Processo Eni, Opl 245. L’intermediario scomodo e gli allarmi di Shell
Una nuova udienza per la maxitangente africana. Spunta una mail: Shell riferì dell’inchiesta sulle presunte frodi di Malabu.
Per Eni trattare con gli intermediari non era la regola. Ma nel caso di Emeka Obi, il rappresentante esclusivo della Malabu di Dan Etete, il cane a sei zampe fece una sostanziale eccezione alla prassi. Lo ha spiegato il manager del Dipartimento Negoziazioni della multinazionale Guido Zappalà, sentito come teste al processo milanese sul caso Opl 245. Una lunga testimonianza, circa tre ore, relativa ai negoziati del 2010, che precedettero l’intervento del governo. Al centro della discussione il ruolo del mediatore nigeriano, poi uscito di scena – ma testimoniando presso il tribunale di Londra, Obi ha dichiarato di aver incontrato l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi nel 2011 – e infine condannato dal Tribunale di Milano nel settembre dello scorso anno.
La mediazione di Obi «ci disturbava»
Attraverso la sua società, la EVP, e con l’assistenza di un altro consulente, la banca Raiffeisen, Emeka Obi si pose come intermediario della trattativa su OPL prima dell’intervento del governo nigeriano. Una situazione che per Eni non rappresentava certamente una prassi abituale. «Di solito – ha dichiarato Zappalà in riferimento alla sua esperienza di negoziatore – si parla direttamente con il proprietario dell’asset per ragioni di comodità e sicurezza». Ma nell’occasione, si sa, la multinazionale italiana doveva fare i conti con una clausola di esclusività a favore di Obi. «Se Eni avesse deciso di proseguire con i negoziati si sarebbe dovuta astenere dal contattare direttamente il venditore» ha precisato il teste. Eni, ha aggiunto, vide il mandato che legava Obi alla Malabu ma non ne ricevette mai una copia.
Zappalà ha dichiarato di non sapere per quale motivo fosse stato coinvolto Obi. Né di aver mai ricevuto spiegazioni in merito da Donatella Ranco, la responsabile per i contratti internazionali («Era un dato acquisito»). Quel che è certo è che l’Eni avrebbe preferito ricorrere a un canale diretto con la Malabu. «La clausola ci disturbava perché restringeva la nostra azione e quindi avremmo preferito cancellarla» ha spiegato. Nel corso degli incontri, infine, Obi non avrebbe mai fatto il nome di Dan Etete, preferendo parlare genericamente del suo “principal”.
Una strana uscita di scena
Nel mese di ottobre 2010 i contatti tra Obi – che «si interfacciava» con i manager Vincenzo Armanna e Roberto Casula oltre allo stesso Zappalà – si fanno «serrati». Il 30 ottobre Eni presenta la sua offerta che la Malabu rifiuta. Troppa la distanza tra la cifra proposta dalla compagnia italiana e da Shell (1,26 miliardi di dollari) e la richiesta della controparte (2,2 miliardi). Il fallimento della trattativa porterà all’intervento, poi risolutore, del governo. E a quel punto Obi è già uscito di scena. Le modalità di congedo del mediatore, però, non sono chiare.
Zappalà ha spiegato al procuratore aggiunto Fabio De Pasquale di non aver più incontrato Obi dopo la fine di ottobre. Da allora, ha precisato, non ricevette più alcuna sua mail e non sentì più parlare di lui. «Se non ricordo male EVP (ovvero Obi, ndr) si congedò, non ho memoria della mail ma se lo ricordo evidentemente deve esserci stata». Resta da chiarire tuttavia come e per quale motivo un mediatore forte di un mandato formale ancora in essere decida improvvisamente di chiamarsi fuori dalla trattativa.
Quella mail di Shell
Nel corso dell’udienza è emerso poi un elemento ulteriore. Tra le carte è spuntata infatti una mail risalente al 14 ottobre 2010 con la quale Shell segnalava a Eni l’esistenza di un’indagine nigeriana su Malabu. La Camera di commercio locale, segnalava la missiva, aveva infatti chiesto l’avvio di un’inchiesta sulla «fraudolenta presentazione di moduli per la modifica dei direttori e degli azionisti» della società nigeriana.
Alla fine del 2009 il funzionario della Camera di commercio nigeriana, Abuabakar Abba Umar, era stato ucciso da killer ignoti nella capitale Abuja. Nel 2016, il direttore della divisione Compliance della stessa agenzia, Justin Ndia, ha dichiarato a una commissione parlamentare che l’omicidio di Umar avrebbe portato alla sparizione degli stessi documenti contraffatti relativi alla struttura proprietaria della Malabu.
Eni, ha precisato il teste, aveva chiesto una due diligence con l’obiettivo di verificare la compagine societaria di Malabu. Quest’ultima analisi, ha spiegato il manager, era ritenuta dalla multinazionale italiana una condizione necessaria per il raggiungimento dell’accordo di compravendita di OPL 245. Eni non ricevette mai la diligence. L’ingresso nei negoziati del governo nigeriano – che sostituì Malabu nel ruolo di venditore – la rese presumibilmente superflua dal punto di vista della multinazionale italiana.
Il testimone londinese
Ad aprire il dibattimento, in mattinata, era stata la testimonianza di Gabriel Oziegbe, il “corriere” del parlamentare nigeriano Umar Bature. Oziegbe era stato fermato a Londra nel gennaio del 2014 con una valigia contenente 70 mila sterline e destinata a quest’ultimo. L’arresto dei due cittadini nigeriani era partito da una soffiata dell’avvocato anglo-israeliano Jefrey Tesler, che sosteneva che il denaro provenisse dal numero uno di Malabu Dan Etete.
In collegamento da Londra, Oziegbe ha ribadito di fatto quanto raccontato a suo tempo alla polizia britannica in occasione di un interrogatorio di cui Valori ha potuto consultare il verbale. Il testimone ha quindi nuovamente affermato di non aver mai conosciuto la provenienza del denaro. La somma era stata ritirata in un’agenzia di money transfer. La richiesta proveniva dal suocero che lo aveva contattato telefonicamente dalla Nigeria per organizzare la consegna a Bature. La vicenda, almeno per ora, non pare aggiungere molto a quanto già dichiarato precedentemente dallo stesso parlamentare.