Oggi la finanza investite oltre 4mila miliardi di dollari in fossili
Sono oltre 7.500 gli investitori che risultano in possesso di obbligazioni e azioni di società che gestiscono combustibili fossili
Combustibili fossili = investimenti dominanti: questo è lo schema degli esecutivi di molti Paesi, e la prassi della finanza planetaria. L’ultimo aggiornamento 2024, ad opera di Urgewald, è impietoso. Basta leggere il report della Ong tedesca, recentemente divulgato con questa premessa: a maggio 2024, oltre 7.500 investitori istituzionali risultano possessori di obbligazioni ed azioni di società che sfruttano carbone, petrolio e gas.
Tradotto in moneta sonante, un totale di 4,3mila miliardi di dollari. Di questa cifra – per precisare – circa 4mila miliardi sono afferenti allo sviluppo di nuove attività centrate su combustibili fossili. Uno scenario così fatto emerge dai contenuti di due liste: la Gcel (Global Coal Exit List) e la Gogel (Global Oil & Gas Exit List) di Urgewald. Elenchi stilati sulla base delle partecipazioni in diverse società degli investitori istituzionali, ovvero di quegli operatori che in modo continuativo e professionale investono in asset mobiliari o immobiliari, come fondi, banche, società di gestione del risparmio e compagnie d’assicurazione.
Gli investimenti nelle fossili coprono l’intera filiera del settore
Andando più a fondo, su 2.928 sovvenzionatori di combustibili fossili presi in esame dal report, ammontano a 2.048 le aziende che consolidano il trend di crescita del settore. La loro attività va da esplorazione e sviluppo di inedite riserve di petrolio e gas, fino alla progettazione e costruzione di nuove infrastrutture come oleodotti, terminali GNL, centrali elettriche a carbone e a gas. Realizzata da Profundo, società no-profit, la ricerca è stata divulgata da Urgewald e co-pubblicata da 17 partner.
Sul petrolifero e sul gas, d’altra parte, Gogel è un database più che ferrato. Per il 2023 ha individuato 1.622 aziende attive, imprese quotate che esprimono il 95% della produzione globale di fonti fossili. Gcel, da parte sua, raccoglie invece 1.433 aziende vocate al carbone, con proprie sussidiarie e joint venture. Il loro business è diversificato: estrazione, commercio, trasporto, conversione in liquidi, gestione di centrali elettriche a carbone, produzione di attrezzature per nuovi impianti.
Si continua a investire in esplorazioni e sviluppo
Di queste aziende, solo il 5% sta programmando la transizione per uscire dal carbone, mentre 577 stanno sviluppando ciò che ancora non esiste: nuove centrali elettriche, nuove miniere, nuove infrastrutture per il trasporto. A maggio 2024, quindi, la situazione viene così definita. Ci sono ben 5.260 investitori istituzionali con in pancia obbligazioni ed azioni di società del carbone. Per un valore di 1,2 mila miliardi di dollari.
Per il settore petrolifero e del gas, invece, ci sono ben 7.245 investitori istituzionali in gioco. Con 3,8 mila miliardi di dollari in ballo. Da qui l’evidenza dell’incremento di ingaggi per i produttori di petrolio e gas. Di essi, il 96% è impegnato in esplorazione e sviluppo di nuove riserve. Ma non è finita qui. Rispetto al 2021 anche la sola esplorazione ha accresciuto la spesa in conto capitale annuo ben oltre il 30%.
Tutti gli investimenti fossili in mano a dieci Paesi
Il 91% delle istituzioni che investono nei combustibili fossili si contano sulle dita di due mani. Infatti, a livello planetario sono dieci i Paesi che raggruppano il bulbo degli interessi su cui veleggiano investitori e gestori patrimoniali. In ordine decrescente, spiccano al primo posto gli Stati Uniti, con 2,8mila miliardi. Un risultato irraggiungibile per ogni altro attore in gioco, che da solo rappresenta il 65% degli investimenti totali nelle società di combustibili fossili.
