Gli ecoreati fanno boom. Ma gli inquirenti hanno finalmente un’arma in più
Legambiente rivela: le Ecomafie valgono 14 miliardi, in crescita del 9% in un anno. Rifiuti in testa ai traffici. La Legge Realacci si sta dimostrando efficace
Un giro d’affari illecito che toglie alle casse pubbliche e ai cittadini ben 14,1 miliardi, l’equivalente di una manovra finanziaria. Tanto vale il fatturato dell’ecomafia. Ed è pure in crescita. +9,4% rispetto al 2016, a causa soprattutto della lievitazione delle infiltrazioni mafiose e corruttive nel ciclo dei rifiuti, nelle filiere agroalimentari e nel racket animale.
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È il dato economico più eclatante contenuto nel rapporto No ecomafia 2018, presentato alla Camera dei Deputati, dal presidente di Legambiente, Stefano Ciafani alla presenza, tra gli altri, del ministro dell’Ambiente Sergio Costa e del Procuratore nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho. Ma l’entrata a regime della legge 68 del 29 maggio 2015 contro gli ecoreati (nota spesso come “Legge Realacci” dal nome dell’allora presidente della Commissione Ambiente della Camera che l’ha proposta), segna, anche, il record assoluto di arresti e inchieste giudiziarie.
«I numeri delle indagini concluse grazie ai nuovi delitti ambientali del Codice penale e riportati in questo rapporto confermano che avevamo ragione noi» ribadisce il presidente di Legambiente, in apertura. «La legge 68/2015, fortemente sostenuta dall’associazione ambientalista per 21 anni, ha istituito, infatti, per la prima volta, una serie di reati che prima non esistevano o erano solo di tipo contravvenzionale, come l’inquinamento ambientale, il disastro ambientale, l’impedimento del controllo fino all’omessa bonifica».
Quasi triplicati i procedimenti penali
Nel 2017 sono state ben 538 le ordinanze di custodia cautelare emesse per reati ambientali, il 139,5% in più rispetto al 2016. 158 gli arresti per i delitti di inquinamento ambientale, disastro e omessa bonifica, con 614 procedimenti penali avviati, contro i 265 dell’anno precedente. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, la fattispecie di reato più applicata è stata proprio quella dell’inquinamento ambientale con 361 casi, poi l’omessa bonifica (81), i delitti colposi contro l’ambiente (64), il disastro ambientale (55), l’impedimento al controllo (29) e il traffico di materiale ad alta radioattività (7).
Rifiuti, quel treno di tir da 2500 km
Mentre sono state 76 le inchieste per traffico organizzato (erano 32 nel 2016), 177 arresti, 992 trafficanti denunciati e 4,4 milioni di tonnellate di rifiuti sequestrati (otto volte di più rispetto alle 556mila tonnellate del 2016), pari a una fila ininterrotta di 181.287 Tir per 2.500 chilometri. Dati che confermano come il settore dei rifiuti resti ancora, al momento, quello a più alto interesse mafioso, come la più alta percentuale di reati, pari al 24%, evidenzia. E il continuo proliferare degli incendi, negli impianti di gestione e trattamento di tutta Italia, continua ad essere indice di un sistema poco trasparente e non abbastanza sorvegliato.
Un esempio: delle oltre 350 inchieste per “traffico organizzato di rifiuti” censite da Legambiente dal 2002 a oggi, laddove si ha il dato (su circa 47,5 milioni di tonnellate) più del 43% dei quantitativi sequestrati è rappresentato dai fanghi di depurazione. Accanto ai fanghi, riscuotono grande interesse per le reti ecocriminali i Raee (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), così come i materiali plastici, gli scarti metallici (ferrosi e non), carta e cartone, alluminio.
37mila reati nell’agroalimentare
Ma gli interessi della criminalità organizzata si spingono in ogni settore che possa essere fonte di business. Indice di questa attività sono l’aumento dei delitti contro gli animali e la fauna selvatica (22,8%), gli incendi boschivi (21,3%) e il ciclo del cemento (12,7%). Attività criminale che ha inquinato anche la filiera agroalimentare, dove sono stati accertati più di 37mila reati, sono state denunciate 22mila persone, 196 arrestate, con 2.733 sequestri, per un valore che supera nel 2017, abbondantemente, un miliardo di euro.
A tutto ciò bisogna aggiungere gli “illeciti ambientali”, cioè le violazioni della normativa ambientale in vigore, che vengono puniti con pene di tipo contravvenzionale. Sono stati ben 30.692 (+18,6% per cento rispetto all’anno precedente), per una media di 84 al giorno, più o meno 3,5 ogni ora, del numero di persone denunciata (39.211, con una crescita del 36%) e dei sequestri effettuati (11.027, +51,5%).
Sardegna in testa alla classifica delle contestazioni
La Campania è la regione in cui si registra il maggior numero di illeciti (4.382 che rappresentano il 14,6% del totale nazionale), seguita dalla Sicilia (3.178), dalla Puglia (3.119), dalla Calabria (2.809) e dal Lazio (2.684). Guardando, invece, l’applicazione complessiva della legge 68/2015, si ribalta il quadro generale che di solito, vede le regioni a tradizionale insediamento mafioso tra le più colpite. È invece, la Sardegna la regione registra il numero più alto di contestazioni, 77, seguita dalla Sicilia, (48), dal Lazio (47), dall’Umbria (47), dalla Calabria (44) e dalla Puglia (41).
