Dal glifosato al dicamba: pesticida nuovo, logica vecchia
Sul nuovo erbicida puntano forte Bayer-Monsanto e Basf, pur conoscendo i rischi per piante ed agricoltori. Negli USA è già arrivata la prima condanna da $265 milioni
La condanna per i due colossi dell’agrochimica Bayer (che ha acquisito Monsanto nel 2018) e Basf è arrivata a metà marzo 2020. La giuria del tribunale distrettuale degli Stati Uniti di Cape Girardeau, in Missouri, ha dato ragione al loro accusatore, Bill Bader, il maggior coltivatore di pesche dello Stato. Le due multinazionali dovranno sborsare 265 milioni di dollari: 15 milioni come risarcimento danni e ben 250 milioni come sanzione punitiva.
Un prezzo tutt’altro che irrisorio per aver perso la battaglia legale contro chi le aveva accusate di essere responsabili per la distruzione di mille acri di frutteto, con circa 30mila alberi di pesche, causata dall’erbicida a base di dicamba. Il prodotto, contraddistinto da una volatilità elevata, si trova in fitofarmaci con nomi commerciali quali XtendiMax, Engenia e FeXapan.
Secondo quanto stabilito nel processo, il dicamba, spruzzato nelle proprietà di aziende agricole vicine a quella di Bader, sarebbe finito inopinatamente anche nella sua. Con effetti devastanti. Un punto di svolta di una vicenda destinata a non chiudersi qui.
Dicamba fuori bersaglio: Basf e Bayer sapevano
Sia Bayer (che si è dichiarata delusa dal verdetto della giuria) sia BASF (sorpresa e delusa dalla decisione) hanno ovviamente già affermato di voler presentare ricorso, sostenendo che i loro prodotti a base di dicamba, se usati secondo le istruzioni, sono sicuri. Ma intanto 140 casi simili potrebbero arrivare ai tribunali statunitensi entro la fine dell’anno. Il numero è più che plausibile considerato che un primo rapporto di un gruppo di studio dell’università del Missouri calcolava, per il 2017 e solo nelle coltivazioni di soia, 2708 casi di indagine e 3,6 milioni di acri di terra (2,5 acri corrispondono a 1 ettaro) interessati dal problema (dati aggiornati al ribasso nel 2018).
Per di più, dai documenti emersi durante il caso Bader vs Bayer/Basf si sa che sia gli accademici sia le società erano consapevoli dei potenziali rischi legati all’utilizzo di un prodotto con una volatilità tale da renderlo passibile di andare fuori bersaglio. Non a caso, alla prima formulazione dei fitofarmaci ne è seguita una seconda, con l’aggiunta della tecnologia VaporGrip Tchnology, applicata anche al glifosato e sviluppata proprio per ridurre il “rischio deriva”, e della cui utilità i tecnici Monsanto già discutevano nel 2015.
I danni diventano profitti
Proprio come accade per il glifosato con i semi Roundup ready – anche la commercializzazione dei pesticidi a base di dicamba prevede che gli agricoltori possano spargere il prodotto su piante (di soia o cotone, negli USA) geneticamente modificate per risultare resistenti a quello specifico erbicida. Le compagnie che lo vendono hanno così ottenuto un doppio vantaggio. Pur prevedendo le cause per risarcimento dai danni alle colture, e sostenendo che non sia stato frutto di strategia, da un lato hanno venduto erbicidi e semi resistenti a chi intendeva effettivamente puntare sul dicamba. D’altra parte hanno guadagnato come clienti anche quegli agricoltori che temevano le medesime conseguenze attestate da Bader a causa dell’uso del vicino di campo.
Tumori diventati infiammazioni
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Nessuna strategia, quindi? Il dubbio resta, se è vero che l’opportunità di tale dinamica veniva annotata in più documenti. «In un aggiornamento della strategia BASF 2016 – riporta «The Guardian» – la società ha indicato che le «piantagioni difensive» sono una «potenziale opportunità di mercato». La Monsanto ha anche ottenuto «nuovi utenti» fra gli agricoltori che hanno subito danni dalla deriva. In uno scambio di e-mail del novembre 2016, un distributore della Monsanto ha osservato che «tutte le lamentele relative al danno dalla deriva del dicamba stavano aumentando la domanda di semi tolleranti al pesticida di Monsanto».
