L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha aperto un dibattito nel mondo della finanza etica e sostenibile. È giusto finanziare l’industria delle armi alla luce della crisi geopolitica alle porte dell’Unione europea? O la natura stessa di chi persegue un modo alternativo di interpretare il ruolo della finanza è di fatto incompatibile con questo tipo di business?
Anna Fasano, Ugo Biggeri, Marco Piccolo e Martina Pignatti Morano, rispettivamente presidenti di Banca Etica, Etica Sgr, Fondazione Finanza Etica e del Comitato etico della banca spiegano perché costruire ponti di pace non può passare dal supportare chi fabbrica bombe, missili e carri armati.
Con l’intervento militare da parte della Russia in Ucraina alle porte dell’Unione europea mi sorgono alcuni dubbi su come dovrebbe comportarsi un gruppo come quello di Banca Etica, che da sempre rifiuta di finanziare le armi
Questo conflitto va risolto, e dobbiamo fare in modo che la popolazione ucraina non patisca ancor di più le conseguenze dell’invasione. Cosa possiamo fare concretamente?
La solidarietà e la resistenza nonviolenta dei popoli a volte sembrano qualcosa di velleitario. Tuttavia, spesso sono l’unica azione di resistenza che mantiene vivo il tessuto sociale e consente ad una popolazione di superare i traumi di un momento di conflitto
È stato provato da una ricerca di Erica Chenoweth sulla resistenza, dal 1900 al 2006, a regimi militari e occupazioni: la resistenza nonviolenta a un regime ingiusto e illegittimo è più efficace della risposta armata. Il tasso di successo di tale risposta pacifica è del 70%. rispetto al 15% di quella armata. Anche nel caso di un’occupazione militare
La scienza ci dice perciò che l’investimento sulla pace, la cooperazione e la solidarietà hanno più successo e consentono di far sì che la nostra esperienza diventi elemento di contagio positivo rispetto al resto del sistema
La scelta di rifiutare il business delle armi rappresenta un fondamento della policy del gruppo. Tuttavia, alcuni attori del mondo finanziario hanno modificato il proprio posizionamento proprio in ragione di questo intervento russo. La scelta di Banca Etica è di rimanere coerente rispetto ai propri principi?
Il Gruppo Banca Etica affonda le sue radici in un approccio pacifista e nonviolento. Rifiutarlo sarebbe tradire le nostre origini, in questo momento come durante le decine di guerre svoltesi nel mondo negli ultimi anni
Io svolgo il servizio civile, che è nato proprio dai movimenti nonviolenti per la pace e di obiezione di coscienza. Mi sentirei in effetti incoerente a praticarlo nel contesto di un gruppo che investe nella produzione di armi
Esatto. Proprio quei movimenti per la pace e contro il finanziamento alle armi sono stati tra quelli che hanno mobilitato le persone per la creazione di Banca Etica, insieme alla cooperazione internazionale e al movimento ambientalista
Quanto è difficile valutare un investimento?
Quando si prendono posizioni come queste ci si trova davanti ad un dilemma. No non investiremo di certo in armi, ad esempio in aziende come Leonardo/Finmeccanica. Ma per essere davvero coerenti occorre verificare anche se i titoli in cui possiamo investire hanno a loro volta collegamenti con realtà che finanziano le armi
Etica SGR, ad esempio, rifiuta anche di finanziare le armi civili per la polizia, e ha una soglia di tolleranza solo del 5% per quanto riguarda le armi da caccia
Eppure i conflitti nel mondo esistono…
Il criterio del rifiuto di finanziare la produzione delle armi e il loro commercio è il fil rouge della finanza etica: non viene negata l’esistenza del conflitto. Al contrario, viene riconosciuta. Ma si cercano strumenti che possano facilitare il dialogo, la soluzione diplomatica
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Ma che ruolo dobbiamo avere rispetto alla situazione di corsa agli armamenti generalizzata che sta avendo luogo nel mondo occidentale? Se si tratta di armi di difesa diventa qualcosa che possiamo in qualche modo accettare?
