«Il piano di riarmo europeo produrrà più disuguaglianze»

Secondo Raul Caruso, il piano di riarmo aumenterà il debito degli Stati. Che taglieranno sui servizi sociali, aumentando le disuguaglianze

ReArm Europe è il piano di riarmo dell'Unione europea © Cunaplus_M.Faba/iStockPhoto

Una risoluzione di «sostegno incrollabile e incondizionato» all’Ucraina avanzata il 12 marzo al Parlamento europeo ha ottenuto 442 voti favorevoli, 98 contrari e 126 astensioni. Oltre ad accogliere la dichiarazione di Gedda sul cessate il fuoco di 30 giorni, decisione che deve essere approvata ora dalla Russia, il testo sottolinea che l’Unione europea e i suoi Stati membri sono diventati «i principali alleati strategici di Kiev».

L’Europarlamento, oltre ad aver accusato l’amministrazione Trump di aver «ricattato» il presidente ucraino Volodymyr Zelensky per forzarlo ad accettare l’accordo e denunciato la decisione di Washington di lasciare l’Unione europea fuori dai negoziati, ha anche approvato – con 419 voti favorevoli, 204 contrari e 46 astenuti – il Libro bianco della difesa dell’Unione europea, che riguarda un piano di riarmo da 800 miliardi di euro. Il cosiddetto ReArm Europe

Il piano europeo per il riarmo produrrà più disuguaglianza

Un piano che solleva interrogativi sulle sue implicazioni economiche e sociali. Soprattutto in relazione alla disparità tra i diversi Paesi dell’Unione. A spiegarlo è Raul Caruso, professore ordinario di politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il quale analizza la situazione in maniera critica, delineando scenari di possibili disuguaglianze tra le nazioni e i rischi di tagli alla spesa sociale.

Secondo il docente il piano, pur condividendo l’obiettivo di rafforzare la difesa comune europea, potrebbe avere effetti economici particolarmente gravi per i Paesi già in difficoltà. Come l’Italia e quelli più poveri dell’Est. Questi ultimi sono anche quelli che si sentono più a rischio per la loro vicinanza alla Russia.

«I Paesi con un alto debito pubblico saranno quelli che pagheranno di più», afferma Caruso. «Questo perché, nonostante le deroghe alle regole fiscali per gli investimenti in difesa, i fondi necessari a finanziare l’iniziativa sono degli impegni di spesa che dovranno essere ripagati in futuro. In poche parole, il piano di riarmo aumenterà ulteriormente il debito pubblico. Così, i Paesi più piccoli e meno equipaggiati potrebbero trovarsi in una posizione svantaggiata. Creando nuove disuguaglianze tra le nazioni più ricche e quelle più vulnerabili».

Il riarmo porta sempre tagli alla spesa sociale

A questo quadro si aggiungono le previsioni di tagli alla spesa sociale per far fronte agli impegni di difesa. «Ogni volta che aumenta la spesa militare, quella per sanità, scuola e servizi sociali viene inevitabilmente ridotta. Si tratta di un rapporto di proporzionalità inversa ampiamente dimostrato dagli studi accademici», continua il docente. Mentre viene ignorato completamente l’impatto futuro sulla vita quotidiana dei cittadini, il riarmo viene presentato come una necessità politica.

Ma anche su questo Caruso invita a riflettere. «Forse abbiamo considerato la minaccia di invasione russa al resto d’Europa un po’ frettolosamente. Quel che è certo è che abbiamo trattato con superficialità i rapporti diplomatici. E ora questo vuoto è stato colmato dall’imprevedibilità di Trump. In questo contesto, l’Europa, pur dotandosi di un piano di riarmo, rimarrà vulnerabile se non riuscirà a unirsi in modo realmente integrato. Coordinando meglio le risorse e puntando su una politica estera comune. L’Unione europea si presenta debole in politica estera proprio nel momento in cui dovrebbe dimostrarsi più forte».

Secondo il professore per fare fronte comune sarebbe necessario istituire un’organizzazione di difesa comune. Una sorta di agenzia con poteri simili alla Bce ma per quello che attiene all’industria delle armi. «Un segnale che dimostri al resto del mondo che l’Europa è unita». Invece, il piano di riarmo dipenderà dalla dotazione dei singoli, dall’impegno di spesa che ciascun Stato membro sarà in grado di fissare. «Non è facile fare previsioni con numeri alla mano. Non sappiamo quante armi dobbiamo produrre, né quale sia il reale fabbisogno. Sappiamo che ci sarà un impatto a livello sociale, ma non sappiamo ancora dire quantificarlo». 

Con le armi non si fa la pace

In questo clima di incertezza, in Italia la proposta del ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti sembra aver avuto un certo seguito: creare un fondo di garanzia per la difesa europea, cercando di attrarre gli investimenti da parte dei privati. «Una proposta singolare, diciamo, perché le aziende che producono armi sono praticamente pubbliche, quindi pensare che vi possano essere investimenti da parte di società private mi sembra quantomeno ottimistico». 


L’idea di convertire il settore automobilistico alla produzione di armamenti – idea che circola anche in Italia – è stata presentata come una possibile soluzione a una crisi industriale. Ma Caruso è scettico anche su questa proposta: «Si tratta di una soluzione più simbolica che pratica – afferma -. Considerando che le aziende automobilistiche non sono predisposte a un simile cambiamento. La transizione, dunque, richiederebbe investimenti pubblici e rischierebbe di non portare alcun ritorno significativo».

Per quanto riguarda la gestione delle risorse l’analisi si concentra sulla questione della spesa. Se è vero che molte voci indicano la necessità di «spendere meglio» e non «di più», Caruso sottolinea che la storia ci insegna che la forza militare non ha mai portato a una pace duratura. Il rischio è che un riarmo condotto senza una maggiore coesione politica, oltre ad aggravare le disuguaglianze e minare la stabilità economica dei Paesi più fragili, potrebbe portare a una maggiore instabilità. Alimentando una corsa agli armamenti anziché garantire la sicurezza. Invece di evocare il raggiungimento della pace attraverso la forza è necessario puntare su una pace attraverso la convinzione. Basata su un’Unione europea più integrata e politicamente unita.