I fondi pensione perdono miliardi per colpa delle fossili
I risultati di uno studio su un gruppo di fondi pensione americani: disinvestendo dalle fossili dieci anni fa, avrebbero 21 miliardi in più
Circa il 13% in più. Ovvero nientemeno che 21 miliardi di dollari. Questa è la cifra che sei fondi pensione pubblici americani avrebbero guadagnato in più se avessero smesso di investire nelle fossili dieci anni fa. E, di conseguenza, avremmo disperso nell’atmosfera milioni di tonnellate di emissioni climalteranti in meno. Insomma, una scelta sbagliata e poco lungimirante non solo per l’ambiente e per il futuro dell’umanità, ma anche per le tasche dei sottoscrittori dei fondi.
Disinvestire dalle fossili fa bene all’ambiente e al portafoglio
Lo studio realizzato dall’università di Waterloo (Canada) con l’organizzazione Stand.earth, ha preso in considerazione un gruppo di fondi pensione pubblici americani nel decennio 2013-2022. Ad esempio, per intenderci, i fondi in cui hanno versato i propri soldi gli insegnanti dello stato della California e quelli dello Stato di New York, e quelli dei dipendenti statali di California, Oregon e Colorado. I ricercatori hanno analizzato quale sarebbe stata la performance dei fondi nello stesso periodo di tempo se gli investimenti in combustibili fossili fossero stati eliminati e il loro valore fosse stato distribuito uniformemente tra le altre attività del fondo.
Lo studio ha calcolato che se questi fondi non avessero investito nel fossile, il loro valore sarebbe stato di 424,6 miliardi di dollari. Ovvero oltre 21 miliardi in più del valore attuale di 402,8 miliardi. Una perdita non da poco, con un impatto non solo sull’ambiente – date le maggiori emissioni a cui hanno contribuito – ma anche sulle tasche di coloro che detengono le quote del fondo, dato il potenziale mancato guadagno.
Miliardi di dollari in meno, milioni di tonnellate di emissioni in più
Non è il primo studio che raggiunge conclusioni simili. Ad esempio, già nel 2019, una ricerca sui fondi pensione pubblici di California e Colorado aveva dimostrato che questi sarebbero stati più ricchi di quasi 20 miliardi qualora avessero abbandonato il settore fossile dieci anni prima. Ma questa non è l’unica considerazione da fare da un punto di vista finanziario. C’è anche da dire che un portafoglio che non investe nel fossile è meno esposto ai rischi climatici.
Inoltre (e forse soprattutto) se si considerano le emissioni di gas climalteranti che potevano essere evitate, la decisione di non aver disinvestito da carbone, petrolio e gas – e, ancora di più, di non farlo nemmeno ora – appare ancora più scellerata. Infatti, dallo studio dell’università di Waterloo emerge che l’addio avrebbe fatto sì che la carbon footprint dei fondi pensione consideri sarebbe stata più bassa di quasi il 17%. Che equivale a dire che potevano essere evitate 280 milioni di tonnellate di emissioni. Lo stesso ammontare che corrisponde al consumo energetico annuale di 35 milioni di abitazioni. O alle emissioni di 62 milioni di auto a benzina in un anno. Cioè decisamente tanto.
Il colpo di coda di un’industria morente
Degno di nota è il fatto che il peso del settore energetico nei portafogli dei fondi presi in considerazione è diminuito costantemente tra il 2013 e il 2020 passando da circa il 10% al 2%. Per poi, però, tornare a salire fino al 5% circa, alla fine del 2022. Una crescita che può essere ricondotta all’aumento dei prezzi delle azioni del settore. Riconducibile, a sua volta, ai soliti fattori: aumento del prezzo delle materie prime, pandemia, tensioni geopolitiche, guerra. Con conseguenti profitti record – ormai più che noti – delle aziende produttrici di combustibili fossili.
Profitti record (non solo nel fossile)
I quasi mille miliardi di dollari di extraprofitti di 772 colossi
Gil extraprofitti delle grandi aziende sono la causa di quasi la metà dall’aumento dei prezzi e del conseguente crollo del potere d’acquisto
Nonostante questo, il valore dei fondi pensione che ancora investono in quelle aziende non sembra essere aumentato in maniera significativa. A titolo dimostrativo, basta considerare i fondi pensioni dello studio in questione, solo per gli ultimi tre anni invece che per l’ultimo decennio. Se avessero disinvestito dalle fossili, in questi tre anni i fondi pensione avrebbero, stavolta sì, guadagnato meno. Ma solo di un 2%.
Il motivo non è da ricercarsi solo nella grande volatilità dell’industria fossile, ma anche nel suo destino, ovvero in quel declino inarrestabile ormai iniziato da tempo. Ne è dimostrazione il suo peso nel mercato azionario: nel 1980 rappresentava il 29% dello Standard & Poor’s 500 (uno dei principali indici azionari americani), oggi il 4,5%. Ma nel 2020 era sceso addirittura al 2%.