Gogel 2025: la transizione fossile che continua a crescere
Il 96% delle compagnie fossili continua a espandersi: trivellazioni, Lng e nuovi progetti fossili crescono nonostante la crisi climatica
Alla vigilia della Cop30 in Brasile, il nuovo database Global Oil & Gas Exit List (Gogel) 2025, pubblicato da Urgewald e oltre 40 Ong partner tra cui ReCommon, lancia un messaggio netto: la transizione dai combustibili fossili, promessa a Dubai durante la Cop28, non è ancora iniziata.
Secondo l’analisi, il 96% delle compagnie petrolifere e del gas attive a livello globale continua a espandere la propria produzione. Gogel, che raccoglie dati su oltre 1.800 corporation, è il database pubblico più completo sull’industria fossile mondiale. Il quadro che emerge è di profonda incoerenza: mentre governi e aziende parlano di “phase-out” (eliminazione graduale, ndr), l’industria prosegue con piani di esplorazione e sviluppo incompatibili con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi, fissato dieci anni fa alla Cop21 di Parigi.
Espansione a breve termine
Le compagnie fossili stanno pianificando di avviare 256 miliardi di barili equivalenti (bboe) di nuova produzione nel breve termine – un aumento del 33% rispetto al 2021, l’anno in cui l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) dichiarò che non servivano più nuovi giacimenti per rispettare gli obiettivi climatici di Parigi.
Le cinque aziende che guidano questa espansione sono QatarEnergy, Saudi Aramco, Adnoc, Gazprom ed ExxonMobil. Da sole rappresentano circa un terzo della nuova produzione mondiale prevista. A queste si aggiunge anche Eni, al 13° posto nella classifica delle major mondiali dell’oil&gas con piani di espansione.
La corsa all’esplorazione
Il rapporto sottolinea che l’industria continua a spendere enormi cifre per la ricerca di nuovi giacimenti: oltre 60 miliardi di dollari l’anno in media tra il 2023 e il 2025. Si tratta di una somma 75 volte superiore a quanto i governi mondiali hanno finora impegnato per il Loss & Damage Fund delle Nazioni Unite.
Eni è al quinto posto mondiale, con 1,285 miliardi di dollari di spesa media annua tra il 2023 ed il 2025, per la ricerca di nuovi giacimenti. A titolo di confronto, l’Italia ha promesso al fondo Onu per perdite e danni climatici appena 117 milioni di dollari, una cifra una tantum. In altre parole, ogni dollaro pubblico italiano destinato a riparare i danni del clima è superato da dieci dollari che Eni investe ogni anno per cercare nuovi giacimenti fossili.
Il caso Brasile: trivellare davanti alla Cop30
Il Brasile, che ospita la prossima Cop, è indicato nell’analisi come emblema di incoerenza climatica. Le sue spese di esplorazione sono più che raddoppiate dal 2021 e la compagnia statale Petrobras si colloca al 15° posto mondiale con 1,1 miliardi dollari di spesa annua.
Il governo brasiliano ha inoltre autorizzato nuove perforazioni nel bacino del Foz do Amazonas, un’area marina di grande valore ecologico, dove nel 2016 è stata scoperta una barriera corallina. Nella zona sono pronte a operare ExxonMobil, Chevron, Cnpc e Petrobras.
L’espansione delle risorse non convenzionali
Quasi la metà dei nuovi piani di espansione rientra nella categoria delle “risorse non convenzionali” – come trivellazioni ultra-profonde, sabbie bituminose, gas artico o fracking. Al momento, il 38% della produzione mondiale di petrolio e gas proviene già da queste fonti ad alto rischio ambientale.
Il boom del fracking si concentra negli Stati Uniti, con 62,3 miliardi di barili equivalenti di nuove riserve in sviluppo. I principali attori di questa espansione a livello mondiale sono ExxonMobil, Chevron, ConocoPhillips, Eog Resources e Ypf (Argentina), quest’ultima recentemente entrata in partnership con Eni per lo sviluppo congiunto del progetto Argentina Lng, che punta a esportare il gas non convenzionale di Vaca Muerta sotto forma di gas liquefatto.
Le espansioni offshore in acque ultra-profonde – a profondità superiori a 1.500 metri – rappresentano oggi il 21% delle nuove esplorazioni mondiali. I principali attori di questa corsa alle profondità sono ExxonMobil, Eni, Chevron, TotalEnergies e Shell. Le aree più colpite: il Mozambico, nel bacino del Rovuma, e la Guyana.
Un esempio emblematico è il progetto Coral North Lng in Mozambico, del valore di 7 miliardi di dollari, approvato nell’Ottobre 2025 da Eni ed ExxonMobil, progetto “gemello” della piattaforma di Eni “Coral South”, la prima piattaforma Flng realizzata nella zona e già in produzione dal 2022. Parallelamente, Eni sta pianificando assieme ad altre corporation il progetto Rovuma Lng, destinato a portare su larga scala impianti on-shore per la liquefazione del gas estratto in Area 4 del Rovuma Basin.
Il boom globale del gas liquefatto (LNG)
Gogel documenta un’esplosione dei piani di sviluppo del gas liquefatto (Lng), con una capacità di esportazione globale destinata a crescere del 171% rispetto alla capacità attuale.
Le aziende che guidano questa espansione sono Venture Global, QatarEnergy e Novatek. Oltre la metà dei nuovi progetti si trova negli Stati Uniti e in Messico, dove l’eccesso di gas da fracking viene destinato all’export attraverso nuovi terminal costieri. In questo scenario, nel luglio del 2025 Eni ha siglato un accordo ventennale con Venture Global per l’acquisto di gas dal terminal CP2 Lng in Louisiana – uno dei progetti simbolo dell’espansione americana. La filiera è sostenuta anche dalla finanza italiana: Intesa Sanpaolo ha finanziato Venture Global sia tramite linee di credito che con project financing diretti, mentre Snam gestisce i terminal di Piombino e Livorno, che nel 2024-2025 hanno ricevuto carichi di Gnl provenienti dai principali terminal di export Lng sulla costa del Golfo del Messico.
Intanto gli analisti avvertono che, se tutti i progetti attualmente in corso di sviluppo verranno completati, il mondo rischia una sovrapproduzione di gas entro cinque anni, con gravi conseguenze economiche e climatiche. Un eccesso che perfino alcuni dirigenti del settore cominciano ad ammettere: lo stesso amministratore delegato di TotalEnergies, Patrick Pouyanné, ha riconosciuto che il comparto del Gnl sta “costruendo troppo”, pur continuando a essere tra i principali investitori nei terminal statunitensi. È l’emblema di un sistema che non si sta trasformando, ma consolidando: anche chi vede i rischi dell’espansione continua a scommettere sulla rendita fossile.
Finanza
La finanza globale è il motore invisibile dell’espansione fossile.
Solo due banche sistemiche mondiali – Bnp Paribas e Crédit Agricole – hanno adottato impegni per non emettere più obbligazioni per produttori di petrolio e gas. Tutte le altre grandi istituzioni, incluse le italiane Intesa Sanpaolo e UniCredit, continuano a finanziare lo sviluppo fossile. Ogni nuova infrastruttura fossile – pipeline, terminal LNG o centrale a gas – comporta un lock-in di emissioni che durerà per decenni, rendendo impossibile raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Le compagnie esplorano, trivellano e costruiscono nuove infrastrutture con la stessa intensità di sempre. Il mondo continua a investire nei combustibili fossili come se la crisi climatica non esistesse. Purtroppo, il tempo per invertire la rotta si sta esaurendo.




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