«I dati sugli ecoreati forniti da forze di polizia, Ministero della giustizia e dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, costituito da Ispra e dalle Arpa, restituiscono un quadro, da una parte preoccupante – sottolinea Stefano Ciafani – per la pervasività dell’azione della criminalità ambientale in tutto il Paese, e dall’altro rassicurante, perché il sistema giudiziario utilizza sempre di più i nuovi strumenti di contrasto a disposizione degli inquirenti contro l’illegalità ambientale».
Il fattore corruzione
Ma è la corruzione, il nemico numero uno dell’ambiente in Italia. Dal primo gennaio 2010 al 31 maggio 2018, Legambiente ha contato 449 inchieste giudiziarie, che hanno portato all’arresto di 3.478 persone e alla denuncia di 4.295, impegnando ben 87 procure d’Italia. Ma si fatica a tenere il conto. La regione con il numero più alto è il Lazio, con 61 indagini (13,6% sul totale nazionale), seguita da Sicilia (60), Lombardia (52), Campania (51) e Calabria (40). Quest’ultima è in testa, invece, per numero di arresti (536), e detiene anche il record di aziende sequestrate (152), seguita dal Lazio (461) e dalla Lombardia.
Come scrivono i curatori del rapporto No Ecomafia, «la natura profonda del crimine ambientale è economica e ha per principali protagonisti imprese e faccendieri, ma le mafie continuano a svolgere un ruolo cruciale, spesso di collante».
Quindi è il “crimine d’impresa” che va a braccetto con il crimine ambientale in mano ai 331 clan censiti da Legambiente, tuttora attivi, nella penisola. Un indicatore della penetrazione delle cosche, da nord al sud, è quello dello scioglimento delle amministrazioni comunali per infiltrazioni mafiose, ben 16 dall’inizio dell’anno, contro i 20 nel 2017. Così come sono soprattutto i clan a minacciare gli amministratori pubblici che difendono lo stato di diritto e la salvaguardia dell’ambiente. Secondo i dati elaborati di Avviso Pubblico, sono state ben 537 le intimidazioni solo nel 2017.
«Le imprese mafiose, gestite solitamente grazie a teste di legno, spaziano tra il mercato legale e quello illegale con estrema disinvoltura» precisa l’ultima relazione della DIA del primo semestre 2017, citata nel rapporto. «Quest’ultima scelta, rappresenta un’operazione strategica che ha consentito loro di intercettare alcune componenti della società civile alle quali non avrebbe avuto altrimenti accesso».
I controlli, un aiuto per le casse pubbliche
Eppure, una presenza più concreta dello Stato potrebbe fare ritornare nelle casse pubbliche milioni di euro, oltre che ristabilire la legalità e la messa in pratica del principio comunitario “chi inquina paga”. Senza minacce continue per la salute dei cittadini e per l’ambiente, come ricordato dal neoministro Costa, proprio in questi giorni.
Solo attraverso i controlli di Ispra e la rete regionale delle Arpa (Snpa), nel 2017, con 1.692 prescrizioni per i reati contravvenzionali, quasi 5 al giorno, regioni e stato hanno incassato più di 3 milioni di euro. E 5 milioni di euro sono stati raccolti dal sequestro degli shopper fuorilegge, che inquinano ambiente e mercato. A tanto, infatti, ammontano le sanzioni pecuniarie comminate nel 2017, dal Nucleo speciale tutela proprietà intellettuale della Guardia di finanza e dal Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dei Carabinieri.
Nuovo governo alla prova dei fatti
«Il lavoro importante fatto va però completato – sottolinea il presidente di Legambiente – il nuovo parlamento e il governo Conte hanno il compito di cesellare la norma sugli ecoreati: andrebbe cancellata per esempio la clausola di invarianza dei costi per lo Stato, visti i risparmi diretti e indiretti su bonifiche e spese sanitarie ottenuti con la sua applicazione. E aggiunto un articolo sui delitti contro flora e fauna protette. Ma vanno approvate tutte quelle norme, per garantire il ripristino della legalità in ambito ambientale».
A tutt’oggi, ad esempio, non sono stati ancora varati i decreti attuativi della legge 132/2016 che ha istituito il Sistema Nazionale di Protezione Ambientale, che nasce dalla sinergia di Ispra e le agenzie ambientali regionali. Sistema di coordinamento cruciale per l’aumento e il miglioramento dei controlli ambientali. E quelli per semplificare l’iter di abbattimento degli ecomostri di cemento. Così come una legge contro le agromafie, in grado di tutelare l’agroalimentare di qualità e il made in Italy.
Il nodo trasparenza
Non è stato, poi, ancora sciolto il nodo sulla filiera trasparente dei rifiuti, a partire dalla raccolta dati di raccolta e riciclo, sia per i rifiuti urbani, secondo quanto già rilevato dalla commissione Braga nella precedente legislatura. Sia per quelli speciali, vedi il dramma del “Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti”, il cosiddetto SISTRI, rivelatosi, ad oggi, fallimentare.
Intanto la Commissione Ambiente della Camera ha avviato il 3 luglio 2018 l’esame delle proposte di legge riguardanti l’istituzione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, non ancora istituita. «Ma chiediamo anche una nuova commissione d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin – conclude Ciafani – per superare le imbarazzanti conclusioni di quella guidata dall’avvocato Carlo Taormina».