Segue quindi il Canada, con 254 miliardi. Quasi sullo stesso piano invece Giappone e Regno Unito, rispettivamente con 168 e 152 miliardi di dollari. A non molta distanza ecco l’India, con 115 miliardi. Chiudono poi la classifica Cina, Norvegia, Svizzera, Francia e Germania, distanziandosi tra loro di appena 17 miliardi, dagli 87 di Pechino ai 70 di Berlino.
I soliti quattro grandi fondi d’investimento la fanno da padrone
Non una novità, i cavalieri della finanza fossile sono più o meno sempre gli stessi: Vanguard, BlackRock, State Street e Capital Group. Tutte creature statunitensi, questi fondi d’investimento totalizzano insieme 1,1 miliardi di dollari tra possesso e gestione di asset in società di combustibili fossili. Vanguard riveste i panni dell’investitore globale più potente, sordo ad ogni ipotesi di transizione, obbediente ad una dieta rigidissima: carbone, petrolio, gas. Per un valore di 413 miliardi di dollari. Da parte sua, l’egemonia dell’ambito patrimoniale di BlackRock partorisce asset in combustibili fossili che ammontano a 400 miliardi. Terzo e quarto posto per State Street, con 171 miliardi, e Capital Group con 165.
L’onnipotenza Usa scortata dai cugini canadesi
I 2,8 mila miliardi di dollari targati Usa incidono su società di combustibili fossili in 62 Paesi. Di queste l’89%, per 2,5 mila dollari di valore, trattano petrolio e gas. A fronte di investimenti planetari, i principali beneficiari sono le aziende nazionali: ExxonMobil, Chevron, ConocoPhillips. Solo ExxonMobil raccoglie investimenti istituzionali per un ammontare di 288 miliardi di dollari. E i suoi investitori istituzionali sono Vanguard (53 miliardi), BlackRock (37 miliardi), State Street (26 miliardi), Fidelity Investments (17 miliardi) e JPMorgan Chase (11 miliardi).
Da parte sua, il Canada detiene il 6% degli investimenti istituzionali globali in combustibili fossili. Il loro valore totale tocca i 254 miliardi di dollari a favore di società in 53 Paesi. Con il suo gestore patrimoniale RBC Global Asset Management, a primeggiare tra gli investitori c’è la Royal Bank of Canada che totalizza così 43 miliardi. Seguono poi Sun Life Financial (33 miliardi), Power Corporation of Canada (24 miliardi) e Toronto-Dominion Bank (20 miliardi).
Le due società canadesi in cui si investe di più sono Enbridge (26 miliardi) e Canadian Natural Resources Ltd (20 miliardi). La prima è leader del trasporto di petrolio da sabbie bituminose dalla provincia dell’Alberta. La seconda, neanche a dirlo, è il più grande produttore mondiale di petrolio da sabbie bituminose.
Europa e Giappone, il peso dei fondi pensione
Il Vecchio Continente detiene in tutto 554 miliardi di dollari, valore che pone l’Europa al 13% degli investimenti istituzionali totali in combustibili fossili. Leader è il Norwegian Government Pension Fund Global, con i suoi 70 miliardi. Segue poi Ubs, banca svizzera che si attesta su 45 miliardi, la britannica LGIM con i suoi 32. E la francese Crédit Agricole che, con il proprio gestore patrimoniale Amundi, tocca i 31. In Germania, la Deutsche Bank somma l’operato di Dws e Allianz. Il primo, un gestore patrimoniale, investe per 25 miliardi. Il secondo è un assicuratore che ne muove 24.
In Estremo Oriente, invece, i 168 miliardi di dollari che gli investitori istituzionali giapponesi detengono, in obbligazioni e azioni di società di carbone, petrolio e gas, incidono in 49 Paesi. Di questo ammontare, 87 miliardi vanno a società site in Giappone. Come nel caso norvegese, con 58 miliardi di dollari, l’investitore leader nel fossile è il Government Pension Investment Fund: in questo caso, però, trattasi del più grande fondo pensione pubblico del Pianeta.