Effetto Trump: ora la Cina riscopre le «banche ombra»

Lo shadow banking cinese vale 8.400 miliardi di dollari. Con l'economia che rallenta e la guerra commerciale con Washington, il fenomeno cresce. E innesca rischi sistemici

Matteo Cavallito
Matteo Cavallito
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Nella Cina che non può smettere di crescere – ma che cresce sempre meno – sta riemergendo con forza il caro vecchio convitato di pietra del credito: il sistema delle banche ombra. Società finanziarie, trust, intermediari sui generis: insomma, tutto ciò che esula dal circuito bancario tradizionale. Il credito ombra cinese, ricordava a settembre il Financial Times, varrebbe 8.400 miliardi di dollari (ma le stime variano tantissimo) e circolano infiniti dubbi sui suoi rischi finanziari impliciti. Meno di due anni fa, le autorità avevano attuato un giro di vite senza precedenti per limitarne la presenza sul mercato. Ma il rallentamento della crescita e i contraccolpi della guerra commerciale con Trump hanno mandato all’aria i piani regolamentari.

Il revival delle banche ombra

L’economia cinese reclama ossigeno e gli istituti di credito non possono sobbarcarsi l’impegno da soli. E allora si riparte dalle vecchie certezze: nel secondo semestre 2019, osserva ancora il quotidiano britannico, le banche ombra hanno coperto da sole il 45% dei nuovi prestiti nel mercato cinese, la quota più alta dal 2013. Nei tre mesi successivi, la percentuale è scesa al 39%, un livello decisamente superiore, in ogni caso, a quello registrato a metà 2018 (21%). Il tutto in un quadro di crescente preoccupazione per la tenuta del credito nel suo insieme: ad oggi il 5% dei prestiti nel mercato cinese sarebbe già in default o per lo meno prossimo alla bancarotta.

Dove lo Stato è assente le banche ombra trionfano

Le banche ombra sono il prodotto di due decenni di crescita ma anche di quel modello economico nazionale fatto di confini mobili tra Stato e mercato, tra dirigismo e libera iniziativa. L’ipotesi diffusa, che in pratica è una certezza, è che ad alimentare il credito non tradizionale sia stata negli anni anche la persistente disparità di trattamento vissuta dai clienti pubblici e privati al cospetto delle banche.

Kellee Tsai, professoressa di scienze sociali alla Hong Kong University of Science and Technology (HKUST), fa notare ad esempio come le imprese pubbliche ricevano da sole l’85% del credito proveniente dagli istituti di proprietà dello Stato. Le banche ombra, insomma, nascerebbero e si svilupperebbero per colmare un vuoto sistemico. Solo che questa categoria di banche, come si diceva, comprende un po’ di tutto. Anche, per dire, gli intermediari dei prestiti tra privati (peer-to-peer lending), già protagonisti lo scorso anno di un’ondata di default capace di travolgere clienti e investitori.

La lezione del mercato obbligazionario

La distonia tra Stato e mercato non favorisce soltanto il sistema delle banche ombra ma ha anche effetti evidenti sulla tenuta degli attori coinvolti. Nei primi 9 mesi dell’anno, ha ricordato di recente l’Economist, il tasso di default nel mercato obbligazionario cinese è stato pari all’1%. Come dire, di riflesso, che ben 99 emittenti su 100 sono stati in grado di adempiere agli obblighi con i creditori, un dato in linea con la media globale calcolata dall’agenzia di rating Fitch.

I dati però vanno disaggregati, altrimenti, si sa, non ci si diverte. E allora ecco la “bomba”: nell’89% dei casi, nota ancora il settimanale britannico, i default registrati da gennaio a settembre hanno riguardato i privati, confermando una tendenza evidente di medio-lungo periodo. Dal 2014 ad oggi, nota Fitch, 12 società private su 100 non sono riuscite a ripagare gli interessi sui bond. Per le compagnie statali si scende allo 0,2%, come dire appena due emittenti pubblici su mille.

Le banche ombra generano rischi sistemici

In questo scenario le banche ombra continuano a far paura. Lo si capisce anche dalla recente attenzione riservata al fenomeno da parte della BIS, la Banca dei Regolamenti Internazionali. In un’analisi pubblicata a novembre e firmata addirittura da Sun Guofeng, ovvero dal direttore generale del centro ricerche della Banca Centrale di Pechino, la BIS ha evidenziato i rischi sistemici delle spericolate ombre cinesi. Buona parte del credito concesso al di fuori degli istituti tradizionali, si osserva, è costituita da prestiti a breve termine che devono essere così rifinanziati continuamente (insomma: ci si indebita per ripagare altri debiti). Aggiungiamo il binomio scarsa regolamentazione/effetto domino e il terremoto potenziale è servito.

«Le banche ombra – scrive la BIS – possono generare inadempienze su larga scala. Nonostante la mancanza di una garanzia esplicita, gli investitori cinesi si aspettano di solito che le banche o il governo coprano le perdite». Con ovvie conseguenze:

«Una volta che la fiducia vacilla, gli investitori possono andare nel panico, causando una crisi nel settore ombra e innescando rischi sistemici».

L’allarme del FMI

Sul tema era intervenuto già nell’aprile del 2018 anche il Fondo Monetario Internazionale. Nel suo rapporto periodico sulla stabilità finanziaria, l’istituto di Washington aveva lanciato l’allarme
sui «rischi posti dalle opache interconnessioni su larga scala del sistema finanziario cinese». Nel mirino del FMI anche l’ampio uso della leva finanziaria e la «diffusa trasformazione della liquidità in investimenti rischiosi». La sensazione, compatibilmente con la carenza dei dati, è che la situazione odierna non sia molto diversa.