Gli Usa aggiornano le etichette, l’Europa apre al dicamba
Di sicuro la questione dell’uso del nuovo pesticida è da monitorare, perché diverse azioni legali sono ancora in corso e i casi di agricoltori coinvolti sarebbero molti (Arkansas, Illinois, Kansas, Mississippi, Missouri, Nebraska, South Dakota e Tennessee).
Negli Stati Uniti nel 2018 l’EPA (l’Agenzia per la protezione dell’ambiente) ha introdotto l’obbligo in etichetta di nuove indicazioni restrittive sull’uso di questi diserbanti. Tuttavia nell’aprile 2019 gli studiosi dell’ateneo del Missouri sottolineavano ancora alcune criticità. Anche con le nuove formulazioni, nelle applicazioni presemina in aprile e maggio («burndown applications») la cosiddetta “deriva” di questi erbicidi non è esclusa completamente. Anzi, rimane il rischio che la volatilità venga addirittura favorita. Può capitare, ad esempio, se dicamba viene distribuito tramite spray da serbatoi dove si miscela con altri fitofarmaci (Roundup, PowerMax) che ne alterano il pH. Motivo per cui sono state aggiunte ulteriori indicazioni d’impiego, diverse persino tra Stato e Stato.
Anche in Europa è bene capire se l’utilizzo possa o meno generare conseguenze indesiderate. Il dicamba è ad esempio contenuto nel Mondak 480S di Syngenta, approvato dal ministero della Salute e suggerito dal produttore «per il controllo delle malerbe dicotiledoni e monocotiledoni nei cereali (mais, frumento, sorgo) e stoppie». La soia OGM resistente al dicamba è già stata autorizzata per la coltivazione ai fini dell’utilizzo nella preparazione di alimenti, mangimi e loro ingredienti. E gli erbicidi relativi vengono promossi e suggeriti anche per sconfiggere le super-infestanti (superweed) diventate resistenti anche al glifosato. Un efficacia su cui, peraltro, qualcuno nutre dei dubbi.
Le super-infestanti mostrano il punto debole del sistema dicamba
Il problema delle piante infestanti, che non soccombono neanche agli erbicidi più aggressivi, pone di fronte, per l’ennesima volta, alla fragilità e distorsioni del sistema basato su sementi geneticamente modificate per essere resistenti a fitofarmaci specifici. Il sistema incatena infatti gli agricoltori a chi produce e brevetta queste soluzioni biotecnologiche.
Perché se è vero che, per crescere e riprodursi, i parassiti di ogni genere hanno bisogno di un ospite, per alcune infestanti, le cosiddette infestanti parassite, l’ospite è la pianta/l’organismo che attaccano. Se tale organismo è completamente resistente, i parassiti muoiono. «Ma non tutti» afferma l’agronomo Salvatore Ceccarelli. «Anche infestanti e parassiti sono variabili, e le rare mutazioni spontanee consentono agli individui che ne sono portatori di sopravvivere». Così le varietà sopravvissute diventano improvvisamente le sole in grado di riprodursi – rapidamente e di anno in anno sempre meglio – in un ambiente dove le piante sono geneticamente identiche.
Effetto boomerang: usando i pesticidi, si creano super-insetti
Lo stesso avviene quando entriamo in un campo e irroriamo con un insetticida, un fungicida o un erbicida. «Di fatto – conclude Ceccarelli – all’improvviso, cambiamo l’ambiente che circonda insetti, funghi ed erbe infestanti. Senza accorgercene, facciamo esattamente l’opposto di quello che pensiamo di fare: selezioniamo gli insetti, i funghi e le erbe infestanti resistenti a quel particolare prodotto che stiamo usando. Quando ci accorgiamo di quello che abbiamo fatto, cioè l’anno dopo, dobbiamo usare dosi maggiori dello stesso prodotto, o un altro più potente. Una rincorsa senza fine».