C’è un dilemma umano alla base della domanda, perché è difficile non simpatizzare per chi si difende. La memoria della Resistenza alla fine della Seconda guerra mondiale ci fanno vedere in luce positiva che le persone si armano per difendersi
Allo stesso tempo, però, non si può reagire con la pancia: la finanza etica ritiene necessario un approccio di lungo periodo. Ammettere le armi in situazioni di difesa, come nel caso di quelle anticarro o antiaeree, significherebbe alimentare il conflitto con nuovi mezzi. Il che difficilmente consentirà di risolverlo. I tempi della scelta nonviolenta, così come quelli della sostenibilità, sono più lunghi
Mi sembra di capire che un approccio etico debba essere olistico, poiché sappiamo che le questioni sono spesso molto intrecciate tra loro
Lo sviluppo militare della Russia, ad esempio, è stato finanziato in gran parte tramite l’acquisto delle loro materie prime, a partire dalle fonti fossili. Se avessimo effettuato la transizione ecologica necessaria per salvare il clima della Terra già 10 o 15 anni fa, ci saremmo già affrancati da tempo dalle importazioni russe
Sono d’accordo, un tema importante è anche quello del contrasto ai cambiamenti climatici. In questo senso, prima di tutto vanno ridotti i consumi, ed è determinante la transizione verso le fonti rinnovabili. Infatti, anche in questa guerra, l’accaparramento delle materie prime energetiche rappresenta la fonte principale del conflitto
Ma accanto a questa prospettiva di medio e lungo termine, nel frattempo non viene meno il sostegno all’emergenza, che noi supportiamo: Caritas a Medici Senza Frontiere e Intersos. Questo significa lavorare per un’economia che contrasti un modello sociale di predominio sull’altro e sul Pianeta. Si tratta di uno dei modi più efficaci per creare ponti di pace
Ma cosa possiamo fare per coinvolgere altri attori del mondo della finanza per raggiungere questo tipo di obiettivi?
In questo contesto bisogna forse cambiare strategia ed essere più efficaci, perché la nostra azione, nonostante i grandi risultati, non ha modificato abbastanza il contesto intorno a noi
Non dobbiamo caricare troppo la finanza etica di quella che è la situazione attuale. I movimenti che l’hanno concepita erano espressione di una visione del mondo ma erano anche movimenti politici. Assieme al rifiuto delle armi si immaginavano un mondo diverso
Bisogna lavorare nel contesto politico attuale, ma senza commettere l’errore di pensare che la finanza etica possa risolvere da sola questo problema. Dobbiamo avere una visione d’insieme. E dobbiamo immaginare un mondo e una finanza che lo sostenga
Quindi la scelta delle finanza etica è di intervenire, ma non con le armi?
Esattamente: rispetto al dilemma etico se intervenire o non intervenire, dovremmo scegliere di farlo, ma in modo non armato.
Dobbiamo puntare sugli strumenti che abbiamo e sulla società civile: a breve ci sarà una marcia per la pace e stiamo portando avanti una proposta al governo italiano di costituire dei corpi di pace
In sintesi, possiamo dire che si punta ad un mondo più sostenibile rispetto ai cambiamenti climatici, più sostenibile anche nell’ambito sociale, più trasparente dal punto di vista della governance. Queste scelte hanno dimostrato anche di essere utili dal punto di vista della resilienza e della redditività degli investimenti etici. Si tratta dunque di scelte lungimiranti anche per i risparmiatori
Il campo in cui tutta la finanza etica riesce a lavorare al meglio è quello che fa attivamente. Quello che però non dipende dalle nostre volontà, ci mette di fronte a dei dilemmi etici
La discussione sull’aumento da parte dello Stato Italiano delle spese militari fino al 2% complica, ad esempio, le scelte sugli investimenti. Inserire in un fondo un titolo di Stato è utile per la minimizzazione dei rischi. Ma sappiamo che in quello stesso bond sovrano c’è una quota di spese che finisce alla difesa e alla produzione di armamenti
Nel frattempo, però, il movimento pacifista viene accusato a volte di indifferenza. O perfino di sostenere di fatto Putin. Forse occorrerebbe agire anche dal punto di vista culturale
Anche le università dovrebbero creare una cultura contro la guerra e formare persone capaci di prevenirla. Dobbiamo essere capaci di dialogare in contesti e con soggetti economici che abbiano un ruolo nel diffondere una cultura di pace e nel praticarla. Noi abbiamo la possibilità di operare in un contesto privilegiato, poiché le realtà che ci circondano mettono al centro persone e ambiente
Disseminazione e contaminazione sono nel nostro DNA ma sono anche strumenti efficaci che portano risultati. Il nostro obiettivo è in divenire: non raggiungiamo mai un punto fermo, ma continuiamo a lavorarci. A cominciare dal nostro lavoro per la pace, che non ha nulla di legato alla contingenza: è continuo, giorno per giorno. Prima, durante e dopo i conflitti.
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