FEBEA raccontata dai suoi quattro presidenti
20 anni di FEBEA e di finanza etica in Europa raccontati da Jean Paul Vigier, Karol Sachs, Fabio Salviato e Pedro M. Sasia
Nei suoi vent’anni di storia, FEBEA, la Federazione europea delle banche etiche e alternative, di cambiamenti ne ha attraversati tanti. Quattro crisi globali (dall’11 settembre al Covid-19, passando per la crisi finanziaria e quella greca), un’Unione europea che cresce e si rafforza, la sostenibilità che finalmente sale in cima alla lista delle priorità per imprese, istituzioni e cittadini. In mezzo a queste e altre rivoluzioni, il compito di FEBEA è sempre stato quello di sostenere un’economia più giusta, solidale, locale. Tenendo la barra dritta per evitare che il concetto stesso di “finanza etica” venisse annacquato, perdendo forza e significato. Chi può raccontare questo percorso meglio di coloro che l’hanno vissuto in prima persona? Diamo quindi la parola ai quattro presidenti che si sono susseguiti negli anni: Jean Paul Vigier (2001-2007), Karol Sachs (2007-2011), Fabio Salviato (2011-2017) e Pedro M. Sasia (dal 2017 in poi).
Com’è nata FEBEA e con quali obiettivi?
Jean Paul Vigier. Nel 2000, quando ho proposto a Caisse populaire du Nord-Pas-de-Calais, Hefboom, Credal e Banca Etica di incontrarsi, avevo in mente l’esperienza di Finansol, in Francia, e il sistema di garanzia creato in America Latina per sostenere le banche di solidarietà. Ho pensato che le organizzazioni europee di finanza etica e solidale potessero organizzarsi per dotarsi di strumenti comuni per il loro sviluppo. Questa idea è stata accettata. Visto che l’euro stava per diventare la moneta unica, era necessario confrontarsi con le autorità europee e, possibilmente, con la Banca centrale europea. All’epoca, la costituzione di un istituto bancario solidale ed etico che riunisse i futuri membri era un’ipotesi utopica. Si optò quindi per una Federazione diventata FEBEA.
FEBEA ha visto un incremento dei membri nei primi anni, dopodiché si è preferito limitare l’allargamento del network e concentrarsi, piuttosto, sul concetto stesso di finanza etica e sulla procedura di adesione. Perché?
Karol Sachs. Da un lato Credit Coopratif voleva che FEBEA fosse partner della Commissione Europea. Per esserlo bisognava avere soci nella metà dei Paesi UE più uno: all’epoca quindi ne servivano almeno dieci, mentre oggi devono essere una quindicina, perché c’è anche l’Europa dell’est. Dall’altro lato, sin dall’inizio i soci erano molto eterogenei. Credit Cooperatif è un’istituzione molto grande, mentre BISE (poi TISE, ndr), Caisse Soilidiare, La Néf, Hefboom, Banca Etica e Credal erano molto più piccoli rispetto a oggi.
Jean Paul Vigier. La diversità dei membri era tale che era necessario conoscersi meglio e organizzarsi prima di accogliere troppe organizzazioni.
Karol Sachs. C’è sempre stato nella storia di FEBEA un meccanismo “stop&go”. All’inizio per esistere serviva essere numerosi ma, più si è, più è difficile capirsi. FEBEA è nata durante la crisi dell’11 settembre 2001, poi ci sono state quelle del 2008 e 2020. Ogni volta ci siamo adattati e abbiamo proposto nuovi modi di funzionare.
Pedro M. Sasia. Con il crescere dell’interesse per la finanza etica e dell’insoddisfazione dei cittadini per il ruolo delle banche nelle crisi, era importante preservare lo spazio di FEBEA dalle minacce di “ethical washing”. Oggi l’etica vende, ed è molto comune manipolare tale concetto fino a farlo diventare uno slogan privo di contenuto. Ecco perché è così importante preservare non solo la definizione del nostro spazio, ma anche un modello di governance della Federazione con strutture e processi chiari e trasparenti. Un modello che garantisce che i principi, i valori e i comportamenti dei membri rispondano a un modello di finanza etica coerente e riconoscibile.
Quali sono stati i più importanti strumenti introdotti da FEBEA?
Jean Paul Vigier. Inizialmente l’obiettivo era quello di soddisfare le esigenze dei membri attraverso una sorta di mutualizzazione. In questo spirito sono stati creati il Fondo di garanzia (Fonds Guarantee Solidaire) e SEFEA.
