroni del carbonio

La regina dell'ingegneria finanziaria si reinventa paladina della ripresa green: Goldman Sachs "insegna" carbonomics. In cattedra big del petrolio: Eni, BP, Shell, Total

Antonio Tricarico
I big del petrolio restano tra i più grandi inquinatori © Joshua Hicks/iStockPhoto
Antonio Tricarico
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Era finita nell’occhio del ciclone della crisi finanziara del 2007-2009, attirando critiche da più parti per la promozione di una spericolata quanto spietata ingegneria finanziaria. Definita da alcuni come la nuova “Spectra” del capitalismo finanziario globale, Goldman Sachs, la più grande banca d’affari americana, in realtà è uscita indenne dalla crisi e ha mantenuto una discreta leadership nel settore. Oggi tenta di proporsi come paladina di una finanza e un’economia green.

La finanza mondiale si fa paladina di una ripresa green

Goldman Sachs ha continuato imperterrita a promuovere una finanziarizzazione dell’economia, da estendere anche a nuovi settori e commodity per far fronte a una perdurante difficoltà ad aumentare la crescita economia mondiale e garantire lauti profitti sugli investimenti. Con la crisi mondiale indotta dalla pandemia del Covid19, il settore finanziario si è posizionato in fretta sulla questione dirimente di come sostenere gli sforzi dei governi per rilanciare l’economia, oltre a beneficiare dai sempre meno ortodossi interventi monetari delle banche centrali di mezzo mondo, che però non sembrano bastare. Inoltre, a fronte della crisi climatica, parimenti allarmante e incalzante come quella sanitaria, il sistema finanziario internazionale questa volta si fa paladino di una ripresa green, o presunta tale.

Goldman Sachs organizza una conferenza sull’economia del carbonio

Il prossimo 12 novembre, nel giorno in cui ben due vertici internazionali si svolgeranno a Parigi e Londra sulla questione della finanza per il clima, Goldman Sachs non poteva mancare con una sua conferenza virtuale sulla Carbonomics, ossia l’economia del carbonio che verrà.

Interessante come nel titolo dell’evento si parli di carbonio, ma non di clima. Per due decenni il mondo finanziario si è arrovellato, insieme ad attori quali la Banca mondiale, su come creare dei mercati mondiali per lo scambio dei permessi di inquinamento. Ossia, invece di penalizzare o vietare direttamente l’utilizzo dei combustibili fossili, hanno puntato sulla promozione di un nuovo meccanismo di mercato. Un meccanismo centrato sullo scambio di nuovi beni finanziari che avrebbe dovuto incentivare nel lungo termine la riduzione delle emissioni di gas serra (in primis l’anidride carbonica), responsabili dell’aumento dell’effetto serra e quindi dei cambiamenti climatici. 

Oggi la finanza scommette su un’impennata del prezzo del carbonio grazie alle limitazioni derivanti dalle politiche sui cambiamenti climatici e sogna nuovi margini di profitto sui prodotti finanziari collegati ai nuovi mercati “green” basati, in realtà, sullo scambio dei permessi “dark” che saranno sempre più ambiti.

Carbonomics ricerca Goldman Sachs
Nel dicembre 2019 Goldman Sachs ha pubblicato una ricerca intitolata Carbonomics The Future of Energy in the Age of Climate Change

Eni dà lezione di energia pulita

Ma sorprende anche il parterre di eccezione dell’evento della banca d’affari a stelle strisce, dominato dai top manager delle principali oil majors, a partire dall’italiana Eni, fino a BP, Shell e Total.

Sarà proprio l’ad del cane a sei zampe, Claudio Descalzi, a intervenire per primo dettando la linea sul “futuro dell’energia”. L’Eni, come le altre aziende del settore, nell’ultimo anno si è vista costretta a cambiare la narrativa e riconoscere che, per far fronte ai cambiamenti climatici, il business del petrolio e del gas dovrà cambiare in maniera sostanziale. Il nuovo mantra è diventato l’obiettivo di avvicinarsi ad emissioni “net zero” al 2050, ossia di raggiungere una sorta di neutralità climatica estraendo meno petrolio e gas, ma anche compensando le emissioni con progetti forestali – principalmente in Africa – che assorbino e compensino così le emissioni prodotte. O ancora tramite lo stoccaggio di anidride carbonica tramite la fantomatica tecnologia del carbon capture and storage (CCS).

