Dietro i fondi Esg europei una gigantesca operazione di greenwashing
Approfittando delle maglie larghe della legislazione europea un terzo dei fondi Esg investe in fossili, dice una ricerca di Urgewald
Se fate un giro tra homepage e opuscoli informativi della maggior parte dei fondi d’investimento europei scoprirete che sono tutti attenti alla sostenibilità del Pianeta e al benessere di chi lo abita. Molti di loro hanno infatti in bella vista l’etichetta Esg, destinata a chi investe tenendo conto dei criteri ambientali, sociali e di governance. Si vantano di ottemperare al regolamento europeo relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (Sfdr). E di investire i vostri soldi nei prodotti finanziari “articolo 8” e “articolo 9” di questa informativa, quelli che definiscono appunto gli investimenti sostenibili. Eppure la realtà è ben diversa.
Lo racconta una recente una ricerca delle ong Urgewald e Facing Finance, che ha scoperto una massiccia operazione di greenwashing per quello che riguarda i fondi Esg europei. Nella ricerca sono stati analizzati più di 14mila fondi negoziati nei mercati europei. Tra questi un migliaio di Etf, gli exchange-traded fund, la nuova moda dei fondi quotati in borsa. E di questi 14mila fondi oltre un terzo (4.792 per la precisione) hanno investito più di 123 miliardi di euro in aziende che promuovono attivamente progetti di espansione dei combustibili fossili. O che non hanno un credibile piano di diminuzione delle emissioni allineato all’Accordo di Parigi.

TotalEnergies da sola raccoglie otto miliardi di euro da fondi Esg
Analizzando i database del settore dei combustibili fossili, le due ong hanno scoperto che la maggior parte degli investimenti molto inquinanti e poco sostenibili dei fondi è stata fatta nelle compagnie petrolifere e del gas. Qui le sei principali compagnie – TotalEnergies, Shell, ExxonMobil, Chevron, Eni e BP – da sole rappresentano investimenti per un valore di 23,5 miliardi di euro. A fare la parte del leone è TotalEnergies, che da sola raccoglie 8,1 miliardi. E proprio sul caso di TotalEnergies e dei suoi progetti estrattivi in Mozambico avevamo scritto su Valori per raccontare come l’espansione dei combustibili fossili non violi solo l’ecosistema del Pianeta, ma anche i diritti umani di chi il Pianeta lo abita.
Se invece si vuole vedere chi sono i fondi e le società di gestione patrimoniale che più investono nei combustibili fossili, ecco che la ricerca di Urgewald e Facing Finance mette in testa JPMorgan Chase. Con un volume di investimenti di 10,2 miliardi distribuito su 105 fondi di investimento. Al secondo posto c’è Dws, sussidiaria della Deutsche Bank, con 8,7 miliardi di euro distribuiti su 178 fondi. Poi BlackRock, che si piazza al terzo posto con un volume di 8,3 miliardi distribuiti su 188 fondi. Da segnalare anche i tedeschi di Allianz con 3,7 miliardi di euro per 133 fondi. E gli svizzeri di Ubs, anche loro con 3,7 miliardi di euro, ma su 124 fondi.

«L’Unione europea deve stabilire regole chiare per tutti i fondi Esg e porre fine a questa farsa»
«Le società che perseguono progetti di espansione dei combustibili fossili nel mezzo di una crisi climatica stanno mettendo a repentaglio il nostro futuro. La loro presenza nei fondi Esg viola il concetto stesso di sostenibilità», spiega Julia Dubslaff, ricercatrice finanziaria presso Urgewald. «La presenza di progetti di espansione dei combustibili fossili in oltre un terzo dei fondi che rivendicano caratteristiche ambientali o sociali trae in inganno gli investitori attenti al clima. Il legislatore europeo deve stabilire regole chiare per tutti i fondi Esg e porre fine a questa farsa».
Le regole in realtà ci sarebbero. E sono quelle stabilite dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma), le cui nuove linee guida entreranno in vigore dal prossimo 21 maggio. Per i fondi che vogliono dirsi Esg investendo in prodotti “articolo 8” o “articolo 9” sono quindi specificati dei criteri d’investimento attraverso una serie di categorie: ambiente, sostenibilità, impatto, transizione, sociale e governance. Ma, di nuovo, la ricerca di Urgewald e Facing Finance ha scoperto che degli oltre 14mila fondi presi in esame due terzi (9.420 fondi) non sono coperti dalla nuova linea guida Esma. Poiché i loro investimenti non rientrano in queste categorie.
Ma anche quando ci rientrano, la legislazione è evidentemente tanto lasca che permette investimenti non sostenibili. Secondo la ricerca infatti, solo il 43% dei fondi che contengono le categorie ambiente, sostenibilità e impatto, sarà costretta dal prossimo maggio a rivedere il proprio portafoglio di investimenti. O a togliersi la prestigiosa etichetta Esg da homepage e opuscoli informativi. Il restante 57% che non le contiene potrà continuare a fare come gli pare. Per capirci, dei 23,5 miliardi di euro investiti nelle multinazionali del fossile di cui sopra, ben 17,1 miliardi, due terzi del totale degli investimenti, sono al sicuro anche secondo i nuovi requisiti Esma.
Dal prossimo maggio alcuni fondi rischiano di dover cambiare nome
Considerando solo i fondi che rispetto alle categorie Esma si fregiano di seguire le tre categorie di cui sopra – ambiente, sostenibilità e impatto – cambiano leggermente gli investitori. Qui in testa c’è BlackRock, con 6,4 miliardi di euro di investimenti in 111 fondi fossili. Seguita dalla francese Crédit Agricole (incluso il suo gestore patrimoniale Amundi) con 3,6 miliardi di euro in 152 fondi. Al terzo posto c’è la svizzera Ubs con 2,8 miliardi di euro in 71 fondi, seguita da Northern Trust (2,3 miliardi di euro in 28 fondi) e dai tedeschi di Dws (1,6 miliardi di euro in 101 fondi). Dei 123 miliardi di euro investiti dai fondi Esg nelle aziende fossili, questi fondi che includono le tre categorie ambiente, sostenibilità e impatto muovono circa 38 miliardi di euro.
E saranno proprio questi fondi, a partire dal prossimo 21 maggio, a dover cambiare. Si spera. Davanti a loro hanno due strade: vendere i loro strumenti finanziari sui combustibili fossili oppure rimuovere i termini di sostenibilità rilevanti dai loro nomi. «I gestori di fondi dovrebbero cogliere questa opportunità e disinvestire le loro partecipazioni in combustibili fossili», continua Julia Dubslaff. «Così facendo possono migliorare la loro reputazione e dimostrare ai clienti che prendono sul serio i loro prodotti di fondi attenti al clima. Allo stesso tempo, possono inviare un segnale importante agli sviluppatori di combustibili fossili: se la tua attività danneggia il clima, le persone e il Pianeta, sei fuori». Sempre che, entrate in vigore le nuove regole, non si trovino nuovi modi per aggirarle.