Fame e obesità? Si battono (anche) con gli investimenti responsabili
Per centrare gli obiettivi Onu 2030 sulla fame, le scelte degli investitori nell'agroalimentare si rivelano cruciali. E influenzando le aziende contrastano anche l'obesità
Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile. Tutte queste azioni rientrano nel Goal 2, uno dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU per il 2030, che ispirano le politiche dei governi e le attività di imprese e soggetti finanziari.
L’obiettivo n.2 dei Sustainable Development Goals ONU spiegato a fumettiI vantaggi dei criteri ESG negli investimenti agroalimentari
In questo scenario internazionale cresce l’interesse degli investitori responsabili per il settore agro-alimentare. L’integrazione dei criteri di sostenibilità ambientale, sociale e di governance (ESG) nell’analisi delle imprese consente infatti agli investitori di prevedere rischi difficilmente identificabili con la sola analisi economico-finanziaria. Fra questi, i danni sulla salute legati all’eccesso di zuccheri negli alimenti, con conseguente ricaduta sui costi sanitari pubblici e privati, che potrebbe provocare interventi di carattere fiscale.
Gli operatori finanziari possono cogliere opportunità d’investimento in imprese innovative, in grado di adottare soluzioni tecnologiche per contrastare gli eventi catastrofici legati al cambiamento climatico, che possono avere un impatto negativo sulle produzioni agricole.
Inoltre, gli attori finanziari hanno la possibilità di ricoprire un ruolo fondamentale nella promozione dello sviluppo sostenibile, specie in aree geografiche e sociali svantaggiate, nei Paesi in via di sviluppo o tra le fasce di popolazione più vulnerabili nei Paesi industrializzati.
Le iniziative si concentrano essenzialmente su due fronti: combattere la fame e promuovere un’alimentazione più sana, contrastando fenomeni globali quali malnutrizione e obesità.
La strada bio per l’agricoltura sostenibile
Complessivamente l’incidenza della sottonutrizione a livello globale si è ridotta negli ultimi anni, passando dal 15% nel 2000-2002 all’11% nel 2014-2016. Tuttavia, oggi circa 795 milioni di persone (circa una su nove) risultano denutrite. Per raggiungere l’obiettivo della sicurezza alimentare è necessario incrementare la produttività agricola, investendo in pratiche di coltivazione sostenibili e resilienti: occorrerà soddisfare il fabbisogno di una popolazione mondiale in continua crescita (10 miliardi di persone nel 2050), minimizzando, al tempo stesso, gli impatti ambientali negativi.
Una via sempre più praticata è quella della produzione biologica: le coltivazioni e gli allevamenti bio, infatti, evitano o riducono l’uso di pesticidi, fertilizzanti sintetici, antibiotici e ormoni. Il risultato è una miglior protezione della biodiversità del suolo e una riduzione del dispendio energetico.
I vantaggi dell’agricoltura biologicaIl primato dell’Italia
Nell’Unione europea le superfici riservate a colture biologiche erano pari al 6,2% nel 2015, in aumento di quasi il 20% dal 2010.
L’Italia è protagonista del settore: secondo l’ultima edizione del Food Sustainability Index (FSI) – elaborato dall’Economist Intelligence Unit e dal Barilla Center for Food and Nutrition – su 34 Paesi esaminati l’Italia è in prima posizione per l’adozione di pratiche agricole sostenibili. In particolare, nel 2014 il 10,5% dei campi era coltivato secondo tecniche bio.
I potenziali offerti dal comparto agri-food del nostro Paese sono oggetto di un crescente interesse degli investitori responsabili. Tra le iniziative più recenti è possibile citare Agrifood One, fondo d’investimento private equity nato da una partnership tra la società di asset management Garnell e Slow Food Italia. Lanciato a fine 2016, lo strumento è volto a finanziare progetti innovativi e sostenibili nell’ambito del settore agro-alimentare italiano, con particolare attenzione per le piccole e medie imprese e per la promozione del Made in Italy sui mercati esteri.