Fabio Salviato. Costituito nel 2002, SEFEA è lo strumento operativo della federazione. È una sorta di laboratorio che dà vita a questi strumenti, in cui ogni socio si fa in parte carico della gestione. Sul microcredito è stata importante la fase di accreditamento sia presso la Banca Europea per gli Investimenti sia presso il Fondo Europeo di Investimenti (FEI). Abbiamo presentato diversi soci al FEI, il quale ha erogato alle singole banche fondi per il microcredito in Europa.
Karol Sachs. È stato l’esempio di FEBEA che ha fatto sì che le organizzazioni di micro-finanza si federassero in due organizzazioni, una in Europa centrale e una in Europa dell’Est.
Pedro M. Sasia. Negli ultimi anni, FEBEA si è concentrata più sul rafforzamento dello scambio tra i membri che, ormai, hanno la struttura e la stabilità sufficienti per sviluppare nuovi prodotti e servizi finanziari. La Federazione ha svolto un ruolo molto rilevante nel contribuire all’accesso dei membri ai programmi di sostegno pubblico, in particolare ai fondi europei, nonché nello scambio di informazioni e storie di successo legate ai programmi stessi.
Cos’ha significato, per le banche etiche, la crisi finanziaria globale?
Pedro M. Sasia. Di solito diciamo che, all’epoca, ci ha risparmiato mezz’ora di spiegazioni su quei rischi del sistema finanziario che la finanza etica metteva in luce da molti anni. La crisi è servita anche a far capire che non si possano proporre alternative al sistema finanziario senza adeguati quadri normativi (con misure che in alcuni casi devono essere globali, come quelle sui paradisi fiscali o la Tobin Tax) e senza mostrare al pubblico le conseguenze sociali e ambientali delle decisioni economiche prese nella vita privata.
Dal 2014 a FEBEA si sono aggiunti membri da Slovenia, Croazia, Grecia, Romania. Che chiave di lettura possiamo dare a questo allargamento a est?
Fabio Salviato. Nel 2004 sono entrati nell’Unione dieci Paesi in contemporanea, il divario economico e sociale era enorme e le autorità finanziarie internazionali avevano la necessità di incentivare il loro sviluppo. Abbiamo individuato due settori – agricoltura pulita e artigianato – e, come FEBEA / SEFEA, abbiamo messo in piedi CoopEst. In ogni Paese, dalla Lituania alla Bulgaria, CoopEst individuava le banche di riferimento e apriva una linea di credito. Un sistema che ha funzionato benissimo, a fronte di un rischio bassissimo.
Pedro M. Sasia. Molti Paesi dell’Est Europa stanno sviluppando progetti di finanza etica ormai da diversi anni, e FEBEA è stata e continua ad essere loro molto vicina.
Karol Sachs. Durante la crisi nessuna banca mainstream poteva prestare alla Grecia, le banche etiche sì.
Quali sono stati i momenti più significativi dell’evoluzione di FEBEA?
Jean Paul Vigier. Per me i tre momenti principali sono stati la creazione di FEBEA, la messa in opera dei primi strumenti e soprattutto l’attrazione che ha suscitato sin dalla sua nascita. Partendo dal nulla, ha saputo rispondere a un bisogno e farsi riconoscere a livello europeo. Nonostante le inevitabili differenze di cultura e dimensione, ho sempre apprezzato la voglia di tutti di stare insieme e andare avanti.
Pedro M. Sasia. Il principale traguardo è stato proprio la capacità di delimitare lo spazio della finanza etica in Europa, costruire dinamiche di dialogo con le istituzioni europee e stabilire alleanze con altri attori rilevanti.
Karol Sachs. Con FEBEA abbiamo dimostrato che un’altra strada è possibile. Anche l’allargamento dei soci dimostra che stavamo rispondendo a un bisogno. Un Paese senza banche e senza finanza è una catastrofe (così come un Paese con troppa finanza), perché significa che i piccoli imprenditori non hanno accesso al credito.
Fabio Salviato. Per me uno dei momenti più importanti è stata la chiamata all’Eliseo per CoopMed, fondo d’investimento dedicato allo sviluppo dell’economia sociale nei Paesi del Mediterraneo (Tunisia, Marocco, Palestina, Libano, Turchia). FEBEA è stata riconosciuta come un partner importante per la questione mediterranea. Abbiamo fatto la nostra parte anche per l’Africa con il fondo FEFISOL in cui la Banca Europea degli Investimenti ha investito una decina di milioni di euro. Infine, anche grazie al nostro pressing sono state emanate le prime disposizioni sull’economia circolare e sulla finanza a impatto.
Karol Sachs. Citerei anche l’iniziativa Europe Active e l’integrazione a livello di FEBEA del movimento del microcredito.
Pedro M. Sasia. Un altro traguardo è stato quello di dotare la Federazione stessa di una struttura e di risorse sufficienti per poter sviluppare una strategia di crescita costante, con un proprio team di professionisti e un ufficio a Bruxelles che ci consente di offrire ai nostri membri diversi servizi: un canale aperto con le istituzioni europee, la partecipazione a progetti di ricerca, le iniziative di formazione.
Karol Sachs. FEBEA è appassionante. Nei 15 anni di FEBEA ho imparato molte cose, c’erano idee ovunque.
La finanza etica è passata da nicchia a un ruolo di primo piano, soprattutto in Europa. Cos’ha fatto (e cosa farà) FEBEA per mantenerla credibile?
Fabio Salviato. All’inizio era una nicchia guardata con curiosità dalle istituzioni europee e dalla Banca d’Italia, che notava l’alta intensità occupazionale sugli investimenti unita al basso tasso di fallimento. C’è stato un progressivo riconoscimento e, direi, anche un risultato importante. Fino al 2000 una cooperativa sociale era considerata non bancabile: noi abbiamo permesso a tale sistema di avere accesso al credito, anche presso le banche tradizionali. Stiamo parlando di un mondo che in Italia fa il 3% del Pil ma all’epoca era penalizzato perché, a parte grandi nomi come Acli, Arci o Caritas, era costituito solo da micro-organizzazioni. Negli anni si è creato inoltre un dialogo con la Commissione europea sull’economia circolare, la finanza a impatto, i social impact bond e così via. All’inizio erano idee, oggi sono leggi.
Pedro M. Sasia. Nonostante la crescita della Federazione, i valori fondamentali e il perimetro culturale della finanza etica sono rimasti intatti, con una lettera di principi e una procedura di ingresso di nuovi membri capace di preservarla dalle tentazioni di green o social washing così comuni in questi tempi. Ultimamente abbiamo sottolineato la necessità di incorporare, all’interno di definizioni, criteri e tassonomie sulla finanza sostenibile, non solo l’elemento ambientale ma anche contenuti sugli impatti sociali e sulla governance degli enti finanziati.
Fabio Salviato. FEBEA deve aiutare a smascherare il greenwashing. Oggi il suo ruolo potrebbe essere ancora più importante perché nel frattempo c’è stata una pandemia che ha cambiato il nostro sistema di vita e l’orientamento delle imprese e del mondo economico-finanziario. Le aziende, piccole, medie o grandi, devono diventare virtuose. Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) è tutto orientato in questa direzione, la valutazione degli SDGS è una costante, tra qualche anno entrerà in vigore la carbon tax.
A che punto è il dialogo tra le banche etiche e le istituzioni europee?
Fabio Saviato. Se dobbiamo dirla tutta, all’inizio non è stato semplice. Bisognava farsi conoscere. Stando a Bruxelles, è diventato poi automatico partecipare agli eventi e creare reti, come quella sul microcredito. C’è anche da dire che FEBEA riunisce trenta banche di dimensioni medio-piccole: il nostro grande valore aggiunto non sta nei numeri, quanto nel fatto che esista una federazione europea, che esistano trenta banche etiche. Ciò significa che è possibile fare finanza in modo diverso, farlo bene e farlo con profitto.
Pedro M. Sasia. Oggi le istituzioni europee hanno un chiaro interesse verso la finanza etica, visto che i fondi Next Generation Eu sono indirizzati a progetti di economia sociale e solidale, difesa dell’ambiente, cooperazione allo sviluppo, sostegno ai gruppi vulnerabili… Ambiti che richiedono una vocazione e una conoscenza (una cultura, insomma) che non è facile trovare al di fuori della finanza etica.
Ora l’attenzione è focalizzata sulla ripresa post-Covid e da più fronti si chiede che sia verde e giusta. Stiamo andando nella direzione corretta?
Jean Paul Vigier. Credo che l’orientamento verso il finanziamento del cambiamento ecologico sia inevitabile. FEBEA e i suoi membri dovrebbero diventare un attore importante in questo campo. C’è un’evidente coerenza tra l’azione sociale in Europa, lo sviluppo dei Paesi poveri e l’azione ecologica.