Eni si è appena impegnata a realizzare a Ravenna un primo impianto su grande scala per il CCS, utilizzando i campi esausti di gas come depositi per la CO2. Opere del genere non sono state mai realizzate e diversi osservatori dubitano che l’impresa riuscirà.

Le compensazioni di carbonio permettono di inquinare di più

Grazie alle compensazioni l’Eni potrà così continuare a incrementare la produzione di petrolio e gas in questo decennio, raggiungendo un picco nel 2025, per poi iniziare una lenta discesa. Questo si scontra con gli imperativi della comunità scientifica internazionale, che considera decisiva la prossima decade per dare un taglio energico alle emissioni e salvare il clima limitando l’aumento della temperatura media entro il grado e mezzo.

Oil Change International ha dimostrato nero su bianco come gli impegni delle multinazionali petrolifere verso il net zero non bastano affatto per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi sul clima. In realtà Eni lo sarà solo per il 70% nel 2050 e i suoi concorrenti non primeggiano lo stesso.

Parola ai responsabili dell’attentato al clima

Viene da chiedersi perché Goldman Sachs, in cerca di un posizionamento green, conceda il suo podio d’eccezione a chi è stato tra i principali responsabili dell’attentato alla stabilità climatica, legittimando una presunta conversione del gotha dell’industria petrolifera, che in realtà cerca di resistere pur di estrarre fino all’ultimo barile possibile. Certo, il crollo del prezzo del petrolio e del gas in seguito alla recessione dovuta all’emergenza sanitaria del Covid pone una bella sfida al settore, che già da tempo era poco redditizio e gonfiava i dividendi per gli investitori, quali Goldman, con spregiudicati riacquisti di azioni proprie (buy-back) e altre alchimie finanziarie.

Banking on climate change
La ricerca dell’Ong americana Rainforest Action Network sui finanziamenti al comparto dei combustibili fossili. Nella classifica annuale Goldman Sachs è il quattordicesimo killer finanziario del clima: 84 miliardi di dollari dal 2015 a oggi.

Snam e l’idrogeno per restare al timone dei grandi guadagni

Nel pomeriggio del 12 novembre, non mancherà Marco Alverà, a.d. di Snam e pupillo della finanza internazionale. Alverà è tra i paladini dell’idrogeno come panacea di tutti i mali climatici. L’idrogeno è promosso come sinonimo di green dalla finanza e dalle oil majors, ma in realtà i dati mostrano senza pietà che nei prossimi decenni più del 90% del nuovo vettore energetico avrà un’origine fossile, principalmente dal gas, e non verde tramite l’elettrolisi alimentata da rinnovabili necessarie su vasta scala. Ma soprattutto la “carboeconomia” dell’idrogeno avrà bisogno di mega-infrastrutture sempre più concentrate e nelle mani di pochi. Insomma una strategia che permetterebbe a Snam e gli altri big del settore di mantenere la rendita di posizione di cui godono oggi.

Intanto Goldman Sachs continua a finanziare i grandi inquinatori

E Goldman Sachs che farà? Dove allocherà i suoi capitali? Abbraccerà o no un’autentica svolta green? I numeri attuali del suo portfolio promettono poco di buono. Secondo l’Ong americana Rainforest Action Network, da quando è stato siglato l’accordo sul clima di Parigi alla fine del 2015 la banca americana ha finanziato progetti e società del comparto dei combustibili fossili per ben 84 miliardi di dollari ed è il quattordicesimo killer finanziario del clima nella classifica annuale della società civile.

Un piccolo segnale di speranza è stata l’adozione alla fine del 2019 di una politica che esclude i finanziamenti a progetti di centrali a carbone e di esplorazione petrolifera nell’Artico, ma permette ancora di finanziare la gran parte delle società energetiche con prestiti non collegati ad operazioni specifiche. Insomma la conversione green dei nuovi padroni del carbonio è ancora solo a parole.

L’autore dell’articolo è Antonio Tricarico di Re:Common