Il fattore Africa
Per ridurre l’incidenza globale della denutrizione è fondamentale l’azione nei Paesi in via di sviluppo e, in particolare, in Africa. Il settore agro-alimentare può infatti contare su ampie superfici coltivabili (più del 60% dei campi inutilizzati del pianeta è concentrato in questo continente) e su una porzione di forza lavoro pari al 60% del totale. Al tempo stesso, il livello di emergenza cibo è tra i più alti al mondo. Sul piano della cooperazione alimentare sono molti gli interventi delle istituzioni finanziarie internazionali volti ad aumentare la produttività agricola nel rispetto delle risorse naturali locali e a favorire l’accesso della popolazione ai bisogni alimentari primari.
In questo contesto è fondamentale l’impegno di organismi come la Banca Africana per lo Sviluppo, che a fine 2017 ha lanciato il progetto “Feed Africa” volto a porre fine alla fame entro il 2025. Altri interventi significativi che vengono dalla Banca Mondiale, per esempio, puntano a ottimizzare l’uso delle risorse idriche per incrementare la produttività delle colture.
Lotta all’obesità: il ruolo della finanza sostenibile
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2016 le persone sovrappeso erano 1,9 miliardi, pari al 39% della popolazione mondiale: di queste, 650 milioni erano obese (13%).
Uno studio dell’Imperial College di Londra ha riscontrato una crescita impressionante dell’incidenza dell’obesità a livello mondiale negli ultimi trent’anni: gli obesi sono infatti passati da 105 milioni nel 1975 a 641 milioni nel 2014.
Il fenomeno dell’obesità ha superato per dimensioni quello opposto della sottoalimentazione (nel 2016 le persone denutrite erano 462 milioni).
Secondo l’OCSE, i Paesi che presentano i tassi più elevati di soggetti in sovrappeso sono Stati Uniti, Messico, Nuova Zelanda e Ungheria. Il caso del Messico dimostra come il fenomeno sia in drastico aumento anche nei Paesi in via di sviluppo: sempre l’OMS ha rilevato che in Africa la percentuale di bambini sovrappeso al di sotto dei 5 anni è aumentata del 50% tra 2000 e 2016.
Sovrappeso e obesità provocano notevoli danni alla salute psico-fisica – sono tra i principali fattori di rischio per patologie croniche come malattie cardiovascolari, ipertensione e diabete – e presentano elevati costi per la sanità pubblica. Inoltre, la sovralimentazione, e la conseguente sovrapproduzione, impongono livelli insostenibili di sfruttamento delle risorse naturali, spesso associato all’uso di fertilizzanti chimici o sostanze nocive per l’ambiente e per gli ecosistemi naturali.
La pressione degli investitori sulle strategie aziendali
Negli ultimi anni è cresciuta la sensibilità dell’opinione pubblica e delle istituzioni per un’alimentazione più sana. Sempre più spesso le aziende del settore sono costrette a fare i conti con azioni legali dei consumatori o con interventi regolatori dei governi, come l’introduzione di imposte sui cosiddetti “cibi spazzatura”: nel 2012, per esempio, la Francia ha imposto una tassa sulle bibite zuccherate. La questione è oggetto di un crescente interesse anche da parte degli investitori SRI, che, in particolare, focalizzano gli interventi sulle società del settore, promuovendo la produzione e la vendita di cibi più sani e con una minor incidenza sull’obesità.
Tra le vie percorribili, quella dell’engagement, una strategia d’investimento sostenibile che si basa sul dialogo con le imprese su questioni di sostenibilità e nell’esercizio dei diritti di voto connessi alla partecipazione al capitale azionario. Per esempio, l’asset manager austriaco Raiffeisen Capital Management ha avviato un dialogo con importanti realtà imprenditoriali dell’industria alimentare, della ristorazione e del commercio al dettaglio, al fine di analizzare il grado di consapevolezza su conseguenze e rischi dell’obesità e le misure adottate per farvi fronte.
In questo modo, gli investitori responsabili possono influenzare i comportamenti delle imprese con l’obiettivo di promuovere l’adozione di pratiche più sostenibili e di aumentare il grado di trasparenza.