Il femminismo è nelle parole

Economia e finanza, sostantivi femminili. Eppure c'è ancora troppo poco di femminile nel mondo dell'economia e della finanza. Ogni lunedì un nostro commento

Barbara Setti
Barbara Setti
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«Le grandi lingue di cultura non sono sessiste di per sé». Lo dice e lo scrive Vera Gheno, sociolinguista, cioè una linguista che si occupa della relazione fra le parole e le persone. 

Vera Gheno dimostra che l’italiano contiene al suo interno tutti gli strumenti per usare la lingua in maniera paritaria. 

È l’atteggiamento dei parlanti che può avere risvolti più o meno sessisti. La resistenza, per esempio, all’uso dei femminili professionali non è giustificata né morfologicamente né storicamente. In latino i nomina agentis, cioè i nomi di chi compie un’azione, al femminile sono entrati nell’uso ogni volta che c’era una persona di sesso femminile a fare un certo lavoro: ministra, per esempio, nel senso di amministratrice. Adesso sulle questioni puramente linguistiche si stratificano, anzi direi impattano questioni socioculturali, come nel caso dell’impiego del femminile nei nomi professioni.

La lingua italiana, che è una lingua con genere grammaticale (come il francese, il tedesco, lo spagnolo), il femminile lo prevede: ogni sostantivo è femminile o maschile (in alcune lingue anche neutro) e così anche i pronomi. I nomina agentis non sono quindi una strana manipolazione della lingua italiana, ma sono forme previste dal sistema morfologico. Il fatto che alcuni femminili suonino strani («ministra proprio non mi piace!, suona come minestra») deriva dall’abitudine al loro impiego. 

Come dice Cecilia Robustelli, «Ciò che non si dice, non esiste». E non si capisce perché si dica maestra, cameriera, governante, cassiera, ma non ministra, ingegnera, architetta. L’oscuramento linguistico della figura professionale e istituzionale femminile ha come conseguenza la sua non-comunicazione e, in sostanza, la sua negazione.

Io partirei dai fondamentali: un buon vocabolario della lingua italiana. Magari aggiornato. L’italiano è, come tutte le lingue, mobile, vivo e inclusivo.