Karol Sachs. A livello di proclami siamo sulla buona strada. Nella pratica è molto più difficile. Oggi il problema è rilanciare le attività. Servono politiche per soluzioni verdi, locali, partecipate. Ma bisogna sempre considerare le conseguenze pratiche delle azioni, senza rinchiudersi in un pensiero ideologico. Ad esempio se si vogliono ridurre i voli aerei, cosa succede al settore del turismo e ai Paesi che ne vivono?
Pedro M. Sasia. Anche dopo la crisi finanziaria del 2008 i politici parlavano di “rifondazione del capitalismo”, “una profonda trasformazione culturale nelle nostre società” e così via. Gli effetti, nella pratica, sono lontani da quanto proclamato. Rischiamo che anche stavolta accada qualcosa di simile. Parlare di “verde e giusta” è un buon inizio, ma dietro ci devono essere decisioni concrete, revisione delle priorità, considerazione degli attori sociali solitamente lontani dai centri decisionali, maggiore consapevolezza pubblica per un consumo responsabile che premi chi adotta strategie orientate a un’autentica sostenibilità sociale e ambientale…
Fabio Salviato. È evidente che il punto di non ritorno è stato superato. Non basta tappare i buchi, dobbiamo cambiare il sistema di gestione delle nostre imprese, società o città. Gli imprenditori italiani che si sono messi su questa strada sono il 5%, ed è già qualcosa perché prima della pandemia era l’1%. Il restante 95% vuole solo massimizzare l’investimento, costi quel che costi. A questa velocità, non arriveremo mai agli obiettivi per il 2050. Le istituzioni europee hanno dato un grande impulso ma serve anche la volontà del mondo dell’impresa. La nostra società civile purtroppo non ha ancora una grande coscienza ambientale; sul fronte sociale invece ci siamo, con un volontario ogni dieci abitanti. La Federazione può fare da stimolo, indicando la direzione da seguire. Abbiamo già cambiato un pezzo di storia, con la cultura e l’esempio.
Pedro M. Sasia. L’impegno di autentica trasformazione, come lo assume FEBEA, richiede non solo proposte finanziarie concrete, ma anche un lavoro culturale e la volontà politica di rigenerare gli spazi sociali affinché questa trasformazione sia possibile.
Qual è la sua visione sul futuro della finanza etica?
Jean Paul Vigier. La finanza etica e solidale è una risposta, ancora modesta ma reale, ai cambiamenti economici in atto nel mondo. Consente ai risparmiatori di mantenere il controllo delle proprie scelte etiche in materia finanziaria e quindi di partecipare allo sviluppo di nuovi scenari economici, dando un senso ai propri investimenti.
Pedro M. Sasia. Nel breve termine ci sono molte opportunità per lo sviluppo della finanza etica. Da un lato, si vanno via via consolidando alcuni quadri normativi e regolamentari che la riconoscono come uno spazio socialmente prezioso, da tutelare. Si rileva inoltre un crescente interesse verso modelli finanziari alternativi a quelli offerti dai grandi operatori globali. L’istituzionalizzazione della finanza etica, con FEBEA, fa pensare a un periodo di rafforzamento, con identità differenziata e un’alta credibilità. In ogni caso, questo processo è fortemente condizionato dai quadri normativi che possono essere sviluppati a livello regionale. Nonostante i molteplici richiami alla necessità di preservare la biodiversità nell’ecosistema finanziario in Europa, si continua a usare il criterio “one fits all”, che non riconosce le particolarità della finanza etica e le penalizza sotto molti aspetti.
Fabio Salviato. La mia aspettativa è che le istituzioni, organizzazioni, imprese, finanza riescano a capire, e fare proprio, quello che la finanza etica in Europa è riuscita a fare. Si tratta di cambiare un mercato enorme: ci vuole formazione, ci vuole una finanza capace di supportare il cambiamento e una politica che accompagni questo momento difficile ma entusiasmante. Questo è il decennio decisivo. È il decennio in cui l’essere umano può recuperare sull’eccesso di sfruttamento del pianeta e permettere alle future generazioni di vivere una vita serena e dignitosa.
Karol Sachs. Trasformare l’economia globale è molto difficile. Serve avanzare e innovare, non punire. La finanza etica in questo processo ha due obiettivi: finanziare il piccolo e locale, in funzione dei bisogni delle persone e dei criteri ambientali; finanziare ciò che le banche tradizionali non arrivano a finanziare, l